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da Il Manifesto del 29 marzo 2011

Lampedusa – Migranti e abitanti prigionieri del Viminale

Luca Bertolino, Campagna Welcome in presidio a Lampedusa

Ribaltano cassonetti per bloccare la strada che esce dalla zona del porto. In acqua, hanno legato tra loro le carrette su cui fino a qualche ora prima erano stipati i migranti trascinati forzatamente dalla Guardia Costiera sull’isola. Qua e là le facce di qualche esponente di partito che cerca di cavalcare il malcontento, ma Lampedusa è stanca, della politica e delle promesse. Lo sono i migranti costretti all’attesa nell’isola di permanenza temporanea, lo sono gli abitanti, comparse forzate dello spettacolo messo in scena dal Viminale. Non ce l’hanno con chi arriva, ma con chi ha organizzato questa gabbia per le loro vite. “Sciopero generale”, urlano da dietro la barricata.

Gli sbarchi continuano, mentre da giorni si susseguono i proclami delle autorità puntualmente disattesi. L’ultimo, quello del Prefetto per l’emergenza Caruso, che ha annunciato l’arrivo di 6 navi per mercoledì, con cui dovrebbe essere evacuata l’isola in un solo colpo, deve ancora essere metabolizzato. Troppe bugie una dietro l’altra hanno trasformato ogni notizia in motivo di nuova rabbia: nessuno ci crede, nessuno potrà ripagare la sofferenza di questi giorni che ha già prodotto una ferita indelebile.
Intorno alle diciassette gli abitanti si sono spostati sotto al Municipio. Ci rimarranno senza sosta fino a mercoledì per verificare se agli annunci seguiranno i fatti. Dall’altra parte, al porto, negli stessi minuti, sono invece i migranti a far salire la protesta. Chiedono di essere identificati, di lasciare la prigione in mezzo al mare. Noi seguiamo entrambi i momenti.

Dallo scorso giovedì siamo sull’isola ed il presidio della campagna Welcome è stato raggiunto già nelle scorse ore dagli attivisti di Palermo (rete anti-razzista) e Roma (Esc-infomigrante). Nelle prossime ci raggiungeranno altre delegazioni, da Padova, da Venezia, da Bologna, ancora da Palermo. Da tutta Italia arrivano contatti, circolano informazioni. Lampedusa è solo l’inizio. Le 13 tendopoli temporanee, il mostro di Mineo, i CIE sparsi tra le regioni ed il confine di Ventimiglia, sono lo sfondo su cui si giocherà la partita per la libertà dei migranti nei prossimi giorni.
Ed è nostra intenzione giocarla già dal prossimo 2 aprile.

Sull’isola intanto lo scenario, surreale, è ormai diventato routine. Regna il caos. L’insofferenza, le proteste, sono un fatto quotidiano che ieri si è fatto più visibile ed organizzato. In questa normalità caotica il ritmo delle giornate è scandito dalle urla che si alzano dalla banchina del porto ogni volta che tra i riflessi del sole battente si fanno strada le barche traghettate verso il molo. La scena è sempre la stessa: una corsa sfrenata (senza scarpe) per ritrovare, tra le tante, la faccia dell’amico lasciato prima della partenza, la voglia di sapere che anche lui ce l’ha fatta.

Ancora una volta siamo al porto all’ora del pasto. Anche oggi viene distribuito riso. Viene consegnato in sacchetti gialli che ritroviamo ovunque. Gli agenti passano il tempo ad organizzare le file che puntualmente, dopo pochi secondi, si trasformano in uno sciame di persone alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. In questo disegno grottesco il caldo ha spinto in molti a buttarsi in acqua per un bagno. Tra un pasto ed uno sbarco c’è il tempo per parlare, per farsi raccontare i desideri e le paure che li hanno spinti a partire. Qualcuno spera di raggiungere i parenti nelle città del Nord. Altri, molti, hanno invece come meta la Francia, per raggiungere amici di lunga data, i compaesani salutati qualche anno prima e partiti dalla stessa spiaggia da cui anche loro si sono imbarcati. Ma nessuno sa come ci arriverà. Nessuno è consapevole del percorso tortuoso che i governi europei hanno organizzato sulla loro pelle.

Ahmed, venticinque anni, arriva da Djerba. Sull’isola è dallo scorso mercoledì. E’ esausto. Lui le scarpe le porta ai piedi solo da domenica. Sono le stesse, arrivate con una spedizione, che ritroviamo addosso ad altre centinaia di persone. Faceva il cameriere. Le rivolte, la caduta di Ben Alì, sono il suo orgoglio. Ma ha scelto di lasciare la Tunisia perché in mente questo viaggio ce l’ha sempre avuto. Con un fratello ad attenderlo a Parigi si è messo in mare quando ha capito che partire sarebbe stato più facile. Un po’ per sfida, un po’ perché ancora in Tunisia niente è chiaro. Il lavoro è finito, il futuro è incerto. Attende con ansia la chiamata che lo porterà al CIE di Contrada Imbriacola perché raggiungerlo significherebbe essere identificato e quindi fare un passo in avanti nella lista dei prossimi trasferimenti. Di ciò che l’aspetta non sa nulla. Ci chiede se sarà rimpatriato ma non gli sfiora neppure il pensiero che, una volta lasciata Lampedusa, verrà probabilmente nuovamente detenuto in una delle tendopoli/carcere che il governo sta predisponendo in fretta e furia. Di quanto si fermerà in Italia non ne ha idea, di quando raggiungerà la Francia neppure. Non gli interessa definire oggi dove sarà e quando. Ciò che gli preme è poter scegliere. Se andare o se restare. E questa sua determinazione, lo sappiamo, dovrà fare i conti con il tortuoso percorso di confinamento e clandestinità che gli ha preparato il Viminale.
Gli lasciamo il numero di telefono che abbiamo attivato per seguire il suo tragitto e quello degli altri, fino al confine con la Francia (345 7583902 ). Non abbiamo intenzione di stare a guardare. Con Ahmed e con gli altri sfideremo se sarà necessario il confine interno dell’Europa. Perché la libertà di scegliere o è per tutti o non è per nessuno.