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Corte Costituzionale: gli stranieri regolarmente soggiornanti hanno diritto all’accesso all’assegno di invalidità in condizioni di parità con i cittadini italiani

La condizione aggiuntiva del possesso della carta di soggiorno è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo che vieta discriminazioni arbitrarie anche nell'ambito della sicurezza sociale.

La Corte costituzionale con la sentenza 26-28 maggio 2010, n. 187 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’assegno mensile di invalidità di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili).

Per effetto della sentenza, tutte le provvidenze assistenziali, come l’assegno e la pensione di invalidità civile, sono dunque erogabile a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti e non solo a quelli titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, così come ai minori stranieri, in quanto iscritti sul rispettivo titolo di soggiorno.

Le argomentazioni della sentenza sono molto interessanti e in parte riprendono altre scritte in precedenza, ma soprattutto si rifanno anche ad un’analisi approfondita ed interessante dalla giurisprudenza della CEDU sugli artt. 14 CEDU e sul Protocollo n. 1.

La Convenzione Europea dei diritti umani dispone all’art. 14 che il godimento dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti nella Convenzione debba essere assicurato a tutti senza alcuna distinzione, ivi compresa quella basata sulla nazionalità. Tra questi diritti vi è quello espressamente indicato all’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea medesima, che riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto dei suoi beni patrimoniali. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha ritenuto che tra i diritti patrimoniali debbano essere incluse anche le prestazioni sociali, quindi tutte le forme di assistenza sociale, anche quelle che non si basano su un precedente rapporto di contribuzione . Di conseguenza, sebbene la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali, una volta che tali prestazioni siano state istituite o concesse, la relativa disciplina non potrà prevedere trattamenti discriminatori su base di nazionalità, a meno che questi non siano sorretti da una ragionevole causa giustificatrice, ovvero il trattamento differenziato persegua un obiettivo di pubblica utilità e vi sia proporzionalità tra il trattamento difforme e l’obbiettivo perseguito. Al riguardo, secondo la Corte di Strasburgo soltanto «considerazioni molto forti potranno indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalità» (da ultimo Si Amer c. Francia, sentenza 29 ottobre 2009). Vale la pena ricordare, che la Corte di Strasburgo ha escluso che possa ritenersi compatibile con il divieto di discriminazioni un trattamento differenziato basato sulla nazionalità in materia di prestazioni sociali motivato da considerazioni di bilancio o contenimento della spesa pubblica. Così non sono state accolte dalla Corte di Strasburgo le argomentazioni avanzate dal governo francese nel caso Koua Poirrez, fondate sulla necessità di equilibrare le spese di welfare con le risorse disponibili, restringendo conseguentemente la platea dei destinatari in ragione della cittadinanza, né quelle proposte dal governo austriaco nel caso Gaygusuz facenti riferimento ad un’asserita “speciale responsabilità” che lo Stato avrebbe nei confronti dei propri cittadini, dei quali dovrebbe avere dunque prioritariamente cura provvedendo ai loro bisogni con criteri di preferenza rispetto ai non cittadini ( Corte europea dei diritti dell’Uomo, sentenza Koua Poirrez c. Francia, 30 settembre 2003 in particolare paragrafo 43; sentenza Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, in particolare paragrafo 45).

La Corte Costituzionale italiana, nella seconda parte delle motivazioni della sentenza, ha dunque concluso che l’assegno o pensione di invalidità è un istituto di previdenza sociale volto a consentire il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa tutela della persona umana, ed in quanto garanzia per la sopravvivenza del soggetto disabile, costituisce certamente un diritto fondamentale ed in quanto tale spettante a tutti. In altri termini, tale istituto di assistenza sociale fornisce alla persona un minimo di “sostentamento”, essendo destinato a persone con un elevato tasso di disabilità (almeno il 74%) alla condizione che non svolgano un’attività lavorativa e che non rifiutino quella adatta alla loro condizione fisica che eventualmente venga loro offerta dagli uffici provinciali del lavoro. Di conseguenza, trattandosi di un istituto che risponde ad un bisogno fondamentale di tutela della persona umana, seguendo i canoni interpretativi della Corte di Strasburgo la Corte Costituzionale ha concluso come non si possa ravvisare alcuna legittima causa giustificatrice nell’esclusione perpetuata dalla normativa italiana nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. L’assegno di invalidità riguarda il nucleo essenziale di tutela della dignità umana e come tale non ammette discriminazioni tra nazionali e stranieri legalmente soggiornanti.

Dalla Corte costituzionale giunge dunque una lezione di civiltà contro chi sostiene che i cittadini stranieri, pur regolarmente soggiornanti in Italia, debbano essere titolari di una minore dignità sociale per il solo fatto di essere privi del legame costitutivo di cittadinanza.

La presente sentenza della Corte Costituzionale approfondisce un percorso già avviato con le precedenti sentenze n. 306/2008 e 11/2009, nelle quali la Corte aveva già affermato il principio che le prestazioni assistenziali che si riferiscono al soddisfacimento di diritti fondamentali, quali quello alla salute- inteso anche come accesso ai rimedi possibili, anche parziali, derivanti da menomazioni indotte da condizioni di disabilità- sono soggette ad un divieto di discriminazione tra cittadini nazionali e stranieri regolarmente soggiornanti. Tale divieto deriva dalla necessaria ed immediata applicazione nel nostro ordinamento di norme di diritto internazionale universalmente riconosciute cioè aventi natura consuetudinaria e di jus cogens per effetto dell’art. 10 c. 1 Cost.. Ugualmente, con l’ordinanza n. 285/2009, la Corte Costituzionale aveva affermato l’illegittimità di ogni discriminazione tra cittadini nazionali e stranieri regolarmente soggiornanti nell’accesso a prestazioni sociali afferenti alla condizione di disabilità per effetto dell’entrata in vigore nel nostro ordinamento della Convenzione ONU per la tutela delle persone con disabilità, ratificata nel nostro ordinamento con legge 3 marzo 2009.

Il Ministero del Lavoro e l’INPS non hanno inteso sinora dare attuazione ai principi affermati nelle pronunce della Corte. Si confida che dopo questa importante ed inequivocabile nuova pronuncia del giudice delle leggi, essi vorranno darne piena attuazione, dando istruzioni coerenti agli uffici periferici per consentire agli stranieri disabili regolarmente soggiornanti ma non in possesso della carta di soggiorno (o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti), ma titolari degli altri requisiti soggettivi di legge, di accedere alla prestazioni di invalidità in condizioni di parità con i cittadini italiani.

Commento a cura di Walter Citti, servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico razziali e religiose, ASGI – Fondazione Charlemagne ONLUS.

– [ Sentenza della Corte Costituzionale n. 187 del 28 maggio 2010 ]