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La lingua non può fare la differenza – Il test di italiano per la carta di soggiorno

di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa

Prima l’Accordo di Integrazione, poi il test di lingua italiana, ed in futuro (ma certo non vogliamo accorciare i tempi) il contributo tra gli 80 ed i 200 euro per ogni richiesta del permesso di soggiorno.

Sono i regolamenti attuativi che vanno a completare il quadro normativo disegnato dal pacchetto sicurezza dallo scorso 8 agosto 2009, rimasti finora in sospeso, ma in procinto di diventare operativi.

L’accordo di integrazione, la previsione del cosiddetto permesso di soggiorno a punti, si commenta da solo.
Si tratta di un meccanismo vorticoso di creditizzazione non solo dei requisiti di reddito, alloggio, fedina penale illibata, ma anche e soprattutto di stili di vita, capacità di apprendimento, condizioni culturali e soggettive che si intrecciano alla materialità delle difficoltà di inserimento economico e sociale.

Insomma, non ci bastano più casa e lavoro per garantire la presenza regolare di uno straniero (requisiti in questi anni sbandierati in ogni momento salvo poi accorgersi che chi una casa ed un lavoro li ha, non può comunque ottenere un permesso di soggiorno se entrato irregolarmente). Sempre di più invece sono altre le questioni che prendono piede come condizioni essenziali per mantenere il diritto di restare, sottoposto continuamente al vaglio, alla scansione, da parte di una non ben definita autorità che agisce secondo criteri ad oggi ancora oscuri.

Il permesso a punti non verrà richiesto ai titolari di protezione internazionale come neppure ai titolari di pds per motivi familiari, ma dall’altra parte metterà continuamente in scacco i titolari di pds per lavoro subordinato, spesso il titolo su cui regge il diritto di soggiorno di tutta la famiglia.

Verranno richiesti la conoscenza della lingua come pure la conoscenza dei è principi della Costituzione e della legge italiana, per formulare un sistema di punti che dovranno essere prima attribuiti dalla Prefettura e poi vagliati, al momento della richiesta del rinnovo del permesso, da parte della Questura. Tra sanatoria, ricongiungimento, flussi 2008 ancora inchiodati al rilascio di una manciata di nulla osta, rinnovi, conversioni e quant’altro, immaginiamo che il lavoro degli uffici preposti avesse proprio bisogno di questo ulteriore carico buono nuovamente a giustificare nuovi ritardi e nuove inadempienze dell’amministrazione che ancora, ostacola in ogni modo il rilascio di titoli di lungo perido provocando così “a se stessa” un carico di lavoro doppio.

Ed è proprio a proposito dei permessi di lungo perido che è intervenuto l’ultimo provvedimento diffuso dal Ministero, quello previsto dal comma 2 bis dell’articolo 9 del Testo Unico, che ha istituito, quale requisito per l’ottenimento dell’ex carta di soggiorno il test di conoscenza della lingua italiana.

Ancora non sono stati risolti i molti problemi denunciati in questi anni anche dalle inchieste di Melting Pot Europa sul tema, come la richiesta del requisito dei 5 anni anche per l’estensione ai familiari (sulla quale il Ministero si è riservato incomprensibilmente di rispondere a se stesso), la richiesta dell’idoneità alloggiativa per la richiesta di un singolo, la considerazione dei minori di anni 14 nel computo dei residenti ai fini della valutazione dell’idoneità abitativa, per non parlare delle prassi riguardanti il rifiuto di contratti di lavoro a tempo determinato (ancora presenti in alcune questure) o del rifiuto della cassa integrazione come fonte di risorse economiche sufficienti, oppure la richiesta della documentazione relativa al reddito anche al momento dell’aggiornamento o, pratica questa ben più diffusa, il rilascio di permessi di soggiorno per lavoro subordinato dalla validità di due anni, in risposta ad una richiesta del titolo di lungo periodo senza emessione di un provvedimento di diniego esplicito e motivato.

Il Viminale ha pensato bene di aggiungerne un ulteriore con l’introduzione del test di lingua. Cosa c’entri con la sicurezza questo…..

Il test di lingua (insieme all’accordo di integrazione) segnano quindi il passaggio degli stili e modi di vita, abitudini e consuetudini, non più come spazio adiacente alle condizioni materiali di vita (casa e reddito) dei migranti, ma come parte integrante a pieno titolo “codificata” nella valutazione dei parametri per concedere o togliere il diritto di soggiorno sia esso precario o permanente.

E non sarà un semplice affiancamento, ma un intreccio vorticoso di possibilità e difficoltà.
Chi è costretto a mantenere qualsiasi tipologia di lavoro per rinnovare il permesso (pensiamo alle centinaia di migliaia di migranti che lavorano nelle cooperative, che riempiono i turni di notte di magazzini e fabbriche, che sudano nei campi della raccolta o che faticano nei cantieri dell’edilizia) non troverà certo con facilità il tempo e la disponibilità per partecipare ai corsi, per utilizzare ed approfondire l’uso della lingua, per rispondere quindi alla condizione introtta con il decreto del Ministero.

Ma lingua non può fare la differenza, anzi, se da un lato il requisito ci sembra ingiusto e forzato, dall’altro sappiamo come oggi la conoscenza del linguaggio, dei condici di comunicazione, siano fondamentali per costruire anche il lessico della lotta per i diritti di cittadinanza in comune. Non per i nuovi cittadini ma per un nuovo paese fatto insieme. Lo hanno dimostrato le centinaia di migliaia di esperienze formative di corsi, lezioni, scuole, messe in campo autonomamente dai movimenti, dai collettivi, dalle associazioni che si sono battute per i diritti dei migranti e più in generale per una società nuova, giusta.

Esperienze che a questo punto diventeranno centrali nella conquista e rivendicazione del diritto di restare.

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Euroopa