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Sciopero della fame nell’ex Cpt di Gradisca

Nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo (Cie), in provincia di Gorizia, i migranti rinchiusi sono in sciopero della fame. La protesta pacifica nasce i primi giorni di aprile, quando fra i detenuti circola la notizia che il governo vuole prolungare da due a sei mesi la permanenza all’interno del centro. Il pericolo di rimanere rinchiusi 6 mesi viene scongiurato mercoledì 8 aprile, quando la Camera rigetta la conversione in legge dell’art. 5 del Disegno di legge n. 2232. Ma intanto nel centro la rabbia è già esplosa la notte prima, quando, tra il sette e l’otto aprile fuggono in quaranta. Venti vengono rastrellati nelle campagne circostanti. Due tunisini finiscono all’ospedale. Lo sciopero della fame continua. Secondo le testimonianze dei migranti rinchiusi, già da tempo succede che i nordafricani siano costretti a restare rinchiusi per altri due mesi, dopo aver trascorso già 60 giorni nel Cie. Non hanno diritto di andare alla mensa, di parlare con il direttore, di ricevere visite mediche specialistiche. Botte e gas lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine. “A nessuno frega niente di noi – parlano i migranti– ci chiamano con dei numeri. Siamo soltanto degli esclusi”.

Quante persone ci sono all’interno del centro di espulsione?
Proveniamo da diverse nazionalità, siamo quasi 200 in tutto.
(Secondo le notizie riportate dai quotidiani la capienza del Cie è raddoppiata a febbraio, quando, in coincidenza con la soppressione decisa dal ministero dell’Interno del Centro di accoglienza, i posti sono saliti da 136 a 248).

Per quanto tempo una persona resta rinchiusa all’interno del centro?
Quando siamo entrati dicevano che saremmo dovuti restarci per due mesi. Infatti ci sono persone che dopo due mesi sono uscite. Ma adesso con questa nuova legge dicono che il termine di permanenza può arrivare fino a 6 mesi. Così la permanenza è già stata prolungata di altri due mesi a chi ne ha già fatti due. Questo prolungamento è già in atto: da un mese a questa parte non hanno fatto uscire nessuno di quelli che avevano già fatto due mesi.

Perché siete in sciopero della fame?
Proprio per questo. Perché ci sono cileni e soprattutto sudamericani che hanno avuto il permesso di uscire dopo due mesi, mentre ai nordafricani, in particolare ai tunisini, non li lasciano uscire, e li prolungano la durata per altri due mesi.

Perché c’è questa distinzione?
Non lo sappiamo, non ce lo dicono. Abbiamo capito che c’è una discriminazione razziale nel prendere questo tipo di decisioni. Almeno questo è quello che abbiamo percepito. Non sappiamo perché qua siamo trattati in questo modo. Ci chiamano addirittura per numeri, e non riusciamo a capire perché non ci trattano tutti allo stesso modo. Perché fanno uscire i sudamericani, e i nordafricani no.

Da quanto tempo siete in sciopero della fame?
Da sabato 4 aprile. Oggi è il quarto giorno. Abbiamo chiesto di parlare con qualche giornalista, ma non ci danno retta in niente qua dentro. Abbiamo chiesto di parlare con il direttore, ma tutti se ne fregano. Siamo esclusi.

Qual è la situazione sanitaria all’interno del centro? C’è qualcuno che sta male?
Sì, per esempio, c’è un migrante che sta male da quando è finito qui dentro. Soffre di ipertensione, sente un dolore al torace quasi permanente. A causa del dolore di notte non riesce a dormire. Sta chiedendo una visita da quando è arrivato. Chiede delle analisi, dei prelievi, ma, niente, gli dicono: “Non sei urgente”.

Ci sono dei medici cui potete rivolgervi?
Sì, ci sono due o tre medici al massimo, che a volte vengono. Ma il problema è che se chiedi una visita di certo non ottieni risposta. C’è chi ha fatto richiesta di una visita specialistica, un prelievo e dei raggi, ma niente, gli dicono: “Non sei urgente”.
E gli danno un po’ di antidolorifici, una pastiglia, ecco è tutto.

Ci sono stati dei momenti di tensione negli ultimi mesi all’interno del centro?
Sì. Hanno schierato alcuni di noi con la forza, con il gas e con le botte. Sono entrati all’interno e ci hanno picchiato. E comunque durante la giornata la polizia entra normalmente all’interno del centro. Oggi per esempio hanno fatto una perquisizione generale perchè la gente è scappata. Hanno fatto una verifica alle camere e le hanno perquisite.

In quanti sono scappati?
Non lo sappiamo con precisione, ma dicono una ventina. Dicono che ne hanno fermati tre o cinque. Sono scappati durante la nostra protesta pacifica, stavamo facendo lo sciopero della fame, ma siccome la gente è arrabbiata, alcuni sono scappati.

Che rapporti avete con gli operatori della Connecting People che lavorano lì?
Con loro i rapporti sono amichevoli, buoni. Gli unici che sono disponibili sono gli operatori.

Ci sono delle attività organizzate durante la giornata all’interno del Cie?
No, macché, non abbiamo proprio nulla. È questo un altro motivo per cui facciamo lo sciopero della fame. Noi del Cie non abbiamo neanche il diritto di andare a mangiare in mensa. Ci danno il pasto pronto e impacchettato, e ce lo passano da sotto la porta. Mangiamo all’esterno della camera, ma senza andare in mensa: siamo ingabbiati tutto il giorno e da quindici giorni non possiamo andare al campo (da calcio), perché dicono che stanno facendo dei lavori. Non sappiamo con chi parlare, chiediamo di parlare col direttore, ma non ci danno risposta, chiediamo agli operatori, ma non ci danno risposta. Siamo tristemente esclusi.

Una volta c’erano delle gabbie di fronte alle camere che dovevano essere tolte per decisione di una commissione. Ci sono ancora?
Guarda, le abbiamo avute fino a un’ora fa. Da quando sono arrivato qua ci sono sempre state, siamo ingabbiati: se esco dalle camere entro in una gabbia. Siamo messi male. Il mangiare ce lo passano da sotto la porta. Chiediamo una visita medica e se ne fregano, vogliamo parlare col direttore e se ne fregano, andiamo all’aria è troviamo tutto chiuso. L’unica cosa è che almeno possiamo parlare con l’avvocato, per il resto dall’esterno non riceviamo nessuna visita, non è venuto nessuno, neanche dopo questo sciopero. A nessuno frega niente di noi, siamo solo degli esclusi”.

A uno, due, tre, duecento migranti che vivono in queste condizioni nel Cie di Gradisca è difficile spiegare con parole che per qualcuno la loro vita ha un valore, anche se in fondo non li conosciamo. Da mercoledì 8 aprile non sappiamo niente di loro, né sappiamo se hanno smesso lo sciopero della fame. Instaurare un dialogo all’interno della struttura lager è pressoché impossibile. ma abbiamo promesso di divulgare l’intervista, e questa promessa la manteniamo.
Speriamo possiate farlo anche voi.

Osservatorio contro il Cpt