Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sport – Il giocatore extracomunitario già residente in Italia può essere tesserato per partecipare al campionato di serie B, in deroga al regolamento della FIGC, in quanto protetto dal principio di parità di trattamento e non discriminazione

Le norme dei regolamenti delle federazioni sportive possono valere solo in relazione a nuovi ingressi di stranieri ai fini di tesseramento con società sportive, ma non nei confronti di stranieri già residenti in Italia.

Con ordinanza dd. 2 dicembre 2010, il Tribunale di Varese, in composizione collegiale, ha accolto l’azione anti-discriminazione promossa da un cittadino bosniaco, già residente in Italia dal 2006, al quale era stato negato dalla Federazione Italiana Gioco Calcio il tesseramento con la società del Varese Calcio ai fini della partecipazione al campionato di serie B. Stante al regolamento della FIGC dd. 5 luglio 2010, alle società calcistiche che partecipano al campionato di serie B nella stagione 2010/11 è stato vietato in maniera assoluta il tesseramento di calciatori di Paesi non aderenti all’Unione Europea o allo Spazio Economico Europeo, con l’unica deroga prevista per i cittadini svizzeri.

Secondo il tribunale di Varese, tale regolamento non appare innanzitutto compatibile con la norma contenuta nel T.U. immigrazione che dispone per l’ingresso di sportivi professionisti un “limite” di tesseramento, ma non anche un divieto assoluto (art. 27 comma 5 bis d.lgs. n. 286/98). Ciò che più importa nel caso in questione, tuttavia, è che il Tribunale di Varese ha ritenuto che norme speciali dell’ordinamento sportivo limitanti l’esercizio dell’attività sportiva in forma professionistica da parte di cittadini stranieri extracomunitari possono avere efficacia solo in relazione a nuovi ingressi di sportivi stranieri e, dunque, in sede di primo tesseramento, mentre non possono essere fatte valere nei confronti di stranieri già regolarmente residenti in Italia ad altro titolo, i quali debbono beneficiare del principio di parità di trattamento in materia di accesso all’attività lavorativa di cui all’art. 2 del T.U. immigrazione e del principio di non discriminazione di cui all’art. 43 del medesimo testo unico immigrazione. La discriminazione operata nei confronti del cittadino bosniaco, già residente in Italia dal 2006, inoltre non poteva trovare giustificazione dall’asserita esigenza di tutelare i “vivai giovanili”, in quanto l’interessato avendo fatto ingresso in Italia oramai da diversi anni e avendovi risieduto durante la giovane età necessariamente faceva parte lui stesso di tali “vivai” oggetto di tutela, senza che dunque potesse avere rilevanza alcuna la sua condizione di cittadino straniero.

In questo senso, l’ordinanza del Tribunale di Varese costituisce un ulteriore importante precedente a favore dell’integrazione dei cittadini stranieri di “seconda generazione” attraverso l’attività sportiva. Considerazioni analoghe erano state già espresse dal Tribunale di Lodi, con l’ordinanza del 13 maggio 2010

Da segnalare, inoltre, nell’ordinanza del Tribunale di Varese le considerazioni sviluppate riguardo alla giurisdizione del giudice ordinario. Pur trattandosi di materia attinente allo svolgimento dell’attività sportiva, sussiste la giurisdizione ordinaria anziché quella sportiva, trattandosi di causa legale che attiene alla materia della discriminazione, per la quale dunque il legislatore, con norma speciale, ha previsto uno specifico e distinto modello procedimentale, quale l’azione anti-discriminazione di cui all’art. 44 del T.U. imm.

Ordinanza del Tribunale di Varese del 2 dicembre 2010

A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.