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Diritti, cittadinanza, lavoro e antirazzismo: Introduzione al seminario di Uninomade e Melting Pot sulle migrazioni

di Sandro Mezzadra, Bologna, 13 febbraio 2010

Per quel che riguarda Uninomade è un primo tentativo di organizzare un momento di riflessione e di approfondimento immediatamente a ridosso di eventi politicamente salienti.
Fino ad oggi Uninomade si è caratterizzata per l’organizzazione di seminari attorno a grandi temi teorici: la democrazia, il “comune”, c’è stata una serie di incontri proprio attorno al tema del comune che fanno riferimento evidentemente a un percorso di ricerca di medio periodo che ha le sue esigenze e soprattutto i suoi tempi. Ma fin dall’inizio abbiamo avvertito la necessità di affiancare a questo percorso di periodo medio lungo momenti di approfondimento e riflessione a ridosso di eventi su questioni politicamente urgenti, di attualità.

Discutiamo di migrazioni quest’oggi circa un mese dopo i fatti di Rosarno, la rivolta dei migranti a Rosarno e il tentativo di pogrom che è seguito, e a poco meno di due settimane dal primo marzo, dalla giornata senza di noi che molte e molti dei presenti stanno contribuendo a costruire dentro un percorso di ricerca di nuove forme di azione politica e nell’ultima parte del seminario di oggi vorremmo anche confrontarci sulle idee e sulle proposte che attorno al primo marzo stanno circolando.

Quello delle migrazioni è un tema a cui Uninomade non ha mai dedicato un momento specifico di approfondimento, e che però, negli ultimi quindici-vent’anni, è stato al centro sia dell’iniziativa di movimento sia degli studi critici.
C’è ormai in Italia una consolidata scuola di riflessione critica sulle migrazioni che ha attraversato diversi ambiti disciplinari e ha messo in discussione gli stessi confini che dividono questi ambiti disciplinari: sociologi ed economisti, giuristi e filosofi, antropologi, si sono confrontati sul tema della migrazione producendo anche in Italia un patrimonio estremamente significativo di consocenza intorno a tema delle migrazioni.
Soprattutto quello che ha caratterizzato gli studi critici sulle migrazioni nel nostro paese è uno “sguardo”, potremmo dire, decisamente diverso sul fenomeno migratorio rispetto a quello che è prevalente non solo nel discorso pubblico sui grandi temi dell’immigrazione ma anche negli studi mainstream su questo tema.
Noi abbiamo cercato fin dall’inizio di porre al centro del nostro lavoro la soggettività dei migranti con gli elementi di ambivalenza che la caratterizzano, e attraverso il tema delle migrazioni abbiamo cercato di interpretare, di leggere le trasformazioni che più in generale hanno investito negli ultimi anni la cittadinanza, il lavoro, i diritti di tutti coloro che vivono in questo paese.
L’altro elemento fondamentale del lavoro critico sule migrazioni che abbiamo fatto in tante e tanti in questi anni è il fatto che fin dall’inizio questo lavoro si sia collocato su una dimensione transnazionale.
Io credo che fin dall’inizio sul tema delle migrazioni siano state fatte alcune delle più significative esperienze di messa in rete a livello transnazionale sia per quel che riguarda la ricerca che per quel che riguarda l’azione politica.
L’Europa è stata negli ultimi anni riconfigurata dai movimenti migratori, e noi abbiamo cercato di seguire questo processo di riconfigurazione sia con le nostre pratiche teoriche che con le nostre pratiche politiche.
Credo sia molto importante la presenza oggi qui con noi di Vassilis Tsianos, ricercatore e compagno che vive attualmente ad Amburgo e che ha prodotto insieme ad altri ricerche particolarmente significative sulle trasformazioni del regime di controllo delle migrazioni in Europa, e che è stato, insieme ad altri, uno degli organizzatori del campeggio non border che si è tenuto a Lesbo la scorsa estate.
Penso che in un momento in cui la politica in Europa è caratterizzata da una tendenza molto forte alla ri-nazionalizzazione, proprio il tema delle migrazioni ci parli della necessità di tenere sempre aperto lo spazio del coordinamento dell’azione sul piano transnazionale.
Oggi discutiamo dunque di migrazioni sulla base di un patrimonio di conoscenze, di esperienze, di pratiche, decisamente consolidato anche nel nostro paese, però lo facciamo in una situazione che è in parte diversa rispetto soltanto a un paio di anni fa. Ho menzionato Rosarno, ma naturalmente si potrebbero menzionare i tanti altri episodi di razzismo e aggressioni contro i migranti che hanno caratterizzato l’ultimo anno e mezzo dell’Italia dal momento in cui si è insediato il nuovo governo di Berlusconi, ma soprattutto noi dobbiamo ragionare oggi sulle migrazioni dentro lo scenario della crisi globale, di quella crisi globale che per quanto riguarda Uninomade abbiamo cercato di analizzare nell’ultimo anno e mezzo producendo un libro.
In che senso la crisi agisce sulla condizione dei migranti?
Evidentemente anche dal punto di vista storico la crisi si scarica immediatamente sui migranti e sul lavoro migrante.
Ricordo sempre che dai primi anni ’30, mentre Roosvelt avviava il New deal, centinaia di migliaia di lavoratori messicani residenti negli Usa furono deportati insieme ai loro figli che erano nella grande maggioranza nati negli stati Uniti e quindi cittadini statunitensi.
Qualcosa di analogo si potrebbe dire a proposito degli effetti della crisi del 1973 nei paesi del Nord Europa, che fu segnata, in particolare in Germania, da straordinari momenti di insorgenza operaia migrante. Uno dei momenti più alti del grande ciclo transnazionale di lotte operaie tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 fu lo sciopero alla Ford di Colonia nella tarda estate del 1973, uno sciopero selvaggio, autonomo, interamente gestito da lavoratori migranti e in particolare turchi. Quello fu senz’altro uno dei momenti più alti di quel grande ciclo di lotte operaie, ma ne segnò in qualche modo anche la fine. Dal punto di vista delle migrazioni la crisi del ’73 fu accompagnata dal blocco del reclutamento dei cosiddetti lavoratori ospiti in Germania e in altri paesi dell’Europa settentrionale.
Quello che però credo debba essere sottolineato è che né negli anni ’30 negli stati Uniti, né negli anni ’70 in Germania, e in Europa in generale, la crisi determinò un blocco dell’immigrazione.
La migrazione continuò a investire questi paese, e in particolare la Germania: al contrario di quanto ritenevano che dovesse accadere i pianificatori tedesco-federali, negli anni successivi al ’73 la presenza migrante crebbe.

Qualcosa di simile sta accadendo oggi in una situazion che peraltro è molto diversa rispetto a quella dei primi anni ’30 degli Stati Uniti o dei primi anni ’70 in Germania. È molto diversa perché è caratterizzata, per dirla in breve, da un’estrema flessibilità del mercato dle lavoro e dei movimenti, quindi da una sorta di aleatorietà della stessa relazione tra offerta e domanda.
Quello che stiamo verificando attraverso la raccolta dei dati e le ricerche che ci sono in giro è che i migranti non abbandonano maggioritarimanete i territori in cui sono insediati neppure in caso di livenziamenti di massa.
Semmai quello che si sta consolidando è un modello circolare di migrazione, per cui in alcuni territori, ad esempio di questa regione, stiamo verificando un uso da parte dei migranti della cassa integrazione per ritornare per periodi più o meno brevi nel paese di provenienza con la possibilità però di fare ritorno nel paese di insediamento.
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in altri territori che sono stati investiti in profondità e ridisegnati nelle loro geografie sociali ed economiche dalla migrazione.
Penso ad esempio agli Stati del Golfo o alla Cina. Negli stati del Golfo in particolare ci sono state ondate di licenziamenti di massa di indiani e beganlesi, e il tipo di risposta di questi migranti è stato quello di costruire le condizioni per la migrazione circolare.
Migrazione circolare vuol dire tornare nel paese di provenienza nel momento in cui non ci sono occasioni immediate di lavoro nel paese di insediamento, ma tenersi aperta la possibilità di un nuovo spostamento verso quest’ultimo.
Qualcosa di simile sta accadendo in Cina per quel che riguarda le migrazioni interne colossali che sono state e sono uno degli assi portanti del grande sviluppo cinese.

Torneremo su questi temi in particolare con la relazione di Sandro Chignola questo pomeriggio. Vorrei ancora dire un paio di cose sul modo in cui è strutturato questo seminario, ma prima credo sia necessario introdurre qualche considerazione a proposito di quella che è stata non solo e non tanto la storia della migrazione nel nostro paese, quanto la storia delle lotte migranti nei territori in cui viviamo.
Dicevo prima che noi svolgiamo questo seminario oggi sulla base di un patrimonio ormai consolidato di conoscenze, esperienze, pratiche sul tema delle migrazioni. Evidentemente il seminario si svolge anche in una situazione in cui la presenza migrante è ormai un dato strutturale nel nostro paese, una situazione in cui la migrazione è ormai assolutamente matura. Non siamo più in una fase, che è durata molto a lungo in Italia, di transizione da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Oggi la migrazione è un dato strutturale da ogni punto di vista: economico, sociale, culturale, demografico.
A questa natura strutturale della migrazione corrisponde una storia ormai lunga di lotte e movimenti dei migranti e delle migranti.
In qualche modo possiamo anche datare l’inizio delle mobilitazioni su questo tema nel nostro paese riandando con la memoria, per chi ha più di trent’anni, all’omicidio di Jerry Maslo nel 1989: nell’agosto del 1989 in Campania, viene ucciso Jerry Maslo, un rifugiato sudafricano che si era battuto in Sudafrica contro l’apartheid e per questo era stato costretto, dopo che suo padre era stato assassinato, a lasciare il suo paese.
Lavorava a Villa Literno nell’agricoltura, in condizioni non diverse da quelle con cui tutti siamo diventati familiari attraverso le immagini che sono arrivate da Rosarno nella scorsa settimana. Dopo il suo omicidio ci fu una straordinaria manifestazione a Roma nell’ottobre del 1989 che fu davvero l’inizio della storia del movimento antirazzista in questo paese.
Tuttavia, già nei primi anni ’90 abbiamo assistito a qualcosa di diverso rispetto al semplice sviluppo di un movimento antirazzista e cioè a una straordinaria diffusione di lotte sociali dei migranti in Campania, a Genova, a Brescia e in molti altri territori dove sin dagli anni ’90 i migranti e le migranti sono diventati protagonisti di lotte, e tutti noi sappiamo quanto i nostri spazi, i nostri linguaggi, le nostre esperienze siano state attraversate e trasformate dal protagonismo dei migranti.
Dal punto di vista della composizione sociale delle lotte e dei movimenti credo che il protagonismo dei migranti sia stato uno degli elementi più significativi della storia delle lotte degli ultimi vent’anni in Italia.
Le lotte dei migranti sono state lotte che hanno investito una pluralità di terreni: lotte contro il razzismo quotidiano, lotte per la casa, sul lavoro, lotte molto spesso per imporre la legittimità di una presenza, il che ha voluto dire prima di tutto rivendicare un permesso di soggiorno, ma ha voluto dire molto di più: ha voluto dire imporre una nuova immagine di quello che è il territorio delle nostre città; una nuova immagine dei quella che è la cittadinanza intesa in senso lato.

Quindi diritti, certamente – il tema del permesso di soggiorno – il “diritto ad avere diritti”, figura arendtiana che molti di noi hanno sviluppato appunto sotto la spinta delle lotte dei migranti. Diritti, cittadinanza, lavoro, razzismo: sono un po’ le quattro parole chiave che abbiamo cercato di riprendere dalle lotte di questi vent’anni per articolare la struttura del seminario di quest’oggi.
Le quattro relazioni che ascolteremo corrispondono grosso modo a questi quattro concetti.

Ancora due cose molto rapide e poi concludo questa introduzione: diritti, cittadinanza, lavoro, razzismo: io credo che dal punto di vista politico noi dobbiamo continuare ad articolare questi quattro terreni nella nostra azione quotidiana sul terreno delle migrazioni.
L’intervento politico sulle migrazioni non può a mio parere che muoversi dall’uno all’altro di questi quattro terreni tenendoli continuamente assieme. Articolandoli.
Dal punto di vista teorico invece, sono convinto che un’analisi delle migrazioni, delle politiche di controllo delle migrazioni, delle lotte dei migranti, non possa prescindere dall’assunzione, come punto di vista fondamentale, del tema del lavoro.
Per la semplice ragione, intanto, che la condizione dei migranti in Europa continua ad essere profondamente segnata dal loro status in riferimento al lavoro: il permesso di soggiorno in tutta Europa si ottiene sulla base dell’esistenza di un determinato status lavorativo. E ciò significa che in tutta Europa le politiche migratorie continuano ad essere politiche in primo luogo del lavoro, e penso che sia un punto essenziale da tenere presente nell’analisi dei movimenti migratori, delle politiche migratorie, delle lotte dei migranti.
Da un punto di vsita politico, invece, credo che sia sbagliato, come alcuni fanno, insistere sulla primazie del lavoro, dei diritti, della cittadinanza o dell’antirazzismo. È soltanto combinando costantemente, in costellazioni mutevoli che noi dobbiamo produrre, questi quattro elementi, che possiamo costruire un intervento politico innovativo sul tema delle migrazioni.