Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Carta 11-17 giugno 2010, n. 20

Venezia per i migranti è come Lampedusa

«Tutto è iniziato nel 2008 – racconta
Francesco Penzo, della rete
Tuttidirittiumanipertutti
– quando,
in occasione del sessantesimo anniversario
della dichiarazione dei diritti
umani, un gruppo di associazioni
di Venezia si è messo insieme per capire
dove i diritti umani fossero meno
rispettati in città, ed è venuto
fuori il porto.
Lì la situazione è simile
a quella di Lampedusa: dalla Grecia
arrivano traghetti con a bordo potenziali
richiedenti asilo, provenienti
da paesi in guerra. Vengono identificati
e rimandati indietro attraverso
pratiche illegali. Non è concesso
loro chiedere asilo politico, nonostante
sia un loro diritto. La rete che
tenta di tenere alta l’attenzione su
questi temi spazia dai centri sociali a
Pax Christi».
E ha un certo successo:
nel 2009, il sindaco Massimo Cacciari
ha pubblicamente ammesso che il
porto era «totalmente fuori legge».
Ma poi, nonostante la sensibilità
del comune, non è cambiato nulla.
«Anzi – aggiunge Francesco – Le autorità
portuali hanno alzato la cortina
di ferro: abbiamo sempre meno
informazioni». Per entrare nel porto
serve un’autorizzazione. Solo il Consiglio
italiano per i rifugiati [Cir], che
ha una convenzione con la prefettura,
vi ha accesso. «Il Cir lavora in orario
d’ufficio – spiega Francesco – ma
le navi arrivano anche nel fine settimana
o la sera dopo le cinque. Spesso
il Cir non può fare il proprio mestiere.
Il comune di Venezia era presente
fino al 2007, poi si è chiamato
fuori proprio perché non poteva
esercitare il proprio mandato».

Quello che accade a Venezia somiglia
a quello che accade negli altri
porti dell’Adriatico.

Ad Ancona
però, il porto è in mezzo alla città.
«Qui la questione dei respingimenti
– spiega Pietro, dell’Ambasciata dei
diritti delle Marche,
un’associazione
nata dalla rete dei Centri sociali della
regione, che si occupa dei diritti di
cittadinanza dei migranti e fa parte
del Progetto Melting pot Europa – è
parallela alla privazione di uno spazio
di socialità per gli anconetani.
Dal 2001, attorno all’area portuale
è stata installata una recinzione
metallica. È uno spazio in cui la polizia
di frontiera agisce senza controllo
e rimanda indietro, in base all’accordo
siglato con la Grecia nel
1999, richiedenti asilo e minori
non accompagnati».
Anche ad Ancona,
come in tutti i porti dell’Adriatico,
è presente il Cir. «Un organo
che rischia di fare da copertura
umanitaria a un sistema di esclusione.
Eppure la tutela del diritto di
asilo è una cartina di tornasole della
tutela di tutti i diritti».

A Bari, i respingimenti «fanno
meno rumore delle carrette del
mare perché non ci sono immagini.
Ma la situazione è disperata, i respingimenti
sono quotidiani», spiega
Erminia, della rete antirazzista. «I
dati ufficiali sono in difetto. Nei porti
non vengono accertati né lo status
né l’età. Alcuni minorenni afghani
hanno fatto il viaggio cinque volte
prima di uscire dal porto senza essere
intercettati, e quindi di poter
chiedere l’asilo».
Per questo, quelli della campagna
Welcome fanno un appronfondito
lavoro di inchiesta su questi luoghi:
«Il porto dei destini sospesi» [a cura
di Riccardo Bottazzo e pubblicato da
Carta] su Venezia, e «Il porto sequestrato
» [a cura dell’Osservatorio faro
sul porto] su Ancona. Stanno anche
lavorando all’istituzione di osservatori
indipendenti, in accordo
con prefettura e autorità portuale, all’interno
dei porti, per poter monitorare
il comportamento della polizia
di frontiera e tutelare i migranti in
arrivo. C’è ancora molto lavoro da fare,
ma, conclude Francesco, «indietro
non si torna perché parliamo di persone
che fuggono dalla guerra, e noi
non rinunciamo a questa battaglia di
civiltà».

A Venezia, Ancona e Bari
si organizzano le reti
per tutelare i migranti
e raccontare cosa accade
ogni giorno nei porti
Venezia
per i migranti
è come
Lampedusa