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Padova – Vietato l’ingresso nel circolo ad una studentessa: sei albanese!

La lettera del Presidente dell'Acsi Veneto e la risposta dell'Associazione Razzismo Stop

E’ successo un venerdì sera di due settimane fa. Dopo aver atteso in fila composte, una volta attraversata la soglia del locale, pronte a sottoscrivere la scheda per ottenere la tessera del circolo, il Factory Club di via Paolo Sarpi, si sono sentite dire no. Perché? Per colpa di quella dicitura così fastidiosa per alcni stampata dall’ufficio Anagrafe sulla carta di identità. Cittadinanza? Albanese.

Ma non hanno demorso, così insieme a molti altri studenti hanno voluto far chiarezza sull’accaduto, interrogando i responsabili dell’Associazione oltre alla Security dell’ingresso. La risposta? Sempre la stessa: qui non entrano gli albanesi i rumeni ed i tunisini.

Certo gestire un locale è difficile, certo compagnie e gruppi numerosi, a volte anche stranieri, spesso possono recare problemi all’interno dei locali. Ma sia chiaro, per ciò che fanno, non per ciò che sono.
Ma ciò che è accaduto quella sera non ha nulla a che vedere con tutto questo.
Di seguito la lettera del presidente dell’Acsi veneto intervenuto maldestramente sulla vicenda e la risposta dell’Associazione Razzismo Stop.

Ritengo doveroso replicare alle accuse infondate di razzismo lanciate inopinatamente dalla signora albanese riguardo la gestione del circolo Acsi Factory Club di via Sarpi.  Per prima cosa penso di poter affermare che quanto da lei descritto non sia da considerarsi “un incubo” poichè i problemi della vita sono altri e, dal fatto che ha avuto il tempo di disturbare la responsabile delle politiche sociali, dr.ssa Ferretti, sorgono dubbi sullo spessore della signora Gjeta e sul valore che dà alle cose. Forse aveva solo voglia di farsi pubblicità. Non poter entrare in un circolo privato è un fatto normale. Vi sono migliaia di ragazzi padovani, che rimangono fuori dai circoli cittadini per ore al freddo senza poter entrare, e non mi risulta interpellino giornali e autorità per questo. Forse la signora voleva essere privilegiata nei confronti di altri che erano in coda educatamente; tra l’altro, non risulta che sia stata molestata o malmenata. Specifico – insiste Nicoletto – che nessuno può pretendere di entrare immediatamente in un circolo privato, lo dice la legge, (non in un “locale” dove c’è un “titolare”, come sottolineato nei loro commenti da Bettin, Beda e Tognon, esponenti politici che evidentemente ignorano come operi un’associazione). Tra l’altro il direttivo di un circolo non deve motivare il rifiuto dell’ammissione a socio, nemmeno a soci dello stesso ente già in possesso della tessera, poiché ogni circolo è indipendente economicamente, fiscalmente e legalmente. Spetta sempre al direttivo dell’associazione decidere, di volta in volta, chi può o meno essere ammesso con la qualifica di socio. Questo vale per l’Associazione Factory, come per qualunque circolo. Solo per fare un esempio, mi è capitato quest’estate, in un circolo affiliato ad altro ente, di dover pagare 10 euro di quota associativa per sentirmi dire che avrei potuto ritirare la tessera la settimana successiva. Questo è un comportamento contrario alle norme (in quel momento son diventato un cliente), mentre sembra sia stato corretto quello del direttivo del Factory. Malgrado queste evidenti contraddizioni vorrei chiudere con un augurio: accade spesso che, in modo del tutto involontario, delle affermazioni vengano travisate o male interpretate e che, da una sciocchezza, nascano strascichi incontrollati e incontrollabili. Invito, quindi, tutte le persone citate, ma anche e soprattutto la signora Gjeta, a un sano e costruttivo confronto con me e con i componenti il direttivo dell’associazione, per risolvere la diatriba che, a mio parere, non è degna di occupare il tempo di persone impegnate a far cose ben più importanti che discutere, anche attraverso i media, di questioni meramente ludiche.
Rossano Nicoletto, presidente Acsi Veneto

Caro Factory club, non normalizziamo la discriminazione.
Daniele Giuliani, Andrea Saran, Nicola Grigion, Luca Bertolino*
Quanto accaduto al Factory Club di via Sarpi, con il rifiuto di far sottoscrivere la tessera del circolo ad una studentessa perché di nazionalità albanese, è sbagliato, secondo noi grave. Se non partiamo dal riconoscere questo non c’è colpo di spugna possibile, ed ogni tentativo di ricucire, ogni proposta di superare gli attriti che quel fatto ha provocato, rischiano di sembrare dettati dall’opportunità e finiscono per essere vani.
Per la verità quello che è successo, a differenza di quanto sostiene il Presidente dell’Acsi Veneto nei suoi interventi degli ultimi giorni, oltre ad essere eticamente e culturalmente sbagliato, è anche palesemente illegale. Perché se è vero che la nostra Costituzione garantisce la libertà di associazione e che il Factory è un circolo privato, è altrettanto vero che questa libertà trova un limite proprio nel principio di non discriminazione. La domanda corretta è questa: ai fini di perseguire il suo scopo, cioè organizzare serate ludiche ed eventi culturali, ha un senso per l’associazione escludere i cittadini albanesi? La risposta è ovviamente no. Sono allora due le possibilità: o all’ingresso del Factory Club si è consumata una discriminazione, oppure, cosa che sarebbe ancor più grave, lo statuto dell’Associazione prevede espressamente l’esclusione dei cittadini albanesi.
Lasciamo perdere però le questioni legali, non vorremmo che a risolvere la faccenda debbano essere l’UNAR o un tribunale (e chissà se il signor Nicoletto si sentirebbe ancora così sicuro). Sgombriamo però il campo dalle ambiguità: questa storia non ha nulla a che vedere con la gestione della sicurezza del locale, nulla a che vedere con lo spaccio o i problemi dei quartieri, neppure è stata una compagnia di persone alticce o evidentemente troppo esuberanti ad essere stata allontanata dall’ingresso del circolo, ma due studentesse/lavoratrici colpevoli di aver esibito una carta di identità che riporta una cittadinanza “non gradita”.
Sbagliare è umano certo. Perseverare, difendere a spada tratta un episodio così deplorevole, rischia però di risultare fastidioso. Le cose sono semplici: o l’associazione è convinta sia giusto discriminare a seconda della nazionalità, oppure si è trattato di un errore. Se così fosse non fa certo bene a nessuno, neppure crediamo ai responsabili del circolo, l’intervento pubblico del Sig. Nicoletto, presidente Acsi, convinto che quella condotta sia legittima e piuttosto offensivo nei confronti della vittima di quella discriminazione, colpevole, a detta del presidente, di essersi indignata, di aver perso tempo su una questione meramente ludica: non si stupisca se fioccano in rete gruppi di boicottaggio del circolo.
L’idea che per risolvere i problemi si debbano produrre discriminazioni è già fin troppo diffusa e minimizzata nella società che ci circonda. Per questo non possiamo far finta di nulla. Crediamo che anche i gestori del Factory Club, che nei giorni seguenti avranno sicuramente avuto occasione di ripensare all’accaduto, non abbiano alcuna voglia di passare per razzisti. Se siamo d’accordo che ciò che è accaduto è un errore, che razzismo e discriminazioni non vadano diffusi ma invece combattuti, proviamo allora a trasformare questa vicenda in una occasione per dare un segnale inverso. Ad improbabili difese, che aggiungono solo note stonate ad una storia già abbastanza grave, sostituiamo i fatti. Noi, insieme ad Orjeta, la vittima di questo “errore”, ed alle altre decine di persone che si sono indignate, facciamo una proposta: organizziamo insieme, al Factory club, una serata contro il razzismo, magari per raccogliere fondi per i rifugiati arrivati dalla Libia e ospitati a Padova. Altro che faccende meramente ludiche. Questa si sarebbe una storia degna di occupare il nostro tempo.

*Associazione Razzismo Stop