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da La Stampa on line del 4 aprile 2010

Torino – Rifugiati e senzatetto la squadra “invisibile”

Il calcio ridà speranza a chi è senza asilo politico

Il silenzio ovattato fra i rumori della città che freme colpisce. Poi viene la sfasatura cromatica delle magliette e il numero incongruo di gente che corre dietro al pallone. L’ultima squadra nata in città è composta di rifugiati politici e senza tetto. E come tale ha un nome precario, «Ines e Nicol Hussan», una divisa da inventare e un futuro da costruire. Però ha un corollario di volontari volenterosi da fare invidia. A settembre, quando l’idea è nata, erano in venti, in una manciata di mesi sono saliti a 40.

Molti sono in attesa di asilo politico e dormono o nelle strutture comunali per homeless, oppure nella palazzina che ha smosso l’estate scorso la serenità dei residenti di via Asti, infine alla «casa bianca» di via San Paolo. Sono seguiti da una psicologa che da tempo lavora con gli adulti in difficoltà, Raffaella Sorressa, da un dirigente dell’Iride appassionato fino al midollo di calcio, Roberto Arena, e da 4 giocatori del Canavese, società di Lega Pro 2ª divisione, in pratica la vecchia C2. Dal 24 marzo il testimonial è Antonino Asta, una delle ultime bandiere del Toro e allenatore della Primavera granata, il 9 aprile arriva una preparatrice atletica, Katia Gravili e presto uno sponsor tecnico (Tallone sport).

Si allenano il mercoledì mattina al Cit Turin, gratuitamente, e hanno disputato amichevoli contro una formazione degli attori di «Cento vetrine», a Varese per il centenario del club lombardo, contro la Pro Vercelli. Basta chiamarli e arrivano. Forza di un progetto che ha radici lontane. «Tanti anni fa ho conosciuto una coppia francese che aveva creato in un sobborgo difficile di Parigi una squadra multietnica – racconta Arena – L’integrazione in quel team era realtà e non solo fantasie della politica». L’approccio con una cooperativa sociale torinese che segue quotidianamente i senza tetto ha prodotto altri frutti.

«Cerchiamo di capire i bisogni di chi vive per la strada e di tutelare i loro diritti – circostanzia Sorressa -. Serviva con questo tipologia di “utente”, che è molto diverso da quello italiano anche solo per l’età decisamente più bassa, uno strumento di amalgama facile e immediato. Il calcio era ottimo». È scattata così la macchina organizzativa fatta di entusiasmo e pochissimi euro. «I ragazzi hanno fra i 20 e i 30 anni, molti hanno un titolo di studio o avevano un lavoro nel loro paese. Tendenzialmente parlano il francese e abbiamo anche un professore che dà loro ripetizioni d’italiano. Sono scappati dalla guerra, qui possono ricominciare un’esistenza. Recuperare la dignità è fondamentale per chiunque».

C’è pure un ex del Toro, Fusseini, infortunatosi tempo fa e in attesa di un ricollocamento in qualche club minore. Il progetto non si esaurisce con le gare. «Abbiamo preso contatti con il Cna e la Camera di Commercio per studiare una formazione professionale adeguata – aggiunge Arena -. L’obiettivo sarebbe creare una casa comune dove possano vivere tutti insieme gestirsi da soli, auto finanziandosi lavorando. Per questo scopo stiamo coinvolgendo anche il Comune».

L’assessore Ilda Curti è favorevole: «Il calcio è un pretesto non è il fine, un’occasione per condividere una vita altrimenti fatta di attese alle mense, nei dormitori, e che invece vorrebbe ricevere una sterzata». Antonino Asta ha individuato alcuni elementi su cui lavorare con i colleghi del Canavese Russo, Riggio, Pinelli, Casisa. «Una dedizione esemplare, hanno conoscenze tecniche ma non tattiche ma si sforzano di capire. E la fatica non gli pesa».

Dopo l’allenamento si mangia, pasta al sugo di pomodoro o con il ragù di maiale a seconda delle religioni. «La cosa davvero bella è che a Capodanno – conclude Arena – ciascuno doveva esprimere un desiderio. E tutti hanno messo in cima alle priorità la squadra, il fatto che potesse esistere ancora». Il verde del prato è il colore della speranza.