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Il controllo della frontiera est dell’Unione Europea e il diritto d’asilo. Il caso della Slovacchia

Un foto-reportage dal confine ucraino-slovacco di Andrea Paggi e Michele Brancati

Come è noto, gli Accordi di Schengen del 1985, confermati dalla Convenzione di Schengen del 19 Giugno 1990, proponevano “…la libertà di attraversamento delle frontiere interne da parte di tutti i cittadini degli Stati membri e la libera circolazione delle merci e dei servizi”.(1)
L’abbattimento delle frontiere interne implicava però una maggior attenzione da parte degli Stati firmatari circa i confini con i Paesi terzi. A tale proposito, nel 2006 e 2007, sono state condotte alcune missioni di “valutazione Schengen” per assicurarsi che i nuovi arrivati dell’Unione Europea possedessero i requisiti necessari per l’ingresso in Schengen, soprattutto in materia di controllo delle frontiere esterne.

La Slovacchia, per assicurare il proprio ingresso nella zona Schengen, si è dotata di un muro virtuale, del costo di circa 100 milioni di euro, costruito lungo il confine con l’Ucraina. Dal Gennaio 2008, lungo i 97 chilometri che separano i due paesi, sono attive telecamere, anche a infrarossi e termo rilevatori (2) che avvertono il quartier generale di Sobranče della Polizia di Frontiera Slovacca nel caso qualcuno stia varcando il confine al di fuori di uno degli undici check point predisposti. Inoltre la Polizia di Frontiera è stata dotata di veicoli fuoristrada e veicoli speciali quali quad, motoslitte e elicotteri… allo scopo di arginare l’ingresso di migranti illegali (3) provenienti dall’Ucraina. Circa duemila persone ogni anno, fino al 2008, riuscivano a entrare illegalmente su territorio slovacco varcando il confine orientale. Con il Big Brother, questo il nome dato al muro virtuale, molti migranti illegali vengono intercettati al momento del loro ingresso su territorio europeo e rispediti al mittente. Infatti, in virtù degli accordi di riammissione stipulati tra Ucraina e Unione Europea nel Dicembre 2007, i migranti illegali che effettuano il loro ingresso in Slovacchia e sono intercettati entro quarantotto ore dal loro ingresso dalla Polizia di Frontiera, saranno riammessi in Ucraina nel caso vi siano prove che confermino la loro provenienza da questo paese.(4) I richiedenti asilo non saranno riammessi, in virtù di quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra e dall’Atto della Repubblica Slovacca n°480 del 2002. Essi potranno soggiornare nel centro d’accoglienza di Humenné in attesa di conoscere l’esito della propria domanda. Un esito quasi scontato se si considera che, nel 2007, su 2.643 richieste d’asilo, solamente 14 hanno avuto un responso positivo. In entrambi i casi, che si tratti di richiedenti asilo o meno, dopo aver preso le impronte digitali e le generalità di ognuno, gli ufficiali di polizia effettueranno interviste individuali in una lingua comprensibile per l’interrogato, spiegando anche il perché della cattura e detenzione.

Tuttavia, pare che tale diritto d’effettuare richiesta d’asilo non sia sempre garantito. Alcuni migranti testimoniano l’impossibilità di domandare asilo una volta giunti in Slovacchia e l’immediata riammissione in Ucraina.
E’ il caso di Mohammed:“Io gli ho detto (alle guardie di frontiera slovacche) dieci volte che volevo asilo e loro mi hanno mandato indietro. Loro mi hanno portato nella foresta, non da dove ero venuto, e hanno chiamato le guardie di frontiera ucraine e mi hanno consegnato a loro; […] io dicevo “asyl”. E’ lo stesso in slovacco, inglese, farsi…loro (le guardie di frontiera slovacche) avrebbero dovuto capire […] e loro ci hanno consegnato agli ucraini e detto: “Parlate con gli ucraini.”.(5)

Nello stesso Rapporto di Human Rights Watch si legge la testimonianza di K.I., un richiedente asilo indiano riammesso in Ucraina dopo aver attraversato il confine slovacco senza documenti. K.I. ha varcato il confine con altri trentasei connazionali, ma gli ufficiali di polizia hanno intervistato solo due di loro: gli unici che potevano parlare inglese. Per gli altri è stato impossibile spiegare i motivi del loro arrivo in Europa e quindi effettuare richiesta d’asilo.
La scorsa estate, mentre visitavo il Centro di Detenzione Temporanea di Sečovce, in Slovacchia, un ragazzo bengalese mi ha raccontato cosa gli è accaduto la prima volta che ha tentato l’attraversamento del confine ucraino slovacco. Era con altri nove connazionali e la polizia slovacca li intercettò immediatamente una volta varcata la frontiera. “Chiedevo asyl e loro rispondevano f..k you!”(6). Il gruppo venne poi consegnato ai poliziotti ucraini e trattenuto per circa ventiquattro ore in uno dei dipartimenti della polizia di frontiera ucraina dislocati lungo il confine. Qui tutti i bengalesi furono picchiati e non ricevettero cibo. Il giorno successivo furono condotti a Chop, Centro di Detenzione ucraino, e anche lì le condizioni erano pessime: “Non c’era acqua calda, ci picchiavano e il cibo era poco: praticamente solo pane…“.
Il problema delle “riammissioni facili” mi è confermato da un uomo che collabora da anni nel Centro d’Accoglienza di Humenné: “Prima dell’ingresso della Slovacchia in Schengen, arrivavano ogni notte richiedenti asilo qui al Centro. Oggi sono intercettati e rispediti indietro. Se vieni intercettato nei primi due chilometri dal confine ti rimandano subito in Ucraina. Puoi richiedere asilo nel caso ti trovino quando sei già in città o in paese… Però, se puoi dare mille dollari alla polizia ucraina e mille dollari alla polizia slovacca allora nessuno ti intercetta. Quando hai i soldi puoi andare dove vuoi…”(7). Il fatto che nel 2008 le richieste d’asilo siano calate a 909, circa un terzo dell’anno precedente, e che ad Aprile 2009 le richieste inoltrate siano state 205 (8), sembra confermare tale ipotesi.

Non risulta difficile credere a queste testimonianze se si considera quanto scritto nell’Annuario del Dipartimento della Polizia di Frontiera Slovacca: “La Repubblica Slovacca è prevalentemente un paese di transito per stranieri irregolari provenienti da paesi terzi e diretti, quasi sempre, verso l’Europa Occidentale. Se fermati, solitamente questi fanno richiesta d’asilo con l’intenzione di legalizzare il loro soggiorno attraverso un abuso delle procedure d’asilo e sapendo che in questo modo non sarà effettuato l’immediato rimpatrio. Le frequenti fughe dai centri di detenzione e accoglienza sono la prova tangibile del susseguente tentativo di continuare in direzione dell’Europa Occidentale. Molti di questi migranti che fuggono dai centri di detenzione sono poi fermati dalle autorità di frontiera di Slovacchia o Austria per attraversamento illegale di confine”.(9)
Queste parole si basano su un facile sillogismo: migrare legalmente verso i paesi europei è diventato estremamente difficile e la richiesta d’asilo è l’unico strumento nelle mani dei migranti per evitare o posticipare l’allontanamento dal territorio europeo; quindi la maggior parte dei migranti richiede asilo, pur non avendone diritto, solamente per poter rimanere su territorio europeo. Gli stessi ufficiali di Polizia, nel già citato rapporto di HRW, ammettono l’assenza di accertamenti svolti sulle persone che si vuole riammettere, l’assenza di interpreti, l’impossibilità di appellarsi contro la decisione della riammissione e la mancata spiegazione ai migranti dei loro diritti, tra cui il diritto di richiedere asilo.

Di conseguenza i migranti saranno riammessi in Ucraina: Paese considerato sicuro dall’Unione Europea, che ha finanziato il Paese con 2.400 miliardi di euro dal 1991 al 2006 e rilasciato nuovi visti per i suoi cittadini grazie ai progressi raggiunti negli accordi i riammissione. Un paese dove però è molto difficile poter effettuare richiesta d’asilo e solamente l’1,5% dei richiedenti se lo vede garantito. E’ molto difficile perché a Chop, Pavshino e Mukachewo, i centri ucraini dove sono stipati gli illegali, i moduli per effettuare tale domanda sono in cirillico e non sono presenti né interpreti né avvocati che possano aiutare a compilarli. E chi riuscisse a riempire i moduli, in seguito dovrà corrompere qualche ufficiale di polizia, così da assicurarsi che il modulo non venga cestinato, ma giunga sulle scrivanie del Regional Migration Service. Chi invece può presentarsi di persona all’ufficio immigrazione per effettuare domanda d’asilo, dovrà pagare dieci dollari all’impiegato di turno, altrimenti il modulo compilato non uscirà dall’ufficio se non accartocciato dentro un sacchetto di spazzatura.

Tuttavia si incontrano ulteriori problemi nei centri per illegali in Ucraina. Le strutture ucraine che accolgono i richiedenti asilo sono le stesse strutture che accolgono i migranti illegali. Il Comitato Europeo per la Prevenzione delle Torture e dei Trattamenti Inumani e Degradanti (CPT) ha stilato un resoconto sui centri di detenzione e centri di detenzione temporanea in Ucraina, in seguito a una visita da parte del CPT avvenuta dal 9 al 21 Ottobre 2005. (10)
Durante la visita nei centri di detenzione per illegali in Ucraina, CPT ha ricevuto denunce di maltrattamenti fisici inflitti ai detenuti dagli ufficiali di polizia. “Nel centro di Uzhorood,(11) tutti i detenuti provenienti dalla zona sub-sahariana, sono stati presumibilmente forzati a spogliarsi nel corridoio dell’area di detenzione, al mattino presto, e ad effettuare esercizi fisici davanti allo staff. Atti come questi, che chiaramente mostrano un carattere razzista, sono totalmente inaccettabili”. (12)
Abdulvahid, un richiedente asilo afgano, dichiara: “Loro (i poliziotti) dicevano che questa era la loro vendetta perché gli afgani avevano ucciso i soldati sovietici in guerra”. (13)
K.K., un ceceno richiedente asilo trattenuto nel centro di Chop, dichiara di essere stato picchiato quasi tutti i giorni dagli ufficiali di polizia, prima della detenzione e nel periodo della detenzione: “Loro mi chiedevano continuamente: “Hai combattuto in Cecenia? Non hai combattuto? Non hai combattuto…perché non hai combattuto? Dove pensavi di andare?”.(14)
Le strutture sono inadatte al numero di persone ospitate. Le celle nel centro di L’viv sono di 18mq ed ospitano dodici letti; a Chop diciassette letti sono distribuiti in 28mq. Il centro di Pavshino al tempo della visita della delegazione CPT risultava sovraffollato: 393 stranieri trattenuti per una capacità massima di 250 persone. Di conseguenza alcuni detenuti dormono in terra su dei materassi mentre altri dormono nello stesso letto. Ventuno persone erano accomodate in una stanza di 16mq contenente quattordici letti. Nel centro, dalle 20 alle 8 di mattina, i detenuti possono espletare i loro bisogni solamente in secchi o borse di plastica. Solo alcuni dei detenuti interpellati hanno avuto accesso alle docce. Nello stesso centro l’assistenza sanitaria non è garantita: non sono effettuati check-up prima dell’ammissione nel centro e le visite mediche sono inadeguate riguardo il monitoraggio di malattie infettive (nel report si riporta il caso di un detenuto che presentava una forte colorazione itterica, forse a causa di epatite virale, ma egli non è stato curato o soggetto di particolari attenzioni).(15)
Non la pensa così Anatolij, collaboratore della ONG Neeka, unica ONG che ha accesso ai centri ucraini. L’incontro nella sede Neeka di Mukachewo e non fa altro che ripetermi che le condizioni a Pavshino sono ottime, il cibo è ottimo, c’è acqua calda in abbondanza e stanze semi private. “Sì”, mi risponde alla quinta volta che gli domando se i diritti umani vengano rispettati, “i diritti umani sono rispettati. Ma spesso asiatici e musulmani si rifiutano di pulire le proprie camere e corridoi, e quando le guardie gli chiedono di farlo, loro affermano che ciò è contrario ai diritti umani. Questo è il problema. E le organizzazioni internazionali che denunciano il fatto che nei centri di detenzione temporanea in Ucraina i diritti umani non siano rispettati parlano di cose che non conoscono. Ad esempio a Mukachewo i migranti vivono molto bene: qui vivono soprattutto donne e bambini e la cucina è nel centro, quindi il cibo non è di qualità pessima. Inoltre noi di Neeka portiamo regolarmente al centro i prodotti igienici necessari, pane, biscotti e acqua”(16).
R.K., un ragazzo che incontro nel centro d’accoglienza slovacco di Humenné, non è d’accordo con Anatolij: “I miei amici mi hanno raccontato che le condizioni nel centro di Mukachewo sono pessime. Alcuni ci sono rimasti due o tre anni. A volte i detenuti a Mukachewo vengono prelevati di notte e condotti alla frontiera a lavorare sulla ferrovia. Infatti, a causa del fatto che alcuni binari in Ucraina sono differenti da quelli europei, il lavoro consiste nello spingere i vagoni dei treni per effettuare il passaggio. Sono ai lavori forzati. E per uscire da Mukachewo l’unica soluzione è pagare”(17).

Visto così, l’Ucraina non sembra un paese troppo “sicuro” per i riammessi dall’Unione Europea. E non si è ancora detto della politica dei rimpatri adottata dal governo ucraino. Nel corso del 2004 oltre cinquemila persone sono state deportate dall’Ucraina. (18) Circa duemila sono stati deportati verso paesi asiatici, quali Cina, India, Pakistan e Bangladesh. Mentre oltre tremila verso paesi dell’ex Unione Sovietica. Tra i deportati figurano i richiedenti asilo che hanno visto fallire la loro applicazione.
Circa quattrocento dei deportati, provenienti da Afghanistan e Cecenia, sono stati rimpatriati nel 2004 senza aver avuto accesso alle procedure d’asilo: alcuni non hanno potuto nemmeno presentare la domanda, altri non rientravano nei parametri di cui all’Articolo 9 della Refugee Law (19) ed altri si sono visti negare l’accesso alle procedure finali in seguito all’intervista condotta dal Migration Service.
L’ordine di deportazione viene emesso dal Ministero degli Affari Interni o dal Border Guard Service, secondo quanto stabilito dall’Ordine n° 477/877. (20) I ceceni sono, secondo Human Rights Watch, il gruppo più a rischio circa i rimpatri. Essi non hanno accesso alle procedure d’asilo in Ucraina e sono regolarmente deportati verso la Federazione Russa.(21) E’ altresì noto il fatto che molti ceceni siano soggetti a torture e trattamenti inumani da parte dei Russian Security Services allo scopo di ottenere confessioni e il fatto che nei procedimenti giuridici contro questi siano presentate prove costruite per assicurarne la condanna. (22)Il 26 Dicembre 2006 è stato firmato un accordo di riammissione tra Ucraina e Federazione Russa che dovrebbe entrare in vigore nel 2010. Ciò ha portato molte ONG a credere ad un’imminente minaccia di deportazioni in massa di ceceni alla volta della Federazione Russa. (23)
Infine è noto il caso dei dieci richiedenti asilo uzbeki rimpatriati dall’Ucraina nella notte del 14 Febbraio 2006. Appartenenti all’opposizione, i dieci erano accusati dal governo uzbeko di aver preso parte agli eventi di Andizhan, quando il 13 maggio 2005 si svolse una manifestazione per protestare contro le politiche repressive del governo e la povertà diffusa nel paese. Le forze di sicurezza uzbeche aprirono il fuoco sulla folla. Centinaia di persone sospettate di aver preso parte alla manifestazione furono arrestate, molte altre vennero sottoposte a maltrattamenti e torture. I processi falsati furono molti. Il rimpatrio dei dieci significava probabili torture e maltrattamenti. Ad oggi non è nota la sorte toccata ai deportati. (24)
L’Ucraina è considerato dall’Unione Europea un paese terzo sicuro; tuttavia si è visto che in alcuni casi ha violato l’Articolo 33 della Convenzione sullo Status dei Rifugiati del 1951 (25), che afferma il principio del non-refoulement, e l’Articolo 3 della CEDU (26), dove si afferma il divieto della tortura e di maltrattamenti (condizioni di vita dei migranti nei centri di detenzione in Ucraina e percosse subite ne sono un esempio).
L’Unione Europea, che a Tampere auspicava un’area di libertà, sicurezza e giustizia non appannaggio esclusivo dei cittadini dell’Unione, “…ma richiamo per molti altri che nel mondo non possono godere della libertà che i cittadini dei paesi dell’Unione danno per scontata. Sarebbe contrario alle tradizioni europee negare tale libertà a coloro che sono stati legittimamente indotti dalle circostanze a cercare accesso nel nostro territorio.” (27) si barrica oggi dietro i propri confini, stipulando accordi spesso irrispettosi del diritto internazionale. Considerare sicuri paesi che violano la Convenzione di Ginevra e la Convenzione Europea dei Diritti Umani significa non condannare tali reati e macchiarsi degli stessi.
Ci si trova quindi di fronte ad un’Unione Europea a due facce: rispettosa dei diritti umani e del diritto d’asilo ma che lascia volentieri svolgere il lavoro sporco a chi è ben lieto d farlo pur di ricevere importanti aiuti: i nuovi vassalli della Fortezza Europa.

Testo di Andrea Paggi – Laurea specialistica in relazioni Internazionali dell’Università di Bologna

Fotografie di Michele Brancati – www.michelebrancati.it


Note
(1) Accordi di Schengen, 14 Giugno 1985.
(2) I termo rilevatori inviano un allarme al quartier generale solamente nel caso sia una persona a varcare il confine poiché riescono a “distinguere” le persone dagli animali.
(3)Secondo l’Ufficio della Polizia di Frontiera del Ministero degli Interni della Repubblica Slovacca, è illegale chi attraversa il confine in posti differenti dai check point o chi, pur passando da uno degli undici check point, presenta documenti falsi o contraffatti, o si nasconde nei mezzi di trasporto o tenta di evitare i controlli alla frontiera.
(4)Possono essere considerati prove documenti attestanti la permanenza del migrante in Ucraina; ricevute di albergo o biglietti ferroviari emessi in Ucraina; orme lasciate dal migrante, solitamente nella neve, durante l’attraversamento del confine…
(5) Human Rights Watch, Ukraine on the margin: rights violations against migrants and asylum seekers at the new eastern border of the European Union, 2005.
(6) 20/8/2008 Sečovce
(7) 21/8/2008 Humenné
(8) Ministero degli Interni della Repubblica Slovacca, www.minv.sk
(9) Ministry of Interior of the Slovak Republic Bureau of Border and Alien Police, Yearbook 2007, 2008.
(10) CPT, Report to the Ukrainian Government on the visit to Ukraine carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT), Strasburgo, 20 Giugno 2007, www.cpt.coe.int
(11) Dipartimento della polizia di frontiera ucraina dislocato lungo il confine
(12) CPT, 2007.
(13) HRW, 2005.
(14) Ibid.
(15) CPT, 2007.
(16) 13/8/2008 Mukachewo
(17) 21/8/2008 Humenné
(18) HRW, 2005.
(19) Il Migration Service può decidere di rifiutare un’applicazione per ottenere lo status di rifugiato nel caso il richiedente affermi di essere un’altra persona o nel caso il richiedente non incontri le condizioni di cui all’Articolo 1 paragrafo 2 di questa Legge (Per rifugiato si intende un cittadino non ucraino che, a causa di una paura fondata di essere vittima di persecuzioni per ragioni di razza, religione, gruppo etnico, nazionalità, appartenenza a gruppi o opinioni politiche, è fuori dal proprio paese e non può o non vuole avvalersi della protezione di tale paese a causa della suddetta paura o essendo apolide e fuori dal paese di ultima residenza non può o non vuole tornare in tale paese a causa della suddetta paura).

(20) La detenzione e l’espulsione oltre i confini di Stato sono stabilite dal Ministero degli Affari Interni ucraino e dalle Divisioni della Polizia di Frontiera.
(21) I ceceni non incontrano miglior sorte in Slovacchia, dove a nessuno di loro viene garantito il diritto d’asilo. In Austria invece ben il 99% dei richiedenti ceceni ottiene asilo.
(22) ECRE, Country reports 2007: Belarus, Moldova, Russian Federation and Ukraine. Situation for refugees, asylum seekers and internally displaced persons (IDPS),2008, www.ecre.org
(23) Ibid.
(24) Amnesty International, Briefing for the Committee against Torture on Ucraine, 30 Aprile 2007, www.amnesty.org
(25) Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler) – in nessun modo – un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche
(26) Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti
(27) Conclusioni della Presidenza, Consiglio Europeo di Tampere, 15 e 16 Ottobre 1999