Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Una speranza per i profughi di Patrasso

La Corte europea dichiara ammissibili i ricorsi contro Italia e Grecia

La Corte europea per i diritti umani, con sede a Strasburgo, ha ritenuto ammissibili i ricorsi presentati da 35 profughi afghani e sudanesi.
Le controparti chiamate in causa per la violazione dei diritti fondamentali di queste persone sono il governo italiano e quello greco.

Questi migranti, infatti, si trovano a Patrasso, in Grecia, dove hanno subito detenzioni arbitrarie e violenze e non sono riusciti, come era loro diritto, a inoltrare richiesta di asilo politico. Gli stessi migranti, inoltre, sono tutti accomunati dal fatto di aver tentato di raggiungere l’Italia imbarcandosi dal porto di Patrasso, di nascosto, a bordo dei tir in transito verso le frontiere dell’Adriatico. In qualche modo, anzi, si può dire che l’Italia l’abbiano tutti raggiunta, anche se per poche ore, prima di venire respinti dalla polizia di frontiera, rinchiusi in una cabina attrezzi della stessa nave con la quale erano arrivati. Questi respingimenti sono tutti avvenuti “senza formalità”, non rispettando alcuna delle leggi che dovrebbero regolare il comportamento dei rappresentati dello Stato di fronte alla presenza di persone che richiedono asilo o, in ogni caso, di esseri umani che devono comunque vedersi riconosciuti, in ogni circostanza, i propri diritti fondamentali.

Dopo un lungo periodo di silenzio, in cui porti come quello di Venezia sono rimasti zone extraterritoriali all’interno delle quali tutto questo avveniva senza suscitare alcuna reazione, nell’invisibilità, la situazione sembra oggi finalmente cambiata.
Il lavoro delle associazioni veneziane della rete Tuttiidirittiumanipertutti, nell’arco di un anno, ha avuto infatti la capacità e la costanza di denunciare costantemente queste prassi, di spingere a riflettere intorno ai dati riferiti dall’autorità portuale, 850 persone respinte nei primi otto mesi del 2008 di contro ai soli 110 migranti incontrati dal Cir nello stesso periodo, interrogandosi su chi fossero questi ‘respinti’ e sui loro diritti violati.

Quando nel dicembre del 2008 Zaher, un ragazzino afghano di 13 anni è morto schiacciato sotto il tir dentro il quale si era nascosto, la rete ha chiesto a tutti di porsi una domanda sola, che andasse oltre la commozione di un momento: perché un minore in fuga dalla guerra si nascondeva dalla polizia italiana?
La risposta veniva da sé: perché la polizia italiana, spesso, respinge i minori in fuga dalla guerra senza neppure chiedere quanti anni abbiano, esattamente come respinge i profughi in cerca di rifugio senza permettere loro di raccontare il motivo della fuga.

Eppure, che in Grecia non si debbano più rimandare potenziali richiedenti protezione internazionale, che lì i diritti di queste persone siano calpestati quotidianamente, lo hanno affermato l’Acnur e Amnesty International, Human Rights Watch e Pro Asyl. Di recente, inoltre, persino il rapporto Hammemberg, della Commissione europea, ha denunciato le gravi violazioni greche in materia di asilo e tutela dei migranti.
Nonostante questo, i respingimenti, come confermato da attivisti antirazzisti greci e dagli stessi migranti, non si sono fermati: l’unica differenza è stata che a Venezia, dopo le denunce delle associazioni, i convegni, i dibattiti, le manifestazioni, la polizia di frontiera ha smesso di rendere pubblico il quotidiano bollettino di violazione, fino a poco tempo prima accettato da tutti come fosse una cosa normale e perfettamente legale: “oggi respinti al porto tre, cinque, dieci clandestini”.
Difficile continuare a rilasciare simili dichiarazioni di fronte ad un lavoro di inchiesta e studio giuridico che ha messo a nudo l’illegalità di queste prassi.

La rete di associazioni veneziane ha allora compreso che era arrivato il momento di percorrere a ritroso il viaggio delle persone respinte per riuscire a ridare loro un nome e una storia, e la possibilità di difendere i propri diritti. Per questa ragione, nel febbraio del 2009, una delegazione si è recato a Patrasso e, in un clima irrespirabile, nella situazione di estrema difficoltà in cui sono costretti a vivere i profughi che hanno raggiunto quella città, ha raccolto le loro storie, i loro nomi, le loro immagini.
Questo lavoro è confluito nei 35 ricorsi che hanno raggiunto qualche giorno dopo la Corte, elaborati e firmati dagli avvocati Alessandra Ballerini e Luca Mandro, grazie anche all’esperienza e alla collaborazione di Fulvio Vassallo Paleologo.

Il governo italiano e il governo greco sono ora sotto inchiesta. Qualcuno dovrà rispondere di tutto quello che sta avvenendo in Grecia ai danni di profughi in cerca di asilo, e in Italia quando queste persone, stremate, cercano di chiedere protezione e vengono illegalmente respinte.

Tra i ricorrenti ci sono moltissimi minorenni, bambini che hanno attraversato cinque paesi e sono stati detenuti due,tre, quattro volte. Bambini che, come gli adulti che si trovano con loro a Patrasso, rischiano ogni giorno la deportazione verso la Turchia e da lì indietro in Afghanistan, dove li aspetta la violenza fanatica e senza limiti dei Taliban, le persecuzioni del governo karzai che li considera dei traditori perché sono stati avvicinati dai Taliban, o la morte sotto il fuoco occidentale che da anni non abbandona quel paese.
Respingere dall’Italia può voler dire respingere direttamente verso la morte o la tortura.

Il lavoro di poche persone che hanno creduto di poter cambiare le cose ‘dal basso’, che non hanno accettato che tutto questo avvenisse a un passo da loro, ha portato a disvelare una realtà che si voleva lasciare sommersa.

Durante l’assemblea cittadina del 31 marzo, lo stesso giorno in cui un editoriale di Gian Antonio Stella denunciava la pratica di questi respingimenti anche ai danni dei bambini, lo stesso sindaco Cacciari ha dichiarato, di fronte alle immagini girate dalla delegazione a Patrasso, che “la situazione al porto di Venezia, come è stato documentato, è chiaramente illegale e fuori controllo”.
“Servono però risorse per accogliere queste persone”, ha poi aggiunto. Ma il diritto alla vita può davvero essere subordinato alla quantità di risorse disponibili? E verso quali obiettivi orientare le risorse è o no un problema prettamente politico? Ci sono diritti inviolabili, imprescrittibili, inalienabili. Pena la rinuncia definitiva ad un mondo occidentale che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha voluto costruire la propria legittimità autoproclamandosi il luogo dei diritti umani e conducendo, in nome di quei diritti, le stesse guerre che oggi stanno portando alle frontiere d’Europa queste persone in cerca di rifugio.

La Corte europea ha ritenuto necessario procedere per accertare la verità. È solo l’inizio ma, almeno per oggi, è possibile essere ottimisti.

Alessandra Sciurba

Vedi anche:
Il comunicato della Rete Tuttiidirittiumanipertutti