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Caritas /Migrantes – Dossier statistico 2009

Conoscere per essere solidali

1) Il valore di questo dossier

è Prezioso il dossier della caritas di quest’anno; lo è quanto e più degli altri diciotto volumi che lo hanno preceduto.
“La mancanza di conoscenza produce seri danni”, si legge nell’introduzione del rapporto. Proprio per ridurre il più possibile questi danni, ogni anno la Caritas si impegna a fornire a chiunque voglia usufruirne quello che è forse il più serio e completo degli strumenti conoscitivi italiani in materia di immigrazione.
Lo fa la Caritas, si noti bene, e non il Ministero dell’Interno. La Caritas, e non i partiti politici al governo e all’opposizione che invece quasi mai costruiscono le loro riflessioni sull’argomento a partire da dati raccolti e poi analizzati con lucidità e sincera voglia di leggere e interpretare, senza strumentalizzazioni, la realtà circostante.

2) Contenuti

Sono 4,5 i milioni di cittadini di origine straniera che vivono oggi regolarmente in Italia (e a questi dati andrebbero aggiunti quelli, difficilmente calcolabili, delle presenze non regolari). Il 2008 è stato il primo anno in cui, nonostante la crisi, l’incidenza della presenza immigrata sul territorio italiano si è collocata al di sopra della media europea.
Questo è certamente il primo dato che tutti i giornali e i telegiornali riporteranno, alcuni forse senza il dovuto approfondimento.
A partire da questo dato, invece, il Dossier della Caritas racconta le mille sfaccettature di una realtà così significativamente mutata e in modificazione, analizzando il fenomeno delle migrazioni verso l’Italia e della presenza di cittadini di origine straniera in Italia, da molteplici punti di vista.
Etrando nel dettaglio di questa complessissima materia, alcuni capitoli del libro sono ad esempio dedicati a determinate categorie di popolazione di origine straniera presenti in Italia: l’insieme degli africani e la specificità della collettività marocchina; la realtà dell’immigrazione dal Brasile, paese che è rimasto a lungo meta di immigrazione proprio da parte degli italiani; l’immigrazione cinese considerata “al di là degli stereotipi” di cui soffrono soprattutto i giovani cittadini di origine cinese presenti da tutta la loro vita in questo paese.
Altre parti del libro riguardano invece analisi più precise dei “flussi” migratori verso l’Italia, avanzano stime ipotizzabili rispetto al futuro, si concentrano sull’inserimento socio-culturale degli immigrati, sulla loro relazione con il mondo del lavoro, e valutano il fenomeno, in fine, con riguardo ai contesti regionali, affrontando l’attuale dibattito sulla definizione delle quote scolastiche e di quelle relative all’accesso alle abitazioni per gli immigrati: tematiche che necessitano, inevitabilmente, della sperimentazione di soluzioni differenziate e di diversi “modelli di integrazione” a seconda dei contesti locali.
Dai dati della Caritas e dal sesto rapporto Cnel (che sperimenta una sovrapposizione di criteri assoluti e differenziali per analizzare “gli indici di integrazione degli immigrati in Italia”) emerge così come esista un ampio divario tra i “potenziali di integrazione socio-occupazionale degli immigrati” nelle diverse aree del paese, e come i processi di “integrazione” riescano meglio in piccoli centri di Provincia che nelle grandi metropoli. Singoli paragrafi approfondiscono poi il dettaglio di alcuni contesti regionali, sottolineando tra essi contiguità e differenze.
Il volume, in fine, si completa di un “Inserto rifugiati” che si articola innanzitutto in un contributo a cura dell’Unhcr in cui si tocca, al di là delle statistiche riguardanti il numero di rifugiati e richiedenti protezione internazionale, il tema spinoso del diritto d’asilo (nelle sue varie forme) e delle violazioni di questo diritto consumate attraverso le pratiche dei respingimenti nel Mare Mediterraneo di recente sdoganati dal governo italiano.
Segue poi un bilancio sugli interventi dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) messi in opera nel 2008 che si rivelano, seppur fondamentali, ancora lontani dal coprire tutte le necessità che la gestione di un fenomeno come quello dell’accoglienza dei rifugiati comporta.

3) Dai dati alla riflessione

Al di là delle cifre e delle statistiche, però, cosa ci dice, quest’anno, il dossier della Caritas?
Ci dice innanzitutto che l’immigrazione in Italia non è un fenomeno comprensibile se estrapolato dal contesto mondiale di un pianeta che ha visto 42 milioni di persone, nel solo 2008, costrette a fuggire da guerre e persecuzioni e un miliardo della popolazione mondiale vittima della fame.
Ci dice poi che l’immigrazione è una risorsa necessaria per i paesi di origine dei migranti (le rimesse sono infatti uno dei modi più efficaci di “aiutarli a casa loro”, come direbbe qualcuno con tanta demagogia), ma è anche una risorsa irrinunciabile per paesi di arrivo come il nostro, in cui, nonostante le precarie condizioni economiche della maggior parte delle famiglie italiane, senza immigrati crollerebbero la maggior parte degli equilibri economici e sociali.
è alla luce di queste riflessioni, sembra dire il dossier, che non deve allora spaventare il grandissimo incremento del numero di residenti stranieri sul nostro territorio, decuplicato a partire dagli anni ’90: si tratta di una presenza derivante da due fattori sinergici: le necessità dei migranti e dei loro paesi d’origine e le necessità delle società di arrivo, le nostre.
Fondamentale è il fattore demografico: l’Italia, ormai è un luogo comune ma è sempre più vero, è carente di giovani e di nascite: interi Comuni a rischio di estinzione hanno trovato nuova linfa vitale grazie all’insediamento dei migranti.
Guardare alle migrazioni come a una risorsa, per restare nel computo a volte disumano dei costi/benefici e volendo per un momento dimenticare che si tratta di persone in carne ed ossa, non significa però glissare (e il dossier della Caritas non lo fa assolutamente) sulle criticità che simili cambiamenti sociali inevitabilmente comportano. Quel che viene esplicitato nelle pagine di questo testo è piuttosto la necessità di rimanere lucidi, di considerare il fenomeno per quello che realmente è, di non cedere a paure pericolose e ad allarmismi irresponsabili: di conoscere, insomma, prima di giudicare.
Per fare questo non è possibile, evidentemente, considerare le migrazioni solo dal punto di vista dell’ordine pubblico, semplicemente come un problema di “sicurezza”: non è un caso che la percezione comune dei cittadini italiani porti ad affermare che l’aumento della criminalità sia dovuto all’aumento della popolazione migrante, o che percentualmente i migranti delinquano più degli autoctoni, mentre entrambe queste affermazioni, una volta valutati i dati statistici, risultano del tutto prive di fondmaento.
Sono questi atteggiamenti pregiudiziali che porterebbero a non comprendere una realtà semplice ed essenziale: è soprattutto la chiusura identitaria e il dispregio della dignità umana a rendere insicuri i territorio che tutti insieme, cittadini di diverse origini, ci troviamo ad abitare.
Pesanti dubbi vengono poi espressi in merito alle scelte legislative che hanno reso ancora più difficile l’ottenimento della cittadinanza italiana, considerata sempre più come una concessione (anche per chi è nato sul territorio italiano da cittadini di origine straniera) e sempre meno come un diritto, cosa che allontana per moltissime persone la possibilità di sentirsi pienamente parte della realtà politica, economica e sociale nella quale abitano, lavorano, hanno costruito una famiglia.
Vengono inoltre ribadite le perplessità, già esplicitate dalla parte più illuminata della comunità ecclesiale, nei riguardi delle norme che compongono il Pacchetto sicurezza in quanto semplicemente afflittive nei confronti dei migranti. Si propongono, di conseguenza, alternative più “razionali”, quale potrebbe essere, ad esempio, una regolarizzazione meno imbrigliata e difficoltosa di quella appena conclusa, che permettesse realmente a centinaia di migliaia di persone di uscire dall’illegalità forzata cui le leggi italiane le hanno costrette.
Purtroppo, ricorda ancora il dossier in uno dei saggi introduttivi, lo stesso atteggiamento “Anti-immigrazione” riscontrabile in Italia ha da ultimo caratterizzato anche la maggior parte dei paesi dell’Unione europea, segnati ciascuno da una storia migratoria diversa dall’altro, ma tutti accomunati dal fatto di appartenere ad una realtà sovranazionale che comprende ormai, all’interno dei suoi confini, quasi 31 milioni di cittadini di origine straniera.
Rispetto ai reali effetti che la crisi economica sta producendo sul fenomeno immigratorio a livello italiano e comunitario non è ancora possibile avere delle stime precise. Nulla fa pensare, però, e questo viene più volte ribadito all’interno del dossier, che gli immigrati presenti in Europa rientreranno in massa nei paesi d’origine. La crisi, insomma è un fattore nuovo e ancora in gran parte non decifrabile che sta ponendo e continuerà a porre tutti noi di fronte ad una rinnovata sfida di comprensione e ad un rinnovato sforzo di convivenza (e di reperimento di energie proprio grazie alla convivenza) nelle difficoltà.
Superare i luoghi comuni, quindi, e le paure indotte, attraverso l’osservazione della realtà circostante: questo sembra essere il principale invito che il Dossier Statistico Immigrazione rivolge a tutti noi.
Solo in questo modo riguadagneremo il nostro spirito critico e saremo veramente in grado di decifrare i cambiamenti delle nostre società, viverli fino in fondo contribuendo al sueramento dei conflitti, e giudicare lucidamente le scelte politiche fatte in materia di immigrazione.
Si resterà ad esempio stupiti, se si sceglie di partire dai dati oggettivi, nel constatare come i famosi “sbarchi” sulle coste del Sud Italia, tanto spettacolarizzati dai media nazionali, riguardino solo una percentuale irrisoria dei migranti presenti sul territorio, e come i rimpatri forzati, i respingimenti alle frontiere, la detenzione nei centri di identificazione ed espulsione, siano pratiche in realtà rivolte contro un numero di persone così esiguo da non rappresentare neppure un cinquantesimo della presenza dei migranti regolari nel paese. Questi dispositivi di “contrasto all’immigrazione clandestina”, quindi, se solo li si guarda alla luce dei dati che questo dossier offre, rivelano tutta la crudeltà (queste sono parole nostre e non della Caritas) di azioni altamente lesive dei diritti e della dignità della persona umana, che sembrano essere messe in atto, sulla pelle di donne, uomini e bambini, soprattutto per il loro portato demagogico e simbolico.

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