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da Il Mattino di Padova del 9 dicembre 2010

I rifugiati politici somali sopravvissuti ai massacri: «Chiediamo lavoro e casa»

Erano in venti e sono rimasti in sette dopo un anno. Razzismo stop li sta aiutando: «Istituzioni assenti»

Sono arrivati in Italia un paio di anni fa, dopo viaggi drammatici, in fuga dalla Somalia annientata da 20 anni di guerra e massacri civili. Erano in 20, tutti giovani: a fine inverno 2010 giunsero a Padova dove incapparono in un truffatore che si fece dare 100 euro da ciascuno. E li sistemò in uno stabile a Mortise «di sua proprietà», disse. E sparì. Ovviamente la casa non era sua e i ragazzi furono cacciati. Da allora ad occuparsi di loro, che avevano fatto domanda di asilo politico per lo status di rifugiati, sono stati volontari, gruppi e singoli (come l’ex titolare del bar Orca Loca a San Bellino).

Ma soprattutto l’associazione Razzismo Stop, ramo sociale e di concreto impegno dell’«impresa» politico-culturale con testa a Radio Sherwood e cuore al Centro Pedro. Razzismo Stop ha sede all’8 di via Gradenigo ma la convenzione con il Comune è scaduta da più di 10 anni: l’associazione ha occupato una sala interna, ché quel luogo nel frattempo è diventato un centro di integrazione e prima accoglienza molto frequentato.

E’ lì che i rifugiati somali sono stati accolti per una sistemazione d’emergenza: ora sono rimasti in 7, alcuni sono entrati nei progetti per i rifugiati in giro per l’Italia, altri sono andati in Svezia o Danimarca. Dove ricevono sì assistenza e accoglienza ma quando salta che la domanda d’asilo è stata fatta in Italia, vengono rispediti qui. «Noi di Razzismo Stop vogliamo aprire la questione – specifica Marzio Sturaro, 60 anni, insegnante in pensione e volontario a tempo pieno – Assieme ad altri ci siamo occupati dei rifugiati ma abbiamo chiesto un incontro con il sindaco, che ha la delega per l’immigrazione, con una lettera e 200 firme: medici, avvocati, insegnanti. Una richiesta per iniziare un percorso condiviso che porti alla soluzione della vicenda con un allargamento dei percorsi di solidarietà e accoglienza in città. Niente. Allora ci siamo rivolti all’Ufficio immigrazione e qualche somalo è stato inserito nel sistema per i rifugiati».

I sette rifugiati, tra i 24 e i 32 anni, si arrangiano con lavori precari ed abitano in quel palazzetto assai freddino in via Gradenigo: dormono assieme in una stanza, poi la mattina le brande scompaiono e la camera serve per le attività. Che sono tante e rivolte a tutti gli immigrati: 60 stranieri frequentano corsi di italiano tenuti da 16 insegnanti padovani volontari; lì si incontrano svariatissime associazioni di immigrati; ogni due mesi l’ambasciata nigeriana usa Razzismo Stop come ufficio per fare le pratiche e arrivano 3-400 persone; lì ha sede la squadra di cricket dello Sri Lanka, lì ci sono gli sportelli di assistenza legale e consulenza e per orientarsi nella «sanatoria truffa»; c’è un punto internet ad accesso libero ma c’è anche l’uso della cucina, lì se capita arriva Moni Ovadia a fare spettacolo. Ancora, studenti fanno stage e sei universitari stanno facendo tirocinio agli sportelli. E lì funziona l’accoglienza d’emergenza, come anche per la coppia di rom che dorme al piano terra: abitava in una casa occupata a Mortise ed è stata cacciata.

«Il Comune ci risponde che mancano possibilità di sistemazione, e nel frattempo dove stanno queste persone? L’esistenza di questo posto evidenzia questo problema», aggiunge Luca Bertolino, 35 anni, operatore sociale e volontario a Razzismo Stop. Adesso un altro problema per i rifugiati somali è la residenza, spiegano Sturaro e Nicola Grigion, 33 anni, che cura il sito www.meltingpot. org: «Prima si poteva avere la residenza anche in roulotte, oggi con il pacchetto-sicurezza ci sono standard precisi e i Comuni possono verificare». Quindi, altro scoglio: «Tra le tante difficoltà materiali, anche le angherie burocratiche: tutti sanno che loro sono qui, ma niente residenza che serve per avere il medico di base e molto altro.

Uno di loro vuole sposarsi con una ragazza conosciuta in Svezia, ma deve avere il certificato di stato libero, ovvero che non è già sposato, dalla Somalia – racconta Sturaro – La Somalia non esiste, non esiste anagrafe». Almeno servirebbe la residenza qui, ma niente. Due di quei ragazzi scappati al massacro della Somalia vorrebbero chiedere il ricongiungimento e far venire qui l’uno la moglie malata, l’altro la mamma. I rifugiati sono facilitati in questo iter ma serve la residenza: intanto loro da mesi stanno cercando di mettersi in contatto con l’ambasciata italiana in Kenya che ha attivato un servizio per i somali via internet. Ogni mercoledì da mezzanotte a mezzanotte e un minuto si apre una finestra sul sito, i primi sette riescono ad avere l’appuntamento a cui poi andrà il parente somalo per iniziare le pratiche. Un delirio. A breve inizierà la ristrutturazione della palazzina in via Gradenigo 8, e il futuro di Razzismo stop è incerto: «E’ una struttura conosciuta, la nostra, ma non è riconosciuta.

La nostra disponibilità ad affrontare situazioni difficili, toglie il problema al Comune. E c’è il vizio di approfittare del volontariato. Chiediamo che vengano semplificate le azioni che aiutano e che le istituzioni si attivino per l’accoglienza».