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da Il Manifesto del 2 ottobre 2011

Lampedusa “porto non sicuro” ed è subito flop

di Chiara Giarrusso e Alfredo Marsala

Bloccare le partenze dei migranti direttamente in Tunisia e se qualche barca riuscisse a sfuggire ai controlli dovrà essere respinta prima che entri in acque internazionali. L’obiettivo del Viminale è di evitare che si possa ripetere quanto avvenuto a Lampedusa: gli scontri tra tunisini e lampedusani, le cariche della polizia, i feriti. Immagini che hanno fatto il giro del mondo e che hanno scosso la comunità internazionale. Anche la gestione successiva, con i nordafricani rinchiusi per giorni nelle navi ormeggiate nel porto di Palermo ha evidenziato che sul tema c’è parecchia confusione. E al ministero è stata accolta con fastidio la notizia che la procura di Palermo ha aperto un fascicolo dopo l’esposto presentato da un gruppo di cittadini che ipotizzano l’abuso d’ufficio e il sequestro di persona da parte delle autorità che hanno gestito «i Cie galleggianti». In più c’è il problema dei costi. Il dipartimento sta facendo i conti delle spese sostenute per il trasferimento da Lampedusa a Palermo dei mille tunisini dopo l’incendio che ha semidistrutto il Cie dell’isola. Non ci sono numeri ufficiali, ma qualcosa comincia a trapelare.

 

Solo le navi ormeggiate al porto sono costate qualcosa come 90 mila euro al giorno. Poi ci sono i costi sopportati per spostare nel capoluogo siciliano i poliziotti dei reparti mobile di mezz’Italia: 12mila agenti, carabinieri e finanzieri. La decisione del ministro Maroni di considerare Lampedusa «porto non sicuro» dopo l’incendio del Cie è costata molto: sia in termini di euro sia di modello di gestione. Tant’è che si profila un dietro front.

 

Il ministero sta valutando la proroga della convenzione con «Lampedusa accoglienza», la società che gestisce i centri per i migranti nell’isola. Il contratto è scaduto il 30 settembre. «Stiamo aspettando risposte – conferma Cono Galipò, amministratore delegato di “Lampedusa accoglienza” – La prossima settimana dovremmo saperne di più. La decisione è politica». Non è ancora chiaro come e quando il Cie sarà riaperto. «Al momento – afferma Galipò – nei capannoni rimasti indenni dal rogo possiamo ospitare circa 500 persone». Sono 141 i dipendenti del Cie: 41 sono in ferie forzate, gli altri 100 sono rimasti senza lavoro poiché i loro contratti a tempo sono scaduti due giorni fa.

 

Anche la senatrice leghista Angela Maraventano conferma che sulla proroga sono in corso approfondimenti. «Non sappiamo ancora se sarà rinnovata, se ne discuterà nei prossimi giorni», ammette. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, l’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e Save the Children «la decisione di dichiarare Lampedusa porto non sicuro rischia di indebolire l’intero sistema di soccorso in mare di migranti e richiedenti asilo e al tempo stesso di aumentare la complessità e il livello di rischio delle operazioni di salvataggio». «Non essendo infatti più previsto di attraccare a Lampedusa – sostengono le associazioni – l’effettiva capacità di soccorrere della guardia costiera e della guardia di finanza verrebbe compromessa dalla distanza necessaria per raggiungere un altro porto, ad esempio Porto Empedocle a 120 miglia nautiche, specialmente in tutti i casi di condizioni meteo-marine avverse e laddove vi siano persone con urgente bisogno di cure mediche, minori e persone in condizione di vulnerabilità».

 

Per questo Unhcr, Oim e Save the children auspicano «che il centro di Lampedusa possa al più presto essere ripristinato».
Il progetto di portare a Porto Empedocle i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia è sembrato impraticabile fin dall’inizio. Subito dopo l’annuncio di Maroni di Lampedusa «porto non sicuro», una motovedetta della finanza, giovedì scorso, è uscita in mare per soccorrere 74 tunisini su un barcone a 35 miglia a sud di Lampedusa. Il meccanismo è andato subito in tilt. Tra Roma, Palermo, Agrigento e Lampedusa è stata una sequela di telefonate che hanno coinvolto Viminale, Dipartimento di polizia, comando della Capitaneria di porto e della guardia di finanza, prefettura di Agrigento. Per cinque ore la destinazione dei 74 migranti è rimasta un mistero. Chi opera a Lampedusa ha provato in tutti i modi a convincere superiori e autorità che sarebbe stato impossibile trasportare i maghrebini a Porto Empedocle. Da Viminale l’ordine però era perentorio: basta immigrati a Lampedusa. A rassicurare il sindaco Dino De Rubeis c’era la senatrice leghista Angela Maraventano, vice sindaco sull’isola. «Tranquilli, qui non arriva più nessuno: Maroni me l’ha assicurato», ripeteva ai militari sull’isola che aspettavano disposizioni.

 

E così è stato. A quel punto, però, il problema era come gestire la situazione. Una sola motovedetta della finanza non bastava. È partito l’ordine di fare uscire in mare altre cinque motovedette di finanza e guarda costiera. I migranti sono stati distribuiti nelle sei unità militari che si sono dirette a Porto Empedocle. Un viaggio di 12 ore, mentre Lampedusa era rimasta senza mezzi sufficienti a gestire un altro eventuale soccorso. A Porto Empedocle, poi, i tunisini sono stati fatti salire su quattro pullman scortati dalle forze dell’ordine fino a Palermo, altre due ore di viaggio per 140 Km. Qui sono stati trasferiti nelle navi galleggianti, dove erano rinchiusi altri 500 maghrebini trasferiti da Lampedusa con ponti aereo.

 

Dopo una settimana la nave Vincent (la Moby Fantacy era partita per Cagliari e l’Audacia svuotata progressivamente con i migranti rimpatriati a gruppi di 100 al giorno) ha fatto rotta a Porto Empedocle con 100 tunisini a bordo. Qui è rimasta un giorno: i nordafricani sono stati fatti scendere, infilati nei pullman e ricondotti di nuovo a Palermo, da dove erano partiti, per essere poi imbarcati nei voli aerei e rimpatriati. «È scandaloso che i migranti sono stati spostati da un posto all’altro, alcuni con le manette ai polsi», dice Zaher Darwish, responsabile immigrazione per la Cgil di Palermo. Darwish è tra i firmatari dell’esposto alla procura presentato insieme a Fulvio Vassallo Paleologo, docente di diritto d’asilo della facoltà di giurisprudenza di Palermo, Pietro Milazzo della Cgil, Anna Bucca di Arci Sicilia, Tullio Prestileo, medico che si occupa di immigrazione all’ospedale Civico di Palermo, Judith Gleitze e Franco Juckert dell’associazione Bordeline Sicilia. A loro in questi giorni si sono aggiunte altre otto persone. «Ai magistrati chiediamo – dice Anna Bucca – di accertare se è stata violata la libertà personale dei migranti, se ci sono provvedimenti amministrativi che ne abbiano giustificato quel trattenimento e l’espulsione, se è stato garantito loro l’esercizio del diritto di difesa e se ci sono ipotesi di reato per illecita detenzione di minori».

 

L’avvocato Gaetano Pasqualino spiega che «la procedura di espulsione prevede che il questore per trattenere un migrante in assenza di documenti, deve adottare entro 48 ore un provvedimento motivato, che va trasmesso al giudice di pace per la convalida, il quale nelle successive 48 ore deve autorizzarlo o meno». «Non abbiamo notizie di questo genere di provvedimenti nel caso dei migranti trasferiti da Lampedusa a Palermo – prosegue Pasqualino – se la procedura non è stata rispettata si possono ipotizzare i reati di abuso di ufficio e sequestro di persona».