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Respingimenti verso la Libia – Il 23 febbraio la sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo

a cura dell'Unione Forense per la tutela dei Diritti Umani

Il 19 gennaio 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riunita in Grande Camera, ha adottato la sua decisione sul caso Hirsi e altri c. Italia.

La sentenza sarà pronunciata durante un’udienza pubblica che si terrà presso il Palais des Droits de l’Homme a Strasburgo il 23 febbraio p.v. a partire dalle ore 10,30.
La questine dei respingimenti in Libia
Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti sono stati in seguito caricati su navi italiane, inviati a Tripoli e consegnati alle autorità libiche contro la loro volontà, senza che fossero identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro prossima destinazione.

I respingimenti attuati dalle autorità italiane sono contrari al principio di non-refoulement, che vieta l’espulsione verso un paese ove sussista il rischio di essere sottoposto a torture o pene e trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU). I respingimenti hanno altresì violato l’art. 4 del protocollo n° 4 alla Convenzione che vieta l’espulsione collettiva degli stranieri e l’art. 13, che garantisce il diritto ad un ricorso effettivo. Tra le persone intercettate, infatti, potevano verosimilmente esserci dei richiedenti asilo o protezione internazionale, cui è stato impedito di presentare domanda in Italia.

Nel caso specifico, inoltre, i migranti sono stati respinti in Libia, ove si rischia di subire maltrattamenti nei centri di detenzione oppure il rimpatrio verso il proprio Paese d’origine senza potersi avvalere della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, di cui la Libia non è firmataria.

Il caso ha suscitato l’interesse della comunità internazionale, in particolare dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’ Alto Commissariato per i Diritti Umani (UNOHCHR), nonché di numerose organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani.

Il caso Hirsi e altri c. Italia
La procedura dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo è iniziata nel luglio 2009 a seguito del respingimento in alto mare, nel maggio dello stesso anno, di un gruppo di migranti eritrei e somali, che sono stati costretti a rientrare in Libia senza avere la possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale nel territorio italiano.

I ricorrenti (11 somali e 13 eritrei) sono stati rappresentati dagli avvocati Lana e Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani.

La procedura giudiziaria è proseguita nel corso di tutto il 2010 con il rituale scambio di osservazioni e repliche. Il 1° dicembre 2010 la Sezione cui è stato assegnato il caso deferiva la trattazione della questione alla Grande Camera, la cui sessione si è tenuta il 22 giugno 2011.

Durante l’udienza, una delle argomentazioni presentate del Governo Italiano era che all’epoca del fatto la Libia era un paese sicuro. Ermias Berhane e Tsegay Habtom, due tra i ricorrenti, hanno trascorso gli ultimi due anni nelle carceri libiche, e denunciano ora gli abusi e le violenze subite. Tanto più che Berhane, riuscito a raggiungere nuovamente il territorio italiano, proprio il giorno prima dell’udienza si è visto riconoscere dal governo italiano lo status di rifugiato. Prima respinto, dunque, e poi giudicato titolare del diritto d’asilo, a dimostrazione della contraddittorietà della politica dei respingimenti attuata dall’Italia.

Sono intervenuti nella procedura: Human Rights Watch, la FIDH, Amnesty International, AIRE Center, la Human Rights Law Clinic della Columbia University di New York e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). I rappresentanti dell’Alto Commissariato hanno altresì partecipato all’udienza del 22 giugno 2011.

La pronuncia della Corte avrà un enorme impatto a livello politico e, qualora avesse esito positivo nel senso di dare ragione ai ricorrenti, segnerà una svolta nell’ammissione delle responsabilità e nella gestione del fenomeno migratorio in Italia.