Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Indietro non si torna. Il 20 giugno manifestazione internazionale al porto di Bari.

Quando fuggi dalla guerra, dalla fame, dalla periferia del neoliberismo, dal degrado dell’imperialismo, dalla morte, per raggiungere, altrove, la speranza di una vita, diversa e forse migliore, indietro non si torna.
Eppure la pratica illegale dei respingimenti ormai è diventata usuale nei porti del Mediterraneo.
Quotidianamente c’è qualcuno che si arroga il diritto di rimandare indietro persone, richiedenti asilo o meno, di decidere che la terra e il mare hanno un confine fatto di privilegi odiosi che alcuni non possono varcare, che la diversità determinata dalla nascita debba essere un discrimine da portarsi dietro fino alla tomba. E molto spesso, grazie a questi respingimenti, diventa il Mediterraneo quella tomba.
Questo accade nei porti dell’Adriatico, a Venezia, ad Ancona, a Bari, a Brindisi. Mentre anni fa si redigevano anche insopportabili statistiche, sostenute dalla compiacente indifferenza dell’opinione pubblica, oggi si preferisce tenere tutto nell’ombra, agire nella notte dell’illegalità e del non rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. L’indifferenza politica e mediatica di quanto avviene presso i porti pugliesi si rende complice del clima xenofobo e razzista italiano legittimato dalle politiche securitarie, di recente degenerate nel pacchetto sicurezza con l’introduzione del reato di clandestinità. Un reato funzionale solo alle politiche neoliberiste del governo italiano, che va ad alimentare l’economia sommersa del lavoro nero laddove i migranti diventano lavoratori ricattabili e spesso ridotti in schiavitù, come per i lavoratori di Rosarno.
La Grecia, il cui collasso economico ha dimostrato la totale infondatezza delle politiche neoliberiste, è un paese che di fatto non accetta richiedenti asilo nel suo territorio (solo lo 0,29% delle domande di diritto d’asilo viene accettato). Da questo paese, ove i rifugiati sono rimandati sistematicamente in mare, nasce parte del flusso migratorio che riguarda i nostri porti dell’Adriatico. Altri partono dalla Libia, dal Medio Oriente, e più in generale dalle altre realtà devastate della contemporaneità, come in questi giorni è stato svelato dal sequestro e dall’omicidio premeditato degli attivisti della Freedom Flottilla e dalle politiche di genocidio di Israele sul popolo palestinese.
Ma tornare in mare significa morire, tornare nei lager del deserto maghrebino, o morire di fame e di stenti per ritrovare casa, tornare alla guerra o ad un territorio devastato. E allora qualcuno deve prendersi la responsabilità di questi omicidi, qualcuno deve renderli pubblici e non sfuggire al giudizio di una comunità che a sua volta, spesso, preferisce non sapere. Perchè l’indifferenza oggi è compartecipe di quel progetto di odio e discriminazione che alimenta la guerra tra poveri, unica prospettiva alla quale hanno deciso di destinare le nostre vite.
Venezia, Ancona, Bari, Brindisi. Quattro porti per creare una rete di coscienza e solidarietà e scardinare il silenzio che nasconde la tragica realtà dei respingimenti.
E per diffondere la cultura e l’importanza della vera accoglienza a tutte quelle realtà in giro per il mondo che ancora credono di avere qualcosa da difendere e da conservare all’interno del proprio recinto di miserie.
La campagna “Welcome, indietro non si torna” rappresenta un momento di reale presa di coscienza e di riflessione su ciò che sta accadendo oggi nel mondo.
La Puglia, la regione del “laboratorio della nuova politica”, si trova a vivere oggi il contrasto evidente tra la retorica dell’attuale classe dirigente e le pratiche, reali, che non si discostano minimamente da quelle perpetrate nel resto d’Italia e d’Occidente.
Una narrazione fatta di parole come accoglienza e cultura delle diversità, funzionale solo a nascondere il dramma dei respingimenti nei nostri porti e nelle periferie delle nostre città, delle guerre e dell’esproprio della terra dove i migranti trovano nell’emarginazione l’unica prospettiva per resistere in un territorio sostanzialmente ostile.
Una storia, quella della “Puglia Migliore”, alla quale è difficile continuare a credere dopo aver visitato i Cie presenti nella nostra regione, dopo avere ascoltato l’assordante silenzio della Giunta regionale in merito ai fatti della Freedom Flottilla, dopo aver assistito alla vicenda dei rifugiati politici costretti a occupare il Ferrhotel, prima, ed il Socrate, poi, perchè non esistono politiche sociali, progetti per l’inclusione e l’accoglienza dei migranti. Una storia, quella della “Puglia Migliore”, smentita nei fatti dalle occupazioni degli ultimi mesi e dalle risposte repressive delle istituzioni locali, come da ultimo al Mercato occupato di Poggiofranco.
La totale mancanza di politiche migratorie e sociali, infatti, si manifesta anche sui rifugiati già presenti in Italia ed in Puglia: ad essi non è garantita alcuna forma di sincera accoglienza – in violazione del diritto ad un alloggio adeguato, garantito invece in tutto il resto d’Europa e dai trattati internazionali sui diritti umani, inclusa la dichiarazione Universale dei Diritti Umani, poiché l’abitazione è condizione essenziale per garantire una vita dignitosa delle persone. Invece la Giunta Vendola finanzia atti di sgombero dei rifugiati presenti sul proprio territorio. E’ di questi, infatti, giorni la delibera n. 340 del Comune di Bari (avallata e finanziata anche dall’assessorato alle politiche dell’immigrazione della Regione) che vuole un dormitorio e un centro polifunzionale diurno nella struttura occupata da ottobre 2009 dalla comunità dei rifugiati somali, il Ferrhotel. Un’operazione di sgombero che vorrebbe finanziare con oltre 2 milioni di Euro associazioni del terzo settore ed imprese alimentando un business umanitario che si gioca sulla pelle dei migranti. Una gestione dell’umano che nulla ha a che vedere con l’accoglienza, con il diritto all’abitazione e il rispetto della dignità umana. La comunità somala ha agito il diritto di vivere dignitosamente occupando il Ferrhotel, autogestendolo nel centro della città ma, fino ad oggi, né Comune né Regione hanno dato loro le garanzie per un’abitazione dignitosa con luce e acqua e si preparano a sgomberarla. Il caso del Ferrhotel smaschera, così, anche le false politiche di inclusione sociale e di integrazione fatte di proposte di dormitori e di alberghi diffusi che escludono da qualsiasi socialità e dignità personale gli “ospiti” che contemplano: cittadini stranieri, lavoratori e non, rifugiati, senza fissa dimora, studenti e quant’altro.

Il 20 giugno 2010, in occasione della giornata internazionale del rifugiato, al porto di Bari manifestiamo per:

– pretendere il blocco dei respingimenti dei migranti praticati nei porti nell’Adriatico e in tutto il Mediterraneo, per il riconoscimento del diritto d’asilo e dei diritti umani di persone che fuggono da guerre e dittature;

– chiedere il blocco di qualsiasi rapporto commerciale intrattenuto dalla regione Puglia con Israele al fine di non alimentare guerre dettate da interessi economici e di potere;

– rivendicare il diritto all’abitazione ed alla seconda accoglienza dei rifugiati politici presenti sul nostro territorio;

– pretendere l’immediato ritiro della delibera di sgombero (n. 340) dei rifugiati somali del Ferrhotel a sostegno di politiche di autogestione volte al riconoscimento della dignità personale dei migranti;

– sostenere le occupazioni ed i progetti di autogestione a Bari, dal Ferrhotel al Socrate sino al Mercato Occupato.

Promuovono:
Rete Antirazzista di Bari
Ferrhotel Occupato
Mercato Occupato