Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Melting Sport – Calcio dilettantistico e discriminazioni: l’interessante pronuncia del Tribunale di Lodi del 13 maggio 2010

a cura dell' Avv. Nicola Saccon

L’estrema importanza dell’ordinanza del Tribunale di Lodi del 13 maggio 2010, al di là della questione di merito che affronta, si svela e dirama sotto vari punti di vista divenendo una sorta di decisione “faro” per ciò che riguarda l’individuazione e la denuncia delle discriminazioni rintracciabili nei regolamenti dello sport “minore”, ed in particolare nel calcio dilettantistico.

Preliminarmente: la situazione di fatto.

Il sig. Kolou, togolese, entra in Italia nel dicembre 2008, in fuga dal Paese d’origine a seguito di persecuzioni politiche. All’epoca del ricorso – maggio 2010- sulla richiesta, presentata dal sig. Kolou, di asilo o protezione sussidiaria pende giudizio di fronte al Tribunale di Milano e nel frattempo il richiedente ha ottenuto un permesso di soggiorno per la durata di cinque mesi di volta in volta prorogato in attesa della definizione del giudizio.

Il sig. Kolou, che in patria aveva fatto parte della rappresentativa nazionale di calcio, chiedeva di essere tesserato per la G.S. Azzurra, partecipante al campionato di Terza Categoria della F.I.G.C., ma tale tesseramento veniva rifiutato sia per la stagione 2008/2009 che poi per la successiva 2009/2010, e ciò perché il sig. Kolou non poteva soddisfare il requisito richiesto dall’art. 40 comma 11 riguardante il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione sportiva per cui veniva richiesto il tesseramento.

Reputando tale requisito temporale di natura discriminatoria il sig. Kolou presentava ricorso ex art. 44 D.Lgs 286/98 ed art. 4 D.Lgs. 215/03 avanti il Tribunale di Lodi.

Una prima precisazione: art. 40 co.11 e art. 40 co.11 bis N.O.I.F.
Per vero il giudicante commette un’imprecisione, formale e non certo sostanziale, nel richiamare la norma contestata dal ricorrente.
Infatti il Giudice nell’ordinanza in questione, in sede di premesse, richiama l’art. 40 co.11, andando poi ad inserire per intero il testo dell’art. 40 co. 11 bis.
Le due norme riguardano situazioni soggettive affatto diverse, sebbene poi presentino oggettivamente, le stesse limitazioni discriminatorie.

Orbene, l’art. 40 co. 11 riguarda atleti extracomunitari precedentemente tesserati per Federazioni estere; tale norma stabilisce che se ne possa tesserare soltanto uno e che a tal fine lo stesso debba:
a) avere la qualifica di “non professionista” risultante dal “transfert internazionale”;
b) dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa mediante esibizione di certificazione dell’Ente competente attestante la regolare assunzione;
c) in alternativa, se studente, dimostrare lo svolgimento dell’attività di studio mediante esibizione di certificato di iscrizione o frequenza a corsi scolastici o assimilabili riconosciuti dalle competenti autorità;
d) avere la residenza “e il permesso di soggiorno per un periodo non inferiore ad un anno o che comunque sia valido per l’intero periodo di tesseramento”. La residenza e il permesso di soggiorno devono risultare nel Comune sede della società o in Comune della stessa Provincia o di Provincia limitrofa.

Invece l’art. 40 co. 11 bis, richiamato dal Giudice, riguarda calciatori di cittadinanza non italiana, di età superiore ai 16 anni, mai tesserati per Federazione estera i quali, al fine del tesseramento, devono presentare la dichiarazione di non essere mai stati tesserati per una Federazione estera, il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia da almeno dodici mesi e, qualora fossero di nazionalità extracomunitaria, devono presentare anche il permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente.

Nel caso in specie la situazione del sig. Kolou rientrava nella previsione dell’art. 40 co.11 N.O.I.F., avendo lo stesso precedentemente giocato per la nazionale del Togo, come giustamente indicato in ricorso, mentre il giudicante in ordinanza fa riferimento all’art. 40 co. 11 bis N.O.I.F.; errore, come detto, solo formale, in quanto in entrambi i casi viene richiesto il medesimo requisito temporale discriminatorio. Tuttavia appare corretto puntualizzare le diverse situazioni di partenza per avere un quadro quanto più completo possibile delle varie situazioni che si possono presentare nella realtà.

Passiamo quindi all’analisi dei punti e capi dell’ordinanza maggiormente significativi.

Legittimazione attiva ad agire.
Il Giudice di Lodi riconosce la legittimazione attiva ad agire, oltre che al sig. Kolou, alle associazioni “Lodi per Mostar ONLUS” e “ASGI Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione”.
Tale riconoscimento si basa su quanto previsto dall’art. 5 D.Lgs. 215/2003 il quale prevede che “sono legittimati ad agire ai sensi dell’articolo 4, in forza di delega, rilasciata, a pena di nullità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità ed individuati sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell’azione”.
L’iscrizione di una associazione nell’elenco sopra citato sarà, quindi, elemento sufficiente a riconoscere la stessa quale titolare di un interesse collettivo diffuso, esercitabile ai sensi degli artt. 4 e 4 bis D.Lgs. 215/2003, in quanto ente svolgente attività legate al tema della discriminazione nell’interesse delle comunità straniere in Italia.

Discriminazione razziale.
Trattando del concetto di discriminazione razziale, dopo averne dato definizione, (“una disuguaglianza nel trattamento di situazioni simili ovvero una uguaglianza nel trattamento di situazioni dissimili, come emerge dall’art. 3 della Costituzione”) il Giudice fornisce un significativo elenco di tutte le fonti normative, nazionali ed internazionali, applicabili al caso in specie.
Appare utile, al fine di aver sempre ben presente quali e quante siano le norme antidiscriminatorie, richiamarle, concisamente, in questa sede.

a) Organizzazione delle Nazioni Unite:
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), artt. 2 e 7;
Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate sulla religione o sul credo (25 novembre 1981), art. 3;
Dichiarazione sulla razza e sui pregiudizi razziali (27 novembre 1978), art. 1;
Patto internazionale sui diritti civili e politici (16 dicembre 1966), art. 2;
Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (21 dicembre 1965);
Convenzione contro la discriminazione nell’educazione (14 dicembre 1960);
Convenzione sulla discriminazione in materia di impiego e nelle professioni (28 giugno 1958) art. 2;
Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali (20 ottobre 2005);

b) Consiglio d’Europa:
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (4 novembre 1950), art.14 e Protocollo CEDU (4 novembre 2000) art. 1;
Carta sociale europea (3 maggio 1966);
Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali (1 febbraio 1995);
Risoluzione n. 8 (2000), recante lo Statuto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) (13 giugno 2002);
Raccomandazione n. 20 “On hate speech” (1997);

c) Unione Europea:
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (7 dicembre 2000) artt. 20 e ss.;
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio (29 giugno 2000), recepita in Italia con D.Lgs. 215/2003;
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio (27 novembre 2000), recepita in Italia con D.Lgs. 216/2003;
Decisione 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (24 ottobre 2006), artt. 7 e 8;

d) Normativa italiana:
Decreto legislativo n. 215/03, “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”;
Decreto legislativo n. 216/03, “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”;
Decreto legislativo n. 286/98, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, artt. 43 e 44.

L’attività sportiva come espressione della propria personalità e come strumento di integrazione sociale.
Il Giudice del Tribunale di Lodi individua nell’attività sportiva un’espressione della propria personalità con la conseguenza che “tale valore è riconosciuto e tutelato dall’art. 3 Cost. in forza del quale l’attività sportiva deve essere intesa quale strumento per il pieno sviluppo della persona umana”.
Inoltre, lo stesso Giudice individua lo svolgimento dell’attività sportiva come strumento d’integrazione perché è “nelle relazioni sociali che si sviluppa la capacità di condivisione e convivenza nel rispetto della diversità e delle identità culturali”, rilevando che “i limiti posti al tesseramento di giocatori extracomunitari nelle federazioni sportive impedisce tale iter di integrazione”.

Con tali semplici e chiare argomentazioni il Giudice del Tribunale di Lodi risponde indirettamente al collega del Tribunale di Pescara (“caso Hernandez Paz”) che, come evidenziato nel precedente articolo di questa rubrica, con ordinanza del 14 dicembre 2001 aveva escluso che la pratica sportiva, o meglio l’accesso alla stessa, potesse rientrare tra le libertà fondamentali dell’individuo, con la conseguenza di non poter essere tutelata con lo strumento del ricorso ex art. 44 D.Lgs. 286/98.

Al di là delle opinioni personali circa l’utilizzo, e la connotazione, del termine “integrazione” non si può non sottolineare come le argomentazioni portate dal Giudice di Lodi vadano nella auspicata direzione del libero e pieno accesso all’attività sportiva in condizioni di parità tra soggetti comunitari e non comunitari, ed infatti lo stesso, astraendosi per un momento dalla fattispecie oggetto del ricorso, ribadisce la gravità dei limiti posti al tesseramento di giocatori extracomunitari con riguardo “alla situazione di quei giovani non comunitari nati in Italia da genitori entrambi stranieri che, in una fase di sviluppo psico –fisico delicata per tutti, scoprono (e subiscono) questa loro differenza rispetto a coetanei ed amici con i quali, fino ad allora avevano condiviso numerose esperienze”.

La difesa della F.I.G.C.: rischio di correità e tutela dei vivai nostrani.
La Federazione difende la legittimità del requisito temporale imposto all’art. 40 co. 11 (e co.11 bis) N.O.I.F. oggetto del ricorso – permesso di soggiorno valido fino alla fine della stagione in corso- senza, peraltro, indicare concretamente un qualche motivo a fondamento del carattere temporale del detto requisito. Svolge, la difesa della Federazione, un paio di considerazioni che vale la pena di analizzare, così da poterne ben valutare la portata.

Innanzitutto la Federazione dichiara di non voler discriminare il ricorrente e di non aver interesse ad impedirgli l’attività calcistica, qualora sia in regola con il permesso di soggiorno.
Su tale questione non vi è il minimo dubbio, il sig. Kolou, tutte le volte che aveva fatto richiesta di tesseramento, era assolutamente in regola con il permesso di soggiorno.

Quanto al requisito temporale di validità del permesso di soggiorno la Federazione ne rintraccia la necessità nella considerazione che “certamente la F.IG.C. non può avallare la presenza di un extracomunitario nel nostro Paese, in una condizione di irregolarità”(!).
Continua la Federazione rilevando che “consentendo la permanenza di un extracomunitario privo del permesso di soggiorno la Federazione potrebbe incorrere in un reato di correità” (!) .
Si tratta, evidentemente di argomentazioni illogiche e paradossali.
Premettendo che non è certo la F.I.G.C. a dovere, o potere, valutare e decidere circa la regolarità o meno della presenza di uno straniero in Italia va da sé che se la stessa Federazione è così preoccupata del rischio di “avallare la presenza di un extracomunitario nel nostro Paese, in una condizione di irregolarità” potrebbe semplicemente “strappare” il cartellino al momento della scadenza del permesso di soggiorno (se questo non viene rinnovato), non certo rifiutare il tesseramento a chi è allo stato in regola con la documentazione richiesta.
In ogni caso è davvero oscuro il significato di questo “avallo” come se il tesserare un soggetto in regola con i documenti comportasse poi un controllo sulla vita di questo ben oltre l’ambito sportivo!reato di correità.

Altra argomentazione svolta dalla Federazione, ed anche in questo caso non è chiaro il nesso con la necessità del requisito temporale di cui al ricorso, è quella relativa alla “tutela dei vivai nostrani” .
Ovviamente molte sono le ragioni di ordine sociale, politico, sportivo, culturale che potrebbero essere validamente contrapposte a quello che sembra essere diventato l’argomento “totem” -“la tutela dei vivai nostrani”- di quanti ancora sostengono la legittimità di norme palesemente discriminatorie disseminate nei regolamenti federali di molti sport, ma da un punto di vista giuridico non vi può essere argomento migliore di quello illustrato dal Giudice del Tribunale di Lodi.
Lo stesso, semplicemente, rileva come il riferimento alla “tutela dei vivai nostrani” porti già in se una preferenza per i giocatori italiani e ciò “in aperto spregio a tutte le norme nazionali ed internazionali (…) che impongono il rispetto dell’indefettibile principio di parità di trattamento cui si informano le odierne società civili. In particolare appare violata la Raccomandazione n. 20 “On hate speech” (1997) sopra citata, giacché la dedotta “tutela dei vivai nostrani” concreta un sostanziale fenomeno di etnocentrismo, modello sociale eticamente inaccettabile come statuito anche dalla Raccomandazione poc’anzi citata”.
Non si ritiene, in questa sede, di aggiungere altro sull’argomento.

La natura discriminatoria dell’art. 40 co. 11 ( e co. 11 bis) del N.O.I.F.
Alla luce delle considerazioni illustrate, e di alcune altre riguardanti l’eventuale ragionevole correlabilità tra il requisito richiesto e lo scopo perseguito dalla norma (che il Giudice giustamente non rinviene) e circa lo svolgimento dell’attività sportiva come possibilità di fonte di reddito, il Giudice del Tribunale di Lodi non può che dichiarare meritevole di accoglimento il ricorso proposto, accertando e dichiarando “il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dalla F.I.G.C. e consistente nell’aver previsto, tra i requisiti per il tesseramento dei calciatori all’art. 40, comma 11 N.O.I.F., il possesso di titolo di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente”.

E ciò ritenuto, sinteticamente, che:
a) “il diritto allo svolgimento di un’attività sportiva, per di più a livello professionistico, rientra senza dubbio in quelle libertà fondamentali di cui all’art. 43 D.Lgs. 286/98”;
b) “la richiesta di un requisito aggiuntivo rispetto alla mera regolarità del soggiorno (cioè un permesso di soggiorno valido fino al termine del campionato) debba essere dichiarata illegittima e discriminatoria sulla base dell’art. 43 D.Lgs. 286/98”.

In conclusione.
L’importanza dell’ordinanza illustrata appare evidente, e non solo per quanto essa stabilisce in merito al requisito, ai fini del tesseramento, del permesso di soggiorno valido per tutta la durata della stagione sportiva.
Ciò che maggiormente preme rilevare, a giudizio di chi scrive, è che la pronuncia esaminata va a intromettersi in quel mondo dello sport “minore”, del dilettantismo puro, nel quale il permanere di norme discriminatorie, con riferimento ai requisiti per l’accesso al tesseramento, era in qualche modo giustificato e avallato dal carattere non-economico della prestazione sportiva che ne comportava una minore tutelabilità.
Con l’ordinanza del Tribunale di Lodi si è, quindi, andati oltre a quanto sancito con l’importante pronuncia sul “caso Ekong” dove veniva posta in risalto, e condannata, la discriminazione in quanto limitativa dell’esercizio “di una libertà fondamentale in campo economico”.
Va da sé che quanto sancito nell’ordinanza del Tribunale di Lodi del 13 maggio 2010 spalanca la strada all’accertamento del carattere discriminatorio, quantomeno, degli altri requisiti richiesti dall’ art. 40 co. 11 e 11 bis N.O.I.F. quali: 1) l’esibizione di contratto di lavoro; 2) esibizione del certificato di iscrizione a corsi scolastici; 3) la residenza nel Comune sede della società o in Comune della stessa Provincia o di Provincia limitrofa; 4) la residenza in Italia da almeno 12 mesi.
Oltre a ciò potrebbe essere superato il limite di un solo giocatore tesserabile e schierabile in campo previsto dall’art. 40 co. 11 per gli stranieri precedentemente tesserati con altre federazioni.
Ovviamente lo stesso discorso riguarda tutti gli sport che presentano limitazioni al tesseramento basate unicamente sul carattere della provenienza dell’atleta.

Occorre, d’altronde, essere consapevoli che, a distanza di due anni dall’ordinanza esaminata, l’art. 40 co. 11 e 11 bis N.O.I.F. non è stato in alcun modo modificato, e ciò per il carattere proprio del ricorso ex art. 44 D.Lgs. che va ad accertare, sanzionare ed eliminare il comportamento discriminatorio (diniego di tesseramento) ma non la norma in sé.
Ciò che ci si può augurare è che una serie di pronunce favorevoli, e una maggiore attenzione sul fenomeno analizzato, possa portare la Federazione stessa ad eliminare dai propri regolamenti le norme discriminatorie ancora presenti.

Ordinanza del Tribunale di Lodi del 13 maggio 2010

Melting Sport
rubrica a cura dell’Avv. Nicola Saccon