Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da il Manifesto del 30 giugno 2010

«Neri italiani? Figc arretrata non aiuta l’integrazione»

Parla Mauro Valeri, autore del libro «Ma che razza di tifo»

Autore di Che razza di tifo, appena uscito da Donzelli, e Black Italians, il sociologo Mauro Valeri studia da anni le storie e i problemi dell’integrazione attraverso lo sport nel nostro Paese. Dopo la mesta eliminazione dai mondiali della nostra Nazionale, senza Balotelli e senza neppure un «negro italiano» a indossare la maglia azzurra, mentre si apre il dibattito sulle squadre «piene
di stranieri» e sul futuro dei nostri vivai, abbiamo chiesto a lui di precisare meglio la posta in gioco, di raccontarci i casi di vincoli burocratici imposti dalla Figc.
«Come si sa, l’Italia ha una legge sulla cittadinanza legata al sangue e non al suolo – ci ha detto – Tu sei italiano se hai almeno un genitore italiano. Così succede che tutte le volte che l’Europa dà indicazione di essere più limitativi nei confronti degli sportivi stranieri, per battersi ad esempio contro la tratta dei minori, da noi questo si traduce in un’ennesima barriera contro i figli dei
migranti. Quest’anno per il tesseramento si sono inventati una sottocommissione che doveva controllare tutti i primi tesseramenti dei figli degli stranieri, senza fare differenza tra chi era nato e cresciuto in Italia, e chi no. Le federazioni sportive nemmeno pensano che l’Italia è un paese di
immigrazione, concepiscono tutt’al più l’oriundo».
Come negli anni ’50. L’unico «naturalizzato» in azzurro ai Mondiali è stato ancora l’argentino Camoranesi, e in nome della naturalizzazione si sono fatte pure un sacco di furbate…
È chiaro invece che il futuro dello sport italiano dipenderà anche dai figli dei migranti. Un mese fa il tribunale di Lodi ha emesso una sentenza contro la Fgci per discriminazione razziale perché si era rifiutata di tesserare un ragazzo togolese che viveva in Italia, un richiedente asilo. Sono 14 pagine che rivendicano allo sport il suo ruolo nell’integrazione culturale…
Le riassumo. A un giocatore della nazionale del Togo rifugiato in Italia, Idrissou Kolou, viene negato il tesseramento in una squadra di dilettanti perché nonostante abbia un permesso di soggiorno la regola della Fgci impone che questo permesso duri almeno un anno dal momento del tesseramento…
La Fgci si difende dicendo che non vuole essere «correa» nel mantenere in Italia un giocatore privo di permesso di soggiorno. Ma soprattutto sostiene che questa norma serve a tutelare i «vivai nostrani». Due espressioni che il giudice Federico Palmieri bolla come discriminatorie, imponendo di tesserare il giocatore. Dalla Fgci non è ancora arrivata nessuna risposta, ma cause di questo genere si potrebbero ben presto moltiplicare.
Stai dicendo che lo slogan usato dalle curve come «non ci sono negri italiani» ha una sua sinistra corrispondenza nelle regole che rendono difficoltoso il tesseramento non solo dei rifugiati ma pure dei ragazzini di «seconda generazione»?
Persino la Gelmini nella sua forma un po’ delirante ha dovuto ammettere che nella quota del 33% di stranieri nelle classi scolastiche non potevano essere contati i bambini nati in Italia, che tendenzialmente non hanno problemi con la lingua. La Federazione Gioco Calcio neanche questo, per dirti quanto è arretrata.
Solo arretrata? O è forse il riverbero di un problema più generale sull’immigrazione qui da noi?
I dirigenti Fgci ripetono spesso che lo vuole l’Europa. Ma in Germania e in Svizzera non va così, lo abbiamo visto ai Mondiali. Per questo se vai a fondo della cosa scopri cose peggiori. Quando anni fa si aprì ai giocatori extracomunitari ci furono le proteste dell’associazione calciatori perché
avevano paura che in quel modo avrebbero perso dei benefici: uno straniero era percepito come uno che abbassava i prezzi di mercato. Sono passati tanti anni, e ancora oggi nessun calciatore italiano ci segue in questa battaglia. Dall’altra parte c’è un problema culturale: in troppi non vogliono che qualcuno con un altro colore di pelle rappresenti l’Italia nello sport. Aggiungo però che nelle ultime Olimpiadi c’erano otto black italians nell’atletica, dove le regole sono diverse dal calcio, e nessuno ha avuto da ridire.
Dopo la sconfitta mondiale si riapre la questione dei vivai. Quali sono secondo te i punti da risolvere per favorire l’ingresso delle seconde generazioni nel calcio e nello sport italiano più in generale?
Un punto è che i minori fino a 12 anni nati e cresciuti in Italia, che certamente non possono essere vittima di tratta, devono essere equiparati agli italiani. Due: ricordare che i rifugiati sono equiparati a tutti gli effetti agli italiani. Su questo la Fgci ha già perso due cause, e rischia di perdere tutte quelle che verranno. Terzo punto è favorire quanto più possibile il tesseramento di ragazzi immigrati che vivono e lavorano in Italia, riconoscendo il permesso di soggiorno valido al momento del tesseramento, o anche il cedolino della richiesta.
Però tu dici che l’ambiente del calcio, a tutti i livelli, è completamente sordo a questi temi.
A me è capitato di andare in Polonia con il gruppo antirazzista Fare, a una manifestazione per i prossimi Europei. La cosa imbarazzante è che tutti i paesi avevano lì sia un esponente politico-istituzionale, sia un giocatore. L’Italia non aveva né un giocatore, né un rappresentante ufficiale che fosse andato lì a impegnarsi in qualcosa. Quando penso a persone che ci mettono la faccia su queste cose mi viene in mente l’allenatore Ulivieri, Damiano Tommasi, i «soliti» insomma.
A sinistra ci si consola dicendo spesso che la Nazionale (o la nazione) multietnica sarà una cosa inevitabile, prima e poi.
Il calcio non è uno sport naturalmente antirazzista, ha una storia di esclusioni, vincoli, rivendicazioni etniche. Dobbiamo far sì che diventi il contrario. Per esempio, adesso ci sono da noi degli arbitri marocchini, c’è un arbitro srilankese. Stanno nelle serie minori ma se dovessero salire sarà una grande scommessa. Mi viene in mente anche che l’Inghilterra è alla disperata ricerca di un calciatore forte di origine asiatica per attrarre i tifosi. Pure furbescamente, intendiamoci. So che adesso nella Roma c’è un ragazzo srilankese (Panushanth Kulenthiran, 19 anni, ndr), e se dovesse far carriera potrebbe portare a un cambiamento anche del pubblico, dei tifosi. La Fiorentina ha fatto qualche tentativo in questo senso, di coinvolgere le comunità di immigrati. Ma in altri paesi sono investimenti logici, economici oltreché culturali. In Italia no. Da noi le curve sono per lo più di destra, diverse volte hanno cacciato tifosi, gruppi di tifosi immigrati, e così la fatica raddoppia.
Tu pensi che il testacalda Balotelli sia stato vittima di razzismo?
Le aggressioni a Balotelli sono iniziate molto prima che lui fosse considerato una testa calda, e in maniera sistematica. Lui è il primo a non avere, come dicono i razzisti, neanche una goccia di sangue italiano. Non ha fatto le Olimpiadi perché non aveva ancora compiuto 18 anni, e non poteva ancora avere la cittadinanza pur essendo nato e vissuto in Italia. Ma lui, con Okaka e Oshadogan, indica il cambiamento, perché è italiano senza avere genitori italiani.