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dal Corriere dell Sera del 26 settembre 2011

Braccianti e operai fantasma: nuova legge ma il carcere non ferma i «caporali»

LATINA – Caporalato: il reato è nuovo, ma i problemi restano sempre gli stessi. A sei mesi dalla proposta di legge, la Finanziaria bis ha introdotto pene più severe – il reato diventa penale – prevedendo anche l’arresto per chi sfrutta i lavoratori in maniera sistematica e violenta. Ma basta visitare le campagne della provincia pontina, le coltivazioni ortofrutticole, i frutteti, le immense serre ed i vigneti, per rendersi conto che il comparto continua a reggersi sul lavoro di braccianti – per la maggior parte indiani, 4mila quelli stimati nel 2010 – senza contratto, senza diritti, sconosciuti allo Stato perché clandestini. Così come accade per gli operai-fantasama arruolati dai kapì alla periferia di Roma per centinaia di cantieri edili.

MANETTE SPAURACCHIO – La prospettiva di multe e manette, è evidente, non spaventa gli imprenditori che pur stanno subendo qualche controllo in più. Si scopre così che il nuovo reato è difficile da configurare e dunque da punire. I primi moti di soddisfazione da parte dei sindacati, in particolare la Cgil dei comparti edili ed agricoli – che nel maggio 2010 aveva organizzato da Latina a Viterbo proteste in piazza degli immigrati -, si stanno trasformando in una ennesima denuncia verso un Paese che vive di buoni propositi ma ha le armi spuntate per fermare l’illegalità.

LEGGE MONCA – Il bilancio ad una decina di giorni dall’entrata in vigore del Ddl contro il caporalato non è esaltante. «In provincia il 16% del Pil proviene dall’agricoltura – dice Giovanni Gioia della Flai Cgil – e non possiamo lasciarlo in mano alle organizzazioni criminali». I sindacalisti sono convinti che dietro al caporalato e a quel 90% di lavoratori extracomunitari ci sia qualcosa di ben più articolato e temibile, un’organizzazione che la nuova legge non riesce a identificare e colpire. «Servono decreti attuativi che stabiliscano chi debba fare i controlli dotando le forze dell’ordine dei giusti strumenti – dice Gioia – e soprattutto occorre che si definisca meglio la figura del caporale».

IL NUOVO REATO – Basta scorrere l’articolo 12 del decreto legge 138/2011 per capire che – fatte salve le premesse sufficientemente ancorate alla realtà – di fatto manca qualcosa. Vi si legge che «chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1000 a 2000 euro per ciascun lavoratore reclutato». Inoltre costituisce indice di sfruttamento «la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato…».

ARMI SPUNTATE E 3 EURO L’ORA – Ma se il ritratto dello sfruttatore appare ben definito, il legislatore ha dimenticato che nella maggior parte dei casi i lavoratori sono dei veri e propri invisibili, fantasmi che denunciando le condizioni di vita disumane verrebbero espulsi senza possibilità di recuperare le migliaia di euro spesi per il viaggio della speranza in Italia, spesso intascati da mercanti di uomini senza scrupoli.
In provincia di Latina lavorano migliaia di cittadini del Punjab, localizzati tra Aprilia, il capoluogo, Sabaudia, San Felice, Terracina e Fondi. Tengono in piedi il settore dell’ortofrutta (ed anche quello zootecnico ) locale al pari dei «colleghi» del Nord Italia dai quali dipendono allevamenti bovini e produzioni tipiche come il Grana Padano. In questi giorni le campagne sono colme di braccianti sfruttati dall’alba al tramonto per 3 euro l’ora: gli unici controlli di cui si è avuto notizia sono quelli dei carabinieri e dell’ispettorato del lavoro. In alcuni casi si usa l’elicottero per sorvolare i vigneti e coltivazioni per indirizzare le pattuglie. Il bilancio è di una manciata di ammende, ma di arresti neanche uno.

PALESI ANOMALIE – «Servirebbe una task force che si dedichi a controlli sistematici – dice ancora Giovanni Gioia – mentre è completamente assente quell’analisi, quell’incrocio di dati ufficiali che già da solo fa comprendere le anomalie del sistema produttivo locale. Alla Camera di commercio sono registrate 11mila tra aziende agricole e florovivaistiche, mentre di lavoratori agricoli al collocamento ce ne contano 9mila, neanche uno per azienda». Così come è assurdo, prosegue Gioia, «che non via sia nemmeno una denuncia di infortunio nelle campagne. In questo panorama il reato di caporalato è difficilmente contestabile».

BATTAGLIA PER I DIRITTI – La nuova legge viene vista solo come un punto di partenza. Prosegue Giovanni Gioia insieme al responsabile del settore edile della Cgil Ezio Giorgi: «Avere un quadro normativo più puntuale e certo (ricordiamo che in precedenza il caporalato era un reato civile con un’ammenda prevista di 50 euro a lavoratore sfruttato) ci consente di rivendicare e rilanciare con qualche strumento in più la battaglia per la difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori e del lavoro e, ci auguriamo possa essere anche un sistema disincentivante per tutti quei malfattori che fanno dello sfruttamento il loro business».
Intanto, ogni mattina all’alba, centinaia di Sikh con le loro biciclette scassate si recano dalle miriadi di «Little India» pontine verso i campi, per guadagnarsi il pane: qualcuno è vittima dello sfruttamento ad opera dei propri concittadini, altri di organizzazioni criminali nostrane. Molti di più quelli che debbono sottostare alla logica di un profitto che gli imprenditori locali mandano a memoria: «Con questa crisi se dovessi prendere un bracciante in regola non andrei avanti…».