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Reddito e welfare per i migranti, quando la regolarità del soggiorno non basta

Yes we cash, una campagna per la continuità dei diritti e del soggiorno ai tempi della crisi e della Bossi Fini

Non basta per i migranti avere in tasca un permesso di soggiorno per accedere alle forme di welfare previste per i cittadini italiani. L’erogazione delle prestazioni di assistenza sociale e provvidenziale più che il principio della regolarità segue principi discriminatori, proiettando sulla popolazione straniera regolarmente soggiornante gli effetti dell’inclusione stratificata e differenziata.

Ma procediamo con ordine.
Il reddito è centrale nella vita dei cittadini stranieri (ricordiamolo: la legge non li considera cittadini finché non conseguono la cittadinanza italiana), non solo come garanzia di un livello socialmente decoroso di esistenza e della possibilità di scelta ma, prima di questo, è centrale perché sulla base reddituale viene riconosciuto o negato il diritto di restare, di soggiornare regolarmente.
Dalla Legge Turco Napolitano in poi, i “soldi” sono la condizione sine qua non per poter continuare a soggiornare regolarmente come lavoratori e, dal 2001, le frequenti modificazioni al Testo Unico sull’Immigrazione hanno puntualmente aumentato la soglia di reddito annuale necessaria al rinnovo del titolo di soggiorno, moltiplicandola per ogni familiare a carico. Non solo, la capacità reddituale calcolata in base alle tabelle ministeriali è un requisito ferreo per poter esercitare il diritto – fondamentale – dell’unità familiare, dal momento che per poter ricongiungere i propri cari occorre mostrare il possesso di redditi “da fonti lecite”.
La Bossi Fini non si limita allora a vincolare il diritto di soggiorno al possesso di un lavoro, ma interviene fissando anche quale disponibilità economica “da fonti lecite” debba avere il lavoratore per esercitare i propri diritti.

Le conseguenze si abbattono sulle vite dei migranti con effetti devastanti, non solo perché, come ben sappiamo, chi non ha un contratto di lavoro non può rinnovare il titolo di soggiorno, ma anche perché se il reddito non è sufficiente metà famiglia resta senza il permesso. E allora ecco il frequente paradosso di mogli “clandestine” e mariti regolari o ancora di mogli che scompaiono dai documenti dopo anni di soggiorno regolare “solo” per una questione di soldi. O di famiglie che vorrebbero vivere unite ma sono separate da milioni di chilometri.

Ma, dicevamo, conseguire la regolarità ed avere in tasca un permesso di soggiorno non è sufficiente a vivere una vita socialmente dignitosa e ragionevolmente superiore alla soglia della povertà.
Il Testo Unico sull’immigrazione garantisce: “gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno sono equiparati ai cittadini italiani ai fini delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale incluse quelle previste per (…) gli invalidi civili e per gli indigenti”. La realtà è molto diversa.

Con la legge finanziaria n. 388/2001 questa equiparazione viene assicurata solamente ad alcuni stranieri regolarmente soggiornanti, ovverosia quelli che in tasca hanno un permesso a tempo indeterminato: la carta di soggiorno, oggi denominata permesso CE lungo soggiornanti.
La carta di soggiorno, conseguibile dopo 5 anni di soggiorno continuativo e regolare, è diventata una vera e propria chimera per la maggior parte dei migranti regolari, raggiungibile dopo un percorso infinito di ostacoli che continuano ad aumentare decreto dopo decreto, emergenza dopo emergenza. La capacità reddituale resta una condizione onnipresente. La legge 94/2009 in materia di sicurezza, non riuscendo ad inasprire oltre i criteri previsti per l’ottenimento della carta di soggiorno, si è “limitata” ad inserire il requisito della conoscenza obbligatoria della lingua italiana, da dimostrare attraverso il superamento di un test presso enti competenti – presumibilmente dietro pagamento di una nuova tassa. Un tentativo grave di ancorare il diritto di soggiorno permanente ed il diritto alle prestazioni sociali anche alla certificazione della conoscenza dell’italiano.
Vediamo alcuni esempi per capire meglio.
L’assegno di invalidità civile che spetta alle persone che abbiano una invalidità civile certificata superiore al 74% è oggi collegata al possesso della carta di soggiorno. Pertanto chi possiede il solo permesso di soggiorno non può ad oggi riscuotere l’assegno di invalidità, ed essendo invalido non può nemmeno proporsi per lavorare.
Anche l’assegno di maternità, che spetta alle donne in stato di gravidanza, viene erogato solamente alle mamme straniere che hanno la carta di soggiorno. Tutte le altre devono farne a meno.
In questo periodo di crisi alcune Regioni e Comuni, come ad esempio la Regione Lombardia o il Comune di Treviso (ma chissà quanti altri) hanno inserito il requisito della carta di soggiorno per erogare contributi a sostegno del reddito quali Bonus Famiglia, assegni di disoccupazione, riduzione delle rette per i nidi di infanzia, per la refezione scolastica ed altri servizi per l’infanzia.

Restano poi altre misure di provvidenza sociale per le quali al requisito della carta di soggiorno si aggiunge quello dei 10 anni di residenza continuativa e regolare.
L’assegno sociale, una sorta di elemosina di 5317,65 euro annui erogati dall’Inps, spetta ad esempio alle persone di oltre 65 anni senza pensione e con un reddito basso, ma solo se hanno la carta di soggiorno e dieci anni di residenza regolare.
Il piano di edilizia residenziale varato con la legge 133/2008 per la prima volta limita gli interventi di incremento del patrimonio immobiliare di abitazioni di edilizia residenziale pubblica ai cittadini italiani ed ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da almeno 10 anni; una forma di discriminazione diretta che contrasta addirittura con la stessa legge sull’immigrazione che consente a tutti gli stranieri in possesso di permesso almeno biennale di accedere agli alloggi pubblici.

Di fronte a simili discriminazioni ed esclusioni, il reddito minimo garantito reclamato da Yes we cash si pone al contrario come strumento per affermare il principio di uguaglianza nell’accesso alle forme di welfare e di sostegno sociale.
Yes we cash insiste infatti sulla necessità, di fronte alla crisi economica, di una legge regionale in Emilia Romagna per l’erogazione di un reddito di base a precari, inoccupati, disoccupati, giovani, lavoratori impiegati con i più svariati contratti di collaborazione e prestazione, interinali, somministrati ecc, persone cioè che non hanno i requisiti richiesti attualmente dall’Inps per ottenere il sussidio di disoccupazione.

In una fase di crisi economica in cui i cittadini stranieri insieme alla perdita del lavoro rischiano la perdita del soggiorno per sé e per i propri familiari, una legge regionale per il reddito minimo garantito diverrebbe una erogazione di reddito diretto che, riconoscendo le devastanti responsabilità della legge Bossi-Fini modificata dal Pacchetto Sicurezza in termini di sfruttamento e precarietà della forza lavoro migrante, ne sospenderebbe i terribili effetti.
Una misura intelligente e responsabile per esprimere in maniera concreta e conseguente le posizioni di contrarietà della Regione Emilia Romagna alla politica in materia di immigrazione dell’attuale Governo.
Una misura intelligente e responsabile per affermare che la clandestinità altro non è che è il prodotto delle leggi e che l’Emilia Romagna riconosce come cittadini con pieni diritti gli oltre 470 mila migranti che abitano in regione.

Yes we cash! Reddito e soggiorno per tutti!

yeswecash.blogspot.com