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Respingimenti in Libia tra menzogne e diritti negati

di Fulvio vassallo Paleologo, Università di Palermo

Adesso la parola d’ordine sembra diventata “verificare in Libia i requisiti dell’asilo”. Per Maroni “ci sono molti pregiudizi sulla Libia” ma la verifica del diritto dei richiedenti asilo “si può fare benissimo anche lì. Basta volerlo, certo, se poi l’Uhcr ci manda una persona part.-time…” ironizza il ministro.
Come se la Libia fosse un paese sicuro per i richiedenti asilo, come se avesse già firmato la Convenzione di Ginevra. Ancora menzogne per coprire respingimenti disumani che persino gli uomini della marina raccontano di essere stati costretti ad eseguire per ordini superiori, provando vergogna al punto da non poterne parlare neppure ai figli.

Sull’argomento interviene anche Berlusconi che afferma da giorni come un disco rotto che “i respingimenti sono in linea con le direttive UE, col diritto internazionale e con la legge italiana”.
Nessuna direttiva consente di trasportare in un luogo non sicuro come la Libia naufraghi salvati in acque internazionali, il divieto di respingimento collettivo, affermato dai protocolli allegati alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, non è derogabile da accordi bilaterali o da intese a livello comunitario, le direttive sulle procedure di asilo e sui rimpatri contengono espressi richiami al principio di non respingimento sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

L’art. 10, comma 2, del T.U. sull’immigrazione prevede che le persone soccorse in acque internazionali possano fare ingresso per ragioni di soccorso nel territorio nazionale per essere verificate individualmente e per avere accesso, se ne ricorrono i presupposti, all’asilo o alle diverse forme di protezione sussidiaria o di protezione temporanea. Esattamente come è successo nel Canale di Sicilia, con gli interventi di salvataggio della nostra marina militare, in adempimento del diritto internazionale, comunitario ed interno, fino allo scorso febbraio. Esattamente il contrario di quello che il governo italiano si propone, in aperto contrasto con le Convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto e con l’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione, che vale anche a bordo delle unità militari italiane impegnate nel canale di Sicilia. E poi, conclude Berlusconi, confortato dalle rassicuranti dichiarazioni di un ministro libico, “chi vuole chiedere asilo lo può fare in Libia, la Libia ha avuto negli ultimi tempi la presidenza del consiglio dell’ONU per i diritti umani”.

Che memoria corta, oppure quanta malafede per accaparrarsi il consenso elettorale di una larga fetta di italiani che sono soggiogati dalla politica della paura e che preferiscono vedere compromesso il loro futuro di convivenza e di progresso sociale in nome della lotta agli ultimi e dell’esclusione sociale di quanti, se fossero accolti in Italia, potrebbero non solo salvarsi dalle guerre e dalla fame, ma contribuire al benessere di tutti. Perché gli immigrati, quando vengono legalizzati, sono un importante fattore di crescita delle attività produttiva, degli incassi del fisco e degli enti previdenziali. E possono diventare, come a Rosarno e a Castelvolturno, anche un fattore che promuove legalità denunciando con coraggio le mafie, quelle mafie che gli italiani, tanto ansiosi di sicurezza, tollerano e accettano con rassegnazione.

Si mescolano strumentalizzazioni politiche, e contese diplomatiche, nella più totale ignoranza del diritto internazionale. Al di là della contesa tra Italia e Malta sulla ripartizione delle zone di competenza per il salvataggio, esistono, con una valenza gerarchica superiore, le norme di diritto internazionale che impongono a chiunque, mezzo militare o mezzo mercantile, sia nella prossimità di un’imbarcazione che sia affondata e dove ci siano vite umane in pericolo, di intervenire. Questo obbligo non può essere attenuato o escluso da questioni diplomatiche di ripartizione delle zone di competenza per il salvataggio che sono oggetto di accordi internazionali di rango inferiore rispetto a norme primarie come la Convenzione di Montego Bay. Questi obblighi di salvataggio e di conduzione in un “posto sicuro” ormai fanno parte non solo del diritto internazionale ma anche consuetudinario. Salvare vite umane a mare e condurle in un “porto sicuro”, non certo in Libia, è principio assodato ed intangibile e non si può limitare in base alle esigenze di contrasto dell’immigrazione clandestina. Purtroppo molti legislatori in Europa ed in Italia, in particolari su molti aspetti di diritto internazionale e di diritto interno, si stanno abituando all’idea che invece la vita in mare dei migranti “clandestini” abbia un valore relativo.

In realtà la normativa internazionale è chiara, ciò che non è chiaro è come operino gli stati. Il problema non è la suddivisione geografica di zone con delle linee, ma è dove vengono portate le persone che le unità navali soccorrono. In un momento in cui gli stati sono coalizzati per interventi di blocco dell’immigrazione clandestina, mettendo anche a rischio la salute e la vita dei migranti, in gran parte fuggitivi provenienti dalla Libia che approdano in Europa. Il problema è che se c’è una pattuglia di Frontex con un mezzo spagnolo, un mezzo italiano, un mezzo greco, un mezzo maltese, a secondo di chi effettua il salvataggio, si definisce dove questa persona debba essere accolta, magari è un richiedente asilo, ma se si tratta di una pattuglia congiunta con equipaggio libico, il Regolamento Frontex non dice niente e l’Unione Europea non ha mai chiarito nulla ed invece dovrebbe farlo.

Altra cosa è invece quando si verificano interventi di salvataggio al di fuori di Frontex, l’agenzia europea, perché in quel caso il conflitto fra stati viene regolato sulla base del diritto internazionale e delle norme di cui abbiamo parlato prima. In realtà nessun mezzo militare o mercantile può essere considerato un mezzo sicuro ed il salvataggio si completa soltanto con lo sbarco a terra. La regola dovrebbe essere che, se interviene un mezzo italiano, questo dovrebbe poi portare le persone in Italia (come è capitato peraltro lo scorso anno), anche se l’intervento è avvenuto in acque libiche o maltesi. Un malinteso senso di rigore verso l’immigrazione clandestina, una cattiveria di governo, ha fatto saltare tutte le regole d’ingaggio, ha riportato di fronte a Lampedusa i mezzi militari italiani impedendo loro di operare salvataggi più a sud, e questo per decisione del Ministero dell’interno che ha innescato una serie di incidenti diplomatici. Già a marzo è stata respinta una motovedetta italiana a Malta, adesso il caso Pinar ed infine il caso della motovedetta maltese respinta a Lampedusa dove aveva diritto di entrare e sbarcare le persone, perché era il posto più sicuro e più vicino. Pertanto questa nuova scelta politica che ha imposto nuove regole di organizzazione delle azioni della Marina Militare avrà delle conseguenze sul piano delle vite che si perderanno a mare nei prossimi mesi. Spero di sbagliarmi, ma fino ad ora i fatti mi danno ragione.

Italia e Malta non hanno ottenuto che sia rispettato il principio dell’equa distribuzione dell’immigrazione in sede Ue ma dobbiamo ricordare che i paesi dell’Europa centrale e settentrionale ricevono centinaia di migliaia di immigrati provenienti da est in condizioni tragiche se non per il viaggio, ma per quello che lasciano alle spalle. E’ bene insomma che l’opinione pubblica sappia che questo discorso non è stato mai affrontato in modo conclusivo a livello comunitario, dunque risulta evasivo appellarsi all’Europa come fa tutti i giorni il governo italiano.
Ad ogni vertice europeo c’è sempre un paese che tira fuori il problema del “burden sharing”, soprattutto tra gli stati comunitari del Mediterraneo, ma tra questo e le decisioni operative ed i relativi finanziamenti per questa distribuzione di oneri (e di persone) c’è realmente “il mare”. Infatti non c’è nessun impegno da parte dell’Unione Europea di finanziare gli spostamenti di immigrati che dovessero arrivare nei prossimi mesi in Italia verso altri stati europei.

Gli accordi bilaterali stipulati con la Tunisia e la Libia non legittimano i respingimenti in acque internazionali praticati dalle unità della marina militare e della guardia di finanza su ordine del ministero dell’interno. Nessuno di questi accordi è veramente vincolante per il futuro. Sono sempre punti di compromesso che hanno una validità di qualche mese, poi tutto dipende dai rapporti politici che sussistono fra diversi paesi e da come vengono gestiti questi rapporti. Ad esempio, nel caso della Tunisia, l’Italia aveva concordato il rimpatrio di un certo numero di tunisini giunti a Lampedusa nei mesi scorsi e quindi di un certo quantitativo a settimana. In realtà l’Italia avendo difficoltà ad identificare le persone appena sbarcate, ha rinviato in Tunisia, in prevalenza, persone che uscivano dal carcere, tossicodipendenti e sieropositivi. Questo ha alterato un po’ il quadro di riferimento creatosi quando a gennaio Maroni è andato a Tunisi per la firma dell’accordo e la Tunisia, per ora, in segno di protesta, ha bloccato completamente i rimpatri verso questo paese. Perchè secondo il governo di Tunisi l’Italia in un certo senso ha sbagliato, inviando una tipologia di immigrati diversa da quella per la quale era stato stipulato l’accordo. In questi accordi bilaterali dovrebbero esserci delle clausole che prevedano la salvaguardia dei diritti della persona, come il diritto all’asilo, alla salute, anche di chi deve essere rimpatriato. Invece, come nel caso della Libia, l’Italia ha un accordo che non prevede alcuna garanzia concreta per il pieno rispetto dei diritti umani, con particolare riferimento ai soggetti più vulnerabili come donne, minori e richiedenti asilo.
Dagli accordi ratificati a febbraio dal parlamento con voto bipartisan non era comunque prevista la riammissione in Libia di persone arrivate in Italia, o bloccate in acque internazionali ma soccorse da unità militari italiane.

Addirittura, il governo, con un ordine del giorno (*) approvato da un voto bipartisan, come poi risultava anche il voto finale sul disegno di legge di ratifica degli accordi con la Libia, riconosceva che in Libia i migranti, le donne ed i minori in particolare, subivano gravi abusi e che la Libia non offriva alcuna possibilità ai richiedenti asilo. Appena qualche mese dopo, in occasione della consegna delle tre motovedette ai libici, invece delle sei promesse da mesi, si permetteva ad un ministro libico di affermare che la Libia accoglie le richieste di asilo, mentre un logoro cerimoniale militare celebrava la rinnovata collaborazione con la Libia nella guerra all’immigrazione irregolare. Ed i trafficanti ringraziano, perché come ha ricordato anche Saviano, ogni volta che si spara nel mucchio, ogni volta che si generalizza, come nel caso dei migranti, in gran parte richiedenti asilo provenienti dalla Libia, che sarebbero gli unici responsabili dell’insicurezza degli italiani e della invasione di “clandestini”, le mafie ringraziano. Si spara contro 36 mila persone, senza vedere che la clandestinità è, e sarà sempre di più, frutto delle scelte proibizioniste del governo.

Si parla di contrasto delle mafie che in Libia taglieggiano i migranti che cercano di raggiungere l’Europa, ma si dimentica che quelle mafie prosperano proprio perché in Libia sono in tanti, in troppi a guadagnarci sull’immigrazione clandestina.
Ed è del resto noto che sono proprio i militari libici che rimettono in libertà i migranti quando questi possono permettersi di pagare (magari tramite Western Union) le guardie per evadere e fuggire verso la libertà.

Si prevede, con rinnovata retorica, il pattugliamento congiunto delle acque territoriali libiche, e persino delle acque internazionali, con tre motovedette, e quindi il respingimento verso la Libia di persone, subito dopo la loro partenza, persone che in gran parte sono richiedenti asilo, diretti verso l’Italia, i quali se respinti in Libia normalmente sono messe in detenzione ed esposte a violazioni che numerosi rapporti internazionali documentano fino allo scorso anno. Pertanto gli accordi per essere realmente efficaci, dovrebbero prevedere il rispetto dei diritti umani dei paesi confinanti, dovrebbero garantire l’esercizio effettivo del diritto di asilo o di protezione internazionale, e garantire controlli sulla corruzione delle forze di polizia nei paesi di transito. Se tutto si limita ad un trasferimento di funzioni di polizia rispetto ai migranti di paesi terzi, anche la Libia che subisce una forte immigrazione dall’interno, non ha interesse a riprendersi tutti gli immigrati rispediti dall’Italia, salvo qualche operazione di pura facciata, ed infatti anche le recenti operazioni poste in essere dalla polizia libica e disponibili nei filmati raccolti da Francesco Viviano, sono perlopiù tentativi di giustificare gli ingenti contributi che la Libia incassa dall’Italia e dall’Europa per contrastare l’immigrazione clandestina..

A questo punto la condizione dei migranti è destinata a peggiorare sempre di più. La Libia continua far partire persone solo che sono costrette a viaggi più lunghi, ad attese più atroci nei lager e capannoni dove sono nascoste e stipate. Ciò ne condiziona anche la salute e giungono in Italia persone con problemi sempre più frequenti di Tbc, di scabbia o come successo recentemente a Caltanissetta addirittura di meningite.

La popolazione italiana che oggi applaude entusiasta Berlusconi e Maroni presto si accorgerà che questa mano dura porterà al disastro sociale, provocherà ancora maggiore insicurezza e criminalità, perché se il Governo pensa di poter fermare totalmente l’immigrazione regolare, per esempio abolendo le quota dei flussi annuali di ingresso e rafforza soltanto le misure di contrasto dell’immigrazione irregolare, si trasmette un messaggio rassicurante per i prossimi mesi e fino alle prossime elezioni all’opinione pubblica, ma si creano condizioni che fra due, tre o quattro anni, determineranno una autentica bomba sociale, una bomba ad orologeria. Tutto ciò perché quelle persone che non potranno entrare regolarmente o che perderanno il permesso di soggiorno e non potranno rinnovarlo perché non hanno più un contratto di lavoro, tutti coloro che nel tempo ottenevano la regolarizzazione e non la otterranno più, resteranno sul territorio clandestinamente, colpevoli persino del nuovo reato di immigrazione clandestina, e nessun paese al mondo può permettersi un numero di immigrati clandestini superiore a un quarto del numero di tutti gli immigrati. Perfino gli Usa hanno affrontato questo problema con sanatorie, più volte negli anni, e penso che anche l’Italia e persino questo Governo, di fronte a questa emergenza sociale, sarà forse costretto ad adottare un provvedimento di parziale regolarizzazione, magari lontano da scadenze di voto, quando avrà già incassato il risultato delle iniziative xenofobe condotte durante questa campagna elettorale.

Già da prima dell’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, il governo parlava di un raddoppio dei CIE. Attualmente questi centri consentono di detenere circa 1000-1100 persone per 60 giorni. Noi abbiamo al momento 900mila immigrati che potrebbero potenzialmente finire in queste strutture per essere accompagnate in frontiera. Sappiamo che per la scarsa collaborazione dei paesi di provenienza, anche quelli che hanno stipulato accordi con l’Italia, appena il 40% di chi va in un CIE viene poi accompagnato al paese di provenienza. Sappiamo ancora, e questo lo confermano anche i sindacati di polizia, che, se una persona non viene identificata nei primi due mesi, difficilmente lo sarà nel futuro, restando ad occupare quel posto altri quattro mesi. In realtà, se sarà prolungato il periodo di detenzione amministrativa ed ammesso che si inizino a costruire anche cento nuovi CIE, l’effettiva capacità espulsiva dell’Italia verso i paesi di provenienza resterebbe esattamente la stessa o potrebbe per assurdo anche diminuire. Non si vuole accettare che il punto di partenza per governare le migrazioni è favorire forme di innesco della legalità e chiudere accordi con i paesi di transito o di provenienza che rispettino i diritti della persona e comunque trovare forme di cooperazione economica con questi paesi, come ha fatto la Spagna in anni passati e sottolineo questo esempio perché tale modello ha raggiunto risultati tangibili in diminuzione dell’immigrazione clandestina, ma forme di ingresso nella legalità di persone che riuscivano ad essere regolarizzate, anche dopo il loro ingresso irregolare in Spagna.

L’Italia sta invece seguendo la strada della criminalizzazione dei migranti, di tutti i migranti, persino dei richiedenti asilo costretti a rivolgersi alle organizzazioni criminali (reclutati…), ingolfando i CIE, poi si ingolferanno i tribunali, le carceri ed esploderà il sistema, perché il tempo di maturazione di questi problemi saranno molto più rapidi del tempo necessario a costruire 10 o 50 CIE per gli stranieri da espellere come va promettendo l’attuale governo in carica. Una promessa ( a nostro avviso una minaccia)che si ripete da un anno senza essere mantenuta.. E poi parlano di risultati concreti.

L’unico risultato concreto, oltre ai cinquecento disperati respinti verso l’inferno libico, finora è costituito dal raddoppio degli immigrati irregolari che sono arrivati in Sicilia nei primi quattro mesi del 2009, l’aumento dei morti e dei dispersi nel Canale di Sicilia, il peggioramento delle condizioni di salute dei migranti, la distruzione del sistema di accoglienza di Lampedusa, e da ultimo le pratiche disumane ed illegali di respingimento in alto mare verso i porti della Libia.. Nessuna svolta storica, ma solo un cammino a ritroso sulla via della democrazia e dello stato di diritto. Altro che sicurezza e contrasto delle organizzazioni criminali che sfruttano l’immigrazione clandestina. Gli ultimi provvedimenti del governo, il proibizionismo delle migrazioni, faranno soltanto aumentare i profitti dei criminali.

(*) Ordine del giorno approvato dal Senato il 2 febbraio 2009

 premesso che:
            il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione» tra Italia e Libia – oggetto di autorizzazione alla ratifica e all’esecuzione da parte del Parlamento – costituisce il punto di approdo di un lungo lavoro politico-diplomatico, che negli ultimi anni ha impegnato diversi governi italiani non soltanto per la normalizzazione delle relazioni bilaterali e il rafforzamento dei rapporti politici ed economici tra i due Paesi, ma anche, più in generale, per la stabilizzazione dell’area mediterranea, la promozione della pacifica risoluzione delle controversie nella medesima area e la piena affermazione dei diritti fondamentali della persona e dei principi di legalità internazionale;
            in tal senso, la sottoscrizione del Trattato deve ritenersi, oltre che un atto di riconoscimento della responsabilità storica dell’Italia verso la Libia, un rilevante contributo all’apertura della società civile libica e al dialogo con il mondo arabo e una risposta alle sfide poste dalla governance mediterranea, sotto i profili congiunti della sicurezza interna delle Nazioni, della pacifica convivenza dei popoli, della sicurezza energetica, dei movimenti migratori e della tutela dei beni culturali;
            l’articolo 19 del Trattato prevede che le due patti intensifichino la collaborazione in atto nella lotta alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare, in conformità ai Protocolli di cooperazione sottoscritti a Tripoli il 29 dicembre 2007;
            la stessa disposizione prevede in particolare che le parti promuovano la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche, il cui costo è posto per il 50 per cento a carico del Governo italiano, mentre per la copertura della quota restante è auspicato un impegno diretto dell’Unione europea, in coerenza con il processo di responsabilizzazione e coinvolgimento delle Istituzioni comunitarie nella costruzione del dialogo e della cooperazione euro-mediterranea;
            nella stessa sede le due parti si sono inoltre impegnate a collaborare alla definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei paesi di origine dei flussi migratori;
        

considerato altresì che:
            l’immigrazione clandestina proveniente dalla Libia e diretta verso le coste italiane è notoriamente controllata da organizzazioni criminali, che gestiscono dalle coste libiche gli imbarchi di migliaia di migranti provenienti da varie aree del continente africano – in prevalenza da regioni e Paesi interessati da conflitti armati o oppressi da regimi autoritari, quali il Ciad e il Darfur – con drammatici costi costi in termini di perdite di vite umane, a causa delle condizioni di viaggio spesso insostenibili cui sono esposti i migranti, e tra essi in primo luogo le donne e i bambini, e dei casi non infrequenti di abbandono in mare degli stessi da parte delle organizzazioni criminali che gestiscono questo traffico illegale;
            a fronte della persistenza e della gravità, anche sul piano umanitario, di questi fenomeni, non è stata attivata a tutt’oggi alcuna forma sistematica di controllo sugli imbarchi e di monitoraggio satellitare delle rotte marine utilizzate per il traffico di migranti;

        
considerato infine che:
            l’esercizio del diritto d’asilo, internazionalmente riconosciuto, non è legalmente tutelato sul territorio libico, non avendo la Libia sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati;
            le denunce avanzate dalle organizzazioni internazionali impegnate sui temi dei diritti umani testimoniano di gravissime violazioni dei diritti fondamentali della persona, perpetrate anche nei confronti di centinaia di rifugiati e potenziali richiedenti asilo, spesso sottoposti a regime di detenzione senza alcuno specifico riguardo per le condizioni di sofferenza di donne e minori;

        impegna il Governo:
            ad adoperarsi, anche in sede di definizione delle future intese bilaterali di cui all’articolo 19 del Trattato, per l’ottenimento di adeguate garanzie da parte del Governo libico in particolare per quanto riguarda i diritti umani dei migranti e il rispetto delle norme di diritto internazionale relative alla protezione dei rifugiati;
            in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 19 del Trattato, ad istituire un sistema permanente di monitoraggio satellitare delle rotte marine tra la Libia e l’Italia, ai fini della tempestiva individuazione delle imbarcazioni che svolgono il traffico clandestino di migranti e dell’eventuale prestazione di soccorso alle persone in difficoltà;
            ad adottare presso l’Unione europea, in sede di richiesta di finanziamento per il sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, ogni iniziativa utile affinché il Governo libico acconsenta allo svolgimento, da parte dell’Alto commissariato per i rifugiati, di un’azione di monitoraggio sulle politiche in materia di immigrazione – con particolare riguardo ai centri di detenzione degli immigrati – aperta anche alle Organizzazioni non governative più rappresentative sul piano internazionale.