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Direttiva rimpatri – Nuove pronunce intervengono sull’inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore

a cura di Pietro Fanesi

I seguenti documenti contengono nei rispettivi contenuti alcune considerazioni – che qui stiamo solo ad accennare – relative al rapporto tra norma comunitaria e norma interna, la cui portata dirompente oltre ad offrire una lettura quasi demolitrice circa l’attuale sequenza procedimentale prevista dal Testo Unico (D.lgs. n. 286/98, come successivamente modificato), contribuisce ad alimentare il dibattito sull’applicabilità delle fattispecie di cui agli art. 14, c. 5-ter e quater (inosservanza dell’ordine di allontanamento del Questore) dello stesso Testo Unico.

Ordinanza del Tribunale di Milano del 24.01.11, rinvio degli atti alla Corte di Giustizia europea

Il Tribunale di Milano, nell’accertare la responsabilità di un cittadino tunisino tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all’art. 14, c.5-quater D.lgs. n. 286/98 (sanzionante con la pena della reclusione da uno a cinque anni lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione al comma 5 ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5 bis che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato), rinviava gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, formulando come quesito se gli artt. 15 e 16 della direttiva, alla luce dei principi di leale collaborazione e di effetto utile delle direttive, fossero o meno in contrasto con l’incriminazione oggetto di accertamento penale.
Nell’ordinanza il Giudice rileva il doppio fine che la direttiva si propone di perseguire, operando un bilanciamento “da un lato, tra l’interesse dell’U.E. al controllo e alla gestione dei flussi migratori – e alla connessa esigenza di garantire l’effettività delle procedure di rimpatrio in tutti gli Stati membri -, e dall’altro il diritto fondamentale alla libertà dello straniero sottoposto a tali procedure”. Gli art. 15 e 16 predispongono le condizioni, oltre le quali gli Stati membri non possono spingersi, in presenza delle quali il cittadino extracomunitario può essere privato della libertà personale nell’assoggettamento alla procedura di rimpatrio.
Il sistema disegnato dalla direttiva non esclude la possibilità che uno Stato membro disponga la detenzione del cittadino extracomunitario in forza di un titolo diverso “dal trattenimento finalizzato a garantire l’effettività della procedura medesima (di espulsione, ndr) e segnatamente a titolo di custodia cautelare e/o di pena detentiva conseguente alla commissione di un reato”. Infatti, nessun ostacolo applicativo verrebbe in essere se nel contesto della procedura di rimpatrio, un soggetto venisse arrestato, sottoposto a misura cautelare e poi condannato ad una pena detentiva con condanna passata in giudicato, in merito ad un fatto di reato (per esempio un ipotesi di spaccio, furto o rapina) commesso prima o durante la procedura di rimpatrio e completamente avulso dalla stessa.
Seguendo l’orientamento della Corte di Giustizia (sentenza Kadzoev 30 novembre 2009 ric. N. C-357/09, § 45), ove si sottolineava il differente regime giuridico alla base del trattenimento disposto per il richiedente asilo da quello finalizzato al rimpatrio, il Tribunale considera che “il periodo trascorso dallo straniero in un istituto penitenziario dovrebbe essere considerato del tutto distinto e non cumulabile, ai fini del rispetto dei termini fissati dall’art. 15 §§ 5 e 6 della direttiva, rispetto al periodo di trattenimento che lo straniero eventualmente potrebbe trascorrere in un centro di permanenza temporanea”.
In questo senso, il Giudice milanese non considera l’incriminazione dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore ex art. 14, c.5-ter e quater D.Lgs. n. 286/98 e la potenziale detenzione cautelare o esecutiva della pena definitiva come una restrizione della libertà personale distinta dal trattenimento finalizzato all’espulsione, in quanto la fattispecie è stata inserita nell’ordinamento dal legislatore nell’ambito della procedura di rimpatrio.
Pertanto, data l’estensione temporale della pena prevista dall’art. 14, c.5-ter e quater del T.U. fino ai quattro anni di reclusione, ravvisando nel reato uno strumento finalizzato alla funzione amministrativa del rimpatrio e prevedendo la direttiva un termine di trattenimento massimo di 18 mesi, considera il Testo Unico e la fattispecie da esso prevista in contrasto con quanto disposto dalla norma comunitaria.
Lo scopo perseguito dal legislatore con le fattispecie di inosservanza è ravvisabile nella stessa formulazione letterale del citato comma 5-quater, il quale prevede che il cittadino extracomunitario possa essere successivamente condannato alla stessa pena “anche per violazioni di ulteriori ordini di allontanamento che dovessero essere emanati dal Questore, sino a che non si allontani spontaneamente dal territorio italiano ovvero sino a che non sia possibile eseguirne coattivamente l’allontanamento ”. Fin quando lo straniero non si allontani spontaneamente o per mezzo dell’Autorità amministrativa potrebbe essere o trattenuto in un C.I.E. o detenuto poiché arrestato, sottoposto a misura cautelare o in espiazione di pena definitiva, sicché una volta libero potrebbe ricadere nella stessa “catena senza fine di limitazioni della libertà personale” la quale evidenzierebbe la finalità perseguita dal legislatore nell’assoggettare il diritto penale alla espletazione della funzione amministrativa.

Sentenza del Tribunale di Cagliari del 14.01.11

Secondo il Tribunale di Cagliari nell’ambito di un rito abbreviato volto all’accertamento della responsabilità di un cittadino senegalese inottemperante all’ordine di allontanamento del Questore, nel controllo sulla legalità dell’atto amministrativo presupposto, “deve ritenersi che entrambi i provvedimenti amministrativi indicati, ossia il decreto prefettizio e l’ordine questorile, pur legittimamente assunti, sono diventati integralmente efficaci a seguito del sopravvenuto contrasto delle norme che disciplinano il procedimento amministrativo di espulsione (contenute nell’art. 13 e 14 T.U: Immigrazione) con le disposizioni contenute nella direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008”.
Il Giudice, nel valutare la direttiva secondo i parametri della chiarezza, della precisione, della incondizionabilità e dell’effetto favorevole per l’individuo nei confronti dello Stato inadempiente, al fine di poter applicare direttamente al singolo i diritti e le garanzie stabilite dalla direttiva, rileva che l’impianto della norma comunitaria descrive “una sequenza di attività che si connota come chiaramente incompatibile rispetto al paradigma procedimentale previsto dal diritto interno”. Inoltre, ritiene altrettanto perfezionati gli ultimi due requisiti poiché non v’è in capo allo Stato alcun diritto di opzione sulla scelta se applicare o meno il disposto della direttiva e – in relazione all’effetto favorevole – lo considera sussistente in capo al “migrante irregolare”.
Lo Stato italiano potrà eventualmente disciplinare norme di dettaglio e non potrà discrezionalmente stabilire delle procedure di esecuzione del rimpatrio alternative a quelle ordinarie previste dalla direttiva stessa.
La mancata collaborazione del cittadino extracomunitario concepita nel rimpatrio volontario non è equiparabile all’inottemperanza poiché alla base della condotta – seppur di fatto analoga – il legislatore del Testo Unico ha previsto un ordine di allontanamento, questo concepito come residuale rispetto all’accompagnamento coattivo alla frontiera e all’eventuale trattenimento nel C.I.E. E’ proprio la sequenza delle fasi previste dalla direttiva a non corrispondere con quelle previste dall’ordinamento interno la cui disciplina va inapplicata e i cui provvedimenti vanno disapplicati dal Giudice penale.
Attingendo dalle pronunce della Corte di Giustizia, lo stesso Giudice rileva che “la tutela giurisdizionale accordata ai singoli dalle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta non può dipendere dalla natura della disposizione di diritto interno con esse contrastanti, non rilevando quindi che si sia in presenza di una disposizione legislativa o amministrativa”.

Dopo aver considerato come la sanzione penale sia sottesa all’espletamento di una funzione amministrativa, il Tribunale di Cagliari rileva come l’incompatibilità della struttura del procedimento amministrativo presupposto della fattispecie conduca alla verificazione del fenomeno giuridico dell’abolitio criminis dal momento che, come sostenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione, “l’art 2 cod. pen. può trovare applicazione rispetto a norme extrapenali che siano esse stesse, esplicitamente o implicitamente, retroattive, quando nella fattispecie penale non rilevano solo per la qualificazione di un elemento ma per l’assetto giuridico che realizzano” (Cass. S.U. sent. 2451 del 27.09.07).

Pertanto, oltre ad assolvere l’imputato inapplicando le norme interne che disciplinano il procedimento amministrativo di espulsione e disapplicando i provvedimenti presupposti, il Tribunale riconosce la sussistenza del giustificato motivo in quanto la Pubblica Accusa non ha dedotto a fronte dell’allegazione dell’interessato circa la propria condizione di sostanziale impossidenza alcun elemento utile ai fini della ricostruzione delle sue capacità reddituali. Quindi il fatto non sussiste.

Nota diramata agli Uffici della Procura della Repubblica di Firenze e messa a disposizione delle Forza dell’Ordine del 18.01.11

Da ultima ma non meno importante, la Procura della Repubblica di Firenze impartisce come criterio generale una interpretazione che sostanzialmente riprende in sommi capi il contenuto della sentenza del Tribunale di Cagliari, il quale ovviamente si rifà ad ampia dottrina e giurisprudenza che dalla fine dello scorso anno ha attizzato un importante dibattito sulle sorti della struttura del procedimento amministrativo finalizzato all’espulsione disciplinato dal Testo Unico.

Secondo l’interpretazione offerta, verrebbe a mancare l’elemento cardine dei reati di inottemperanza, in quanto con l’applicazione diretta della direttiva rimpatri alla base dell’incriminazione, l’ordine di allontanamento non sarebbe più adottabile “negli stessi termini e modalità sin qui previste”. Sotto il profilo del trattenimento, “l’incriminazione in questione elude comunque le garanzie della libertà personale dello straniero stabilite dalla direttiva, comminando cioè una severa pena detentiva in conseguenza di una condotta – quella della mancata partenza volontaria nonostante la notifica di un ordine di allontanamento – che, secondo la direttiva, può giustificare al più, e solo come extrema ratio, la detenzione amministrativa attraverso la misura del trattenimento per un periodo non superiore a diciotto mesi.

Pertanto, conclude la circolare, l’arresto ex art. 14, c.5-quinques è da considerarsi eseguito fuori dai casi previsti dalla legge, salva la valutazione di caso per caso. Inoltre l’incompatibilità tra direttiva e normativa interna può condurre al riconoscimento del giustificato motivo.

Vedi anche
Direttiva rimpatri – Materiali del Convegno on-line