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Non gli alunni, ma spesso chi racconta di loro, si ostina a raccontare di una intercultura impossibile. Ma ormai è la realtà sotto i nostri occhi

Scuola – Quando si vive gomito a gomito ma ci si ostina a non toccarsi

Una tesi di Francesca Cimino

Poco tempo fa Padova ospitava il XIII Convegno Nazionale dei Centri Interculturali, dove professori, operatori sociali, esponenti del comune e cittadini sensibili al tema hanno discusso e affrontato il tema dell’integrazione, della scuola come luogo di socializzazione interculturale e di progetti passati futuri. Ma forse la prossima volta bisognerà estendere l’invito a più persone e fare in modo che l’affluenza sia più massiccia.
Perché a distanza di neanche un mese, sul Gazzettino di mercoledì 17 novembre 2010, si legge un articolo dove il giornalista denuncia un problema di bullismo legato ad una classe di una scuola media di Padova, nella quale su 29 studenti «solo sei sono italiani». E questa situazione, secondo il giornalista, «non rispecchia per nulla l’obiettivo dell’integrazione», poiché vi sono soprattutto studenti nordafricani, latinoamericani e dell’Europa dell’Est. Senza alcun dubbio è proprio la «commistione tra studenti stranieri di 14 anni con alunni di 11 anni italiani» che blocca l’educazione scolastica di questi ultimi.
Ma andiamo con ordine.
Precisando che le nazionalità di origine all’interno della classe sono molte di più e non solo le tre elencate, bisognerebbe fare un lungo ragionamento su quanto si può considerare straniero un bambino nato e cresciuto in Italia, che parla l’italiano da quando è nato, che tifa per una squadra di calcio italiana e conosce le espressioni dialettali venete. Straniero? Forse depositario della cultura di origine dei genitori, forse praticante una religione non cristiana, ma non dite ad un ragazzo simile che non è italiano perché si arrabbierebbe, e a ragione.

L’articolo asserisce che una classe simile non raggiungerà l’obiettivo dell’integrazione, ma non se ne capisce il perché, a meno che la parola non sia errata e non si volesse scrivere «assimilazione» che rimanda a tristi episodi di veli vietati nelle classi francesi. La dott.ssa Favaro (pedagogista e referente scientifica della sezione “Educazione interculturale” del Miur) non molte settimane fa spiegava a pochi km dalla scuola media tanto discussa, di come la pluralità delle presenze di nazionalità di origine nelle classi fosse un fattore positivo poiché consente un arricchimento culturale, una socializzazione più varia e attenta.
E dunque quale sarebbe l’obiettivo dell’integrazione che non si può realizzare nella classe? Per quale motivo non ci si riesce ancora a rendere conto che la società verso la quale stiamo andando incontro è una società nella quale ci saranno sempre più colori sulle facce altrui, sempre più lingue nelle bocche dei vicini, sempre più feste religiose sui calendari appesi? Per quale motivo ci si ostina a voler ghettizzare e emarginare coloro che stanno portando questa varietà di usi, costumi e colori?

Secondo i dati del dossier statistico Immigrazione 2010 l’incidenza dei residenti stranieri a Padova è di uno ogni dieci abitanti italiani. Questo significa che siamo ormai completamente “immersi” nella multiculturalità, quartiere più quartiere meno, ma lo siamo e ci sono delle seconde generazioni di stranieri che stanno crescendo, stanno studiando, si stanno formando nelle nostre scuole. Anche in quella tanto discussa in questi giorni, anche nella classe nella quale la preside ha sospeso cinque alunni.
Forse allora bisognerebbe iniziare a pensare a come risolvere il disagio, senza chiamare “studenti incriminati” i cinque sospesi e senza etichettarli come stranieri che ostacolano la formazione scolastica dei buoni italiani. E ha ragione l’assessore alla Scuola Claudio Piron che sostiene che se non si dirottassero i bambini italiani verso le scuole del centro o dei quartieri a minor disagio sociale, le percentuali di nazionalità di origine degli alunni sarebbero simili.
Eppure sembra che non ci sia nulla da fare, l’uomo è ostinato: anche quando non si può non vivere gomito a gomito con altre culture e realtà, si cerca sempre un modo per toccarsi il meno possibile.