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da Repubblica on line del 16 novembre 2011

Processo Bonsu, il giudice: “Agenti impreparati ed esaltati”

di Maria Chiara Perri

La “brillante operazione antidroga” al parco Falcone e Borsellino? Un intervento organizzato male e in fretta, con personale “raccogliticcio” e impreparato, che doveva concludersi in una “retata” che avrebbe fatto sfigurare polizia e carabinieri al confronto degli eroici vigili urbani di Parma. E, possibilmente, avrebbe dovuto mettere in luce il commissario Simona Fabbri in vista dell’imminente arrivo di un nuovo comandante.

Nelle 164 pagine di motivazioni alla sentenza del processo contro otto vigili per il pestaggio e il sequestro di Emmanuel Bonsu, il giudice Paolo Scippa non risparmia critiche alla preparazione degli agenti della Municipale di Parma in materie che non siano dirigere il traffico o fare multe. Il giudice abbraccia in pieno la versione della parte offesa, Emmanuel, considerato un testimone attendibile perché la sua versione “è rimasta sostanzialmente immutata” nelle fasi d’indagine e durante il processo, dimostrando “costanza, coerenza, precisione nel racconto”. Il processo si è chiuso lo scorso 3 ottobre con la condanna di tutti gli imputati, con pene dai due anni ai 7 anni e nove mesi di reclusione LEGGI LE CONDANNE

SOVRAECCITATI ED ESALTATI. Dalle testimonianze emerge “un contesto che vede agire delle persone che rivestono la qualifica di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria in un evidente stato di sovraeccitazione e di esaltazione – scrive il giudice – che armi in pugno partono all’assalto, che abusando del loro potere, placcano, atterrano, minacciano, intimidiscono, perché il loro obiettivo è concludere con successo l’operazione, devono fare quella che in gergo si chiama ‘retata’, prendere lo spacciatore, gli acquirenti, il palo, gli eventuali collaboratori perché quella è l’operazione con la quale devono accreditarsi quale nucleo scelto di polizia Municipale (…)”.

Emmanuel dice il vero, quindi, e le testimonianze delle persone presenti al parco lo confermano. Di contro, gli agenti mentono. Mentono negli atti inviati alla Procura, mentono nelle relazioni interne, raccontano una versione edulcorata dell’accaduto e calunniano il ragazzo accusandolo di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale per coprire “una vera e propria aggressione” ai suoi danni, quando ormai i fatti sono trapelati all’opinione pubblica.

BONSU, UN OSTACOLO. “Emmanuel Bonsu non è il ragazzo che si sottrae alla identificazione – scrive il giudice – ma è sin dalle prime fasi operative di quel giorno uno degli obiettivi dell’operazione, obiettivo che, nel momento in cui si rivela essere un obiettivo sbagliato, diventa un ostacolo che si frappone alla ‘brillante operazione’ che avrebbe dovuto assicurare un personale successo agli imputati, guidati dalla Fabbri (…) Bonsu è il ‘negro’, il ‘palo’ che non vuole tirare fuori lo stupefacente (…), Bonsu è colui il quale rifiuta di confessare il suo ruolo di collaboratore dello spacciatore, ruolo già comunicato alla stampa (…), Bonsu è quello che, con il suo occhio tumefatto, la sua totale estraneità ai fatti, la sua assoluta incensuratezza, la sua regolarità sul territorio dello Stato, la linearità di condotta (…) diventa ad un certo punto non solo un ostacolo ma un fastidioso problema da risolvere”.

Tutti gli imputati, tranne Graziano Cicinato, si macchiano del grave reato di falso ideologico. Vogliono screditare Emmanuel che li ha denunciati per le violenze e le umiliazioni subite: “E allora si redige a suo carico un verbale di identificazione per resistenza, si formula una notizia di reato quando ormai la vicenda è pubblica e non c’è più tempo di sistemare meglio le cose – prosegue il giudice – si costruiscono relazioni di servizio nelle quali si simulano a suo carico comportamenti tali da confortare la falsa ricostruzione dei fatti e giustificare gli effetti visibili della loro condotta. (…) “La dedotta ‘resistenza’ è, dunque, una pura invenzione, una costruzione artificiosa necessaria a giustificare quella che è una vera e propria aggressione in danno di Emmanuel Bonsu (…) Cosa c’è di più utile di una denuncia di reato per neutralizzare la credibilità delle accuse formulate nei confronti di pubblici ufficiali (…)?”

Bonsu viene trattenuto indebitamente anche se sono completamente assenti gli estremi di arresto o di un fermo, si configura il reato di sequestro di persona. La comunicazione del fermo alla Procura avviene solo il giorno dopo: “Emmanuel viene denunciato per resistenza con informativa depositata solo il 30 settembre e solo dopo che era divenuta pubblica la sua denuncia (…) prova del fatto che nessuna volontà di mettere il Bonsu a disposizione dell’Autorità giudiziaria animava gli odierni imputati ma piuttosto testimonia la volontà di tenerlo nella sfera esclusiva del loro dominio quantomeno per il tempo necessario a tentare di trovare a suo carico elementi che consentissero di coprire e giustificare gli illeciti già compiuti”.

FABBRI E SPOTTI. Chi ne esce con le ossa rotte sono soprattutto le due donne che hanno coordinato il blitz del 29 settembre 2008: il vicecomandante Simona Fabbri e l’ispettore Stefania Spotti, le più alte in grado tra i dieci agenti che parteciparono all’operazione.

La Fabbri è colei che avrebbe organizzato il blitz perché sperava di ottenere un incarico importante in vista di una riorganizzazione dell’ufficio. Era presente personalmente al parco, ma questa circostanza è emersa solo nel corso del processo, a quasi tre anni dall’accaduto: “La chiave di lettura proposta dal Pubblico ministero con riferimento al ‘movente’ della frettolosa organizzazione del servizio antidroga – scrive Scippa – appare convincente anche se si guarda nella circostanza che questa operazione venne organizzata e svolta dalla Fabbri esattamente un giorno prima della scadenza dell’incarico della Monguidi ed effettuata non solo nella massima riservatezza ma anche all’insaputa del responsabile del Nucleo operativo della polizia Municipale di Parma (…). La Fabbri con il ‘concorso morale’ dell’ex comandante Monguidi, ha autonomamente deciso di intraprendere un’operazione di polizia giudiziaria di non irrilevante complessità senza che tali tipi d’intervento fossero mai stati intrapresi dal personale al suo comando (…) assumendosi in proprio la responsabilità di gestire tale intervento senza il necessario coordinamento con altre forze di polizia, esponendo a gravi rischi l’incolumità dei suoi uomini e delle persone casualmente presenti (…), con materiale tattico insufficiente (…)”

Fabbri e Spotti sono complici anche per il loro comportamento omissivo, perché in qualità di superiori avrebbero dovuto impedire i reati commessi dai loro subordinati, anche perché hanno partecipato a tutte le fasi dell’operazione.

“Appare, inoltre, quantomeno stupefacente che la Spotti (partecipante al fermo) non si sia attivata per porre rimedio alle ferite riportate dal fermato, non abbia disposto, quindi, il suo immediato trasferimento al Pronto soccorso (…) così come appare incredibile che non abbia informato la Fabbri delle condizioni del fermato”.

AGENTI IMPREPARATI. L’operazione è stata condotta in modo anomalo sotto numerosi aspetti: “Uso di una forza sproporzionata per bloccare il palo, l’estrazione di armi da fuoco in assenza di necessità (…), il trattenimenti in locali di sicurezza senza un giustificato motivo, l’essersi lasciati “travolgere” dalla rapidità dell’azione, la ingiustificata condotta violenta sul fermato”. Il giudizio sul corpo della Municipale di Parma è implacabile: “emerge un quadro sconfortante sia sotto il profilo della preparazione tecnica degli agenti – scrive Scippa – sia con riferimento al loro addestramento per compiti normativamente previsti ma che esulano dal controllo del traffico veicolare o da attività di polizia amministrativa”.

COMUNE ESTRANEO AI FATTI. Scagionato invece del tutto il Comune, estromesso dalla responsabilità civile di risarcimento dei danni alla parte lesa perché “(…) le condotte degli odierni imputati non sarebbero in alcun modo riferibili al Comune di Parma (…)” perché non vi è alcun collegamento tra “la mensioni da questi ultimi svolte in qualità di agenti della polizia Municipale dipendenti dell’Amministrazione e i gravi comportamenti che sarebbero stati posti in essere, vista l’assoluta incoerenza degli stessi rispetto ai doveri d’ufficio propri di ogni pubblico ufficiale”.

ATTENUANTI E AGGRAVANTI. A Spotti, Fabbri e Fratantuono (gli imputati che hanno avuto le pene più pesanti) non sono state concesse le attenuanti generiche per “la gravità complessiva dei fatti contestati agli imputati, le loro stesse qualità soggettive di pubblici ufficili, il grave danno cagionato alla parte civile costituita, la mole di menzogne cristallizzate in atti pubblici destinati all’autorità giudiziaria, l’uso improprio della coercizione fisica”. A Mirco Cremonini invece sono state concesse le attenuanti prevalenti nonostante l’aggravante della discriminazione razziale perché è stato valutato positivamente il suo comportamento processuale (si è sottoposto all’esame in aula) e perché “alcune condotte a sfondo razziale che, se pur randemente riprovevoli sotto il profilo della civiltà (…) non sono state così invasive da recare un danno meritevole di più alta sanzione (…)”.

Tutti gli imputati hanno annunciato il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado.

(16 novembre 2011)