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Melting Sport – In vista del tesseramento 2012/2013: considerazioni, spunti, suggestioni.

rubrica a cura dell'Avv. Nicola Saccon

“Il tesseramento per la stagione sportiva 2012/2013”

Potrebbe essere il titolo di un thriller ed in effetti tale si presenterà per molti presidenti, dirigenti, allenatori, giocatori di squadre dilettanti che avranno a che fare con le arcaiche e discriminatorie norme contenute in molti statuti federali.
In realtà spesso assumerà, lo scontro con tali norme, più il carattere della farsa, o meglio della commedia tragica. Da una parte la fatica e la delusione di quanti vorrebbero semplicemente far parte di una squadra, giocare al pari di coetanei, colleghi di lavoro, amici ma che non potranno farlo perché residenti in Italia da meno di 12 mesi, o perché non in possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione, o più semplicemente perché non comunitari (ed a volte perché non italiani). Dall’altra parte la farsa, rappresentata dall’inequivocabile dato di fatto che tali norme sono state per lo più dichiarate discriminatorie da diverse pronunce giudiziali, sebbene indirettamente, eppure sono ancora presenti negli statuti federali.
Ma che si tratti di thriller o di commedia all’italiana sarà utile iniziare con un:

“Riassunto delle precedenti puntate”

Nei precedenti articoli abbiamo trattato i principali “casi” giudiziali relativi alla discriminazione nell’accesso all’attività sportiva. La prima pronuncia riguardò il sig. Ekong (calciatore professionista della Reggiana, serie C) e l’art. 40 co. 7 delle N.O.I.F. della F.I.G.C. che recitava:

“Le società che disputano il campionato di serie A possono altresì tesserare non più di cinque calciatori provenienti o provenuti da Federazioni estere se cittadini di paesi non aderenti all’U.E.. Tuttavia solo tre di essi potranno essere inseriti nell’elenco ufficiale di all’art. 61 delle presenti norme ed essere utilizzati nelle gare ufficiali in ambito nazionale. Le società che disputano il campionato di serie B hanno tale ultima facoltà di tesseramento limitata a non più di un calciatore. In caso di retrocessione dalla serie A alla serie B, è consentito alla società retrocessa di mantenere il tesseramento di calciatori cittadini di Paesi non aderenti all’U.E. già tesserati nel corso dell’antecedente stagione sportiva. È consentito alle sole società che disputano il Campionato di serie A di tesserare non più di due per società, calciatori di età non superiore a tredici anni provenienti da Federazione estera aderente all’UEFA. Le società di L.N.D. possono tesserare, entro il 31 dicembre, e schierare in campo un solo calciatore straniero, od una sola calciatrice in caso svolgano attività di calcio femminile, proveniente o provenuto da Federazione estera, purché in regola con le leggi statali vigenti in materia di immigrazione, ingresso e soggiorno in Italia”

Il giudice riconobbe la natura discriminatoria del rifiuto di tesseramento opposto dalla F.I.G.C. al sig. Ekong, rifiuto dovuto alla mancanza di una previsione, nella norma sopra riportata, della possibilità di tesserare atleti extracomunitari per le società partecipanti al campionato di serie C. Il carattere discriminatorio del rifiuto al tesseramento venne individuato nella compromissione, in ragione dell’origine nazionale dell’Ekong, dell’esercizio di una libertà fondamentale in campo economico, ossia quella di esercitare l’attività di calciatore in Italia.

A questa pronuncia ne seguirono altre, perlopiù nella direzione tracciata dal “caso Ekong”, riguardanti anche altre federazioni sportive: Sheppard contro la F.I.P., Hernandez Paz contro la F.I.N., Gato Moya contro la F.I.P.A.V. le più rilevanti.
Carattere comune di queste pronunce era dato dal fatto che gli atleti coinvolti erano formalmente o di fatto dei professionisti, questo comportava che la compromissione di una loro libertà fondamentale in campo economico dovuta alla mancata possibilità di tesseramento, a causa delle norme federali, rendesse chiaramente discriminatori e quindi illegittimi i dinieghi di tesseramento.

Ad andare oltre al riconoscimento, in favore degli atleti extracomunitari, della tutelabilità della sola libertà fondamentale in campo economico è stata la pronuncia sul caso “Kolou” del 2010 (dove ad essere chiamata in causa era la norma contenuta nell’art. 40 comma 11 e comma 11 bis delle N.O.I.F. della Federcalcio), la quale riconobbe nell’attività sportiva in sé un’espressione della personalità dell’individuo con la conseguenza che “tale valore è riconosciuto e tutelato dall’art. 3 Cost. in forza del quale l’attività sportiva deve essere intesa quale strumento per il pieno sviluppo della persona umana”.
Con ciò, riteniamo, aprendo la tutela contro la discriminazione nell’accesso all’attività sportiva al mondo del dilettantismo puro, senza, quindi, più richiedere che l’attività impedita al soggetto extracomunitario sia per lo stesso fonte di reddito.

Carattere comune di tutte queste pronunce, da “Ekong” a “Kolou”, fu lo strumento utilizzato dai ricorrenti: il ricorso ex art. 44 D.Lgs. 286/98 – Testo Unico sull’immigrazione.
Come già scritto nei precedenti articoli, tale strumento si è rilevato ottimo per risolvere questioni di diniego di tesseramento dovuto a norme federali discriminatorie, ma porta con sé un limite non indifferente, quello di non poter agire direttamente sulla norma ritenuta discriminante. Oggetto di tale ricorso è il comportamento di rifiuto di tesseramento opposto dalla federazione di turno, non la norma in sé contenuta nei vari statuti o regolamenti.

Conseguenza di ciò è che tutt’ora la maggior parte di quelle norme considerate, sebbene indirettamente, discriminatorie da pronunce giudiziali sono ancora presenti nei vari statuti e regolamenti federali. In realtà non tutte.
Infatti se oggi si vanno a leggere le N.O.I.F. ci si accorge che qualcosa è cambiato dai tempi del caso “Ekong”, ed in effetti quel famoso comma 7 dell’art. 40 è stato abrogato. Per capire quando, con quali strumenti ed in quale modo occorre fare un passo indietro al 2001 quando anche la F.I.G.C. si scoprì baluardo della lotta alla discriminazione.

“2001: la F.I.G.C. contro le discriminazioni”

Una delle maggiori contraddizioni del calcio italiano si rinviene confrontando una qualsiasi delle formazioni mandate in campo, ad esempio, dall’Internazionale nel campionato di serie A appena conclusosi con le norme sul tesseramento degli atleti stranieri (extracomunitari, ma anche semplicemente non-italiani), per i campionati della L.N.D., previste all’articolo 40 co.11 e 11 bis delle N.O.I.F. della F.I.G.C..
Vien da chiedersi “Ma com’è possibile che in serie A scendano in campo squadre interamente composte da atleti extracomunitari, mentre nella squadra del mio quartiere tesserare un non comunitario è incredibilmente arduo e tesserarne più di uno in certi casi vietato?”

Non di rado capita di sentirsi rispondere che si tratta di questioni di passaporto e di avi italiani (o comunque europei) dei vari giocatori sudamericani.
Le cose non stanno così, come molti sanno. In realtà il libero utilizzo di calciatori non comunitari nella massima serie è cosa possibile dal 2001 a seguito di una Decisione della Corte Federale della F.I.G.C. del 04/05/2001, decisione che eliminò qualsiasi vincolo al numero di extracomunitari impiegabili in campo, lasciando come unico limite il numero di nuovi ingressi (e quindi tesseramenti) annuali.

Molti ricorderanno le tante discussioni che in anni passati facevano da sfondo al “calcio-mercato” vero e proprio, riguardanti il numero di nuovi calciatori extracomunitari tesserabili. A meno di cambiamenti anche per la stagione 2012-2013 il limite sarà di due nuovi tesseramenti per squadra; la scelta viene effettuata all’inizio di ogni stagione, sulla base di indicazioni del C.O.N.I., dal Consiglio Federale (per l’anno passato vedasi Comunicato Ufficiale n. 3/A, Decisioni del Consiglio Federale, Riunione del 5 luglio 2011, scaricabile dal sito della F.I.G.C.).

Attenzione però, ciò non significa che ogni squadra potrà inserire nel proprio organico solamente due atleti extracomunitari in più rispetto all’anno precedente: il tesseramento si realizza nei confronti della Federazione, non del club, e ciò significa che per nuovi tesserati si intendano calciatori non tesserati l’anno precedente con la F.I.G.C..
Per estrema chiarezza: sarà considerato nuovo tesserato extracomunitario il giovane promettente calciatore proveniente dal Boca Juniors (che non abbia, ovviamente, più o meno veri antenati comunitari) il quale verrà tesserato per la prima volta con la F.I.G.C. ed occuperà uno dei due posti di extracomunitario previsti per ogni squadra, mentre non vi sarà alcun limite al trasferimento di atleti extracomunitari già tesserati F.I.G.C. e quindi, ad esempio, il Milan potrebbe comprare l’intera rosa dell’Udinese dell’anno scorso, formata quasi interamente di giocatori di provenienza extracomunitaria.

Potrebbe sembrare fuori luogo approfondire questioni riguardanti il calcio milionario della Serie A, eppure davvero interessante è scoprire come si arrivò a quella decisione della Corte Federale del maggio 2001, e soprattutto constatare che la Federazione è anch’essa capace di combattere al proprio interno battaglie per la non discriminazione, o meglio a voler essere cinici, che sa combatterle, probabilmente, quando gli interessi in gioco non sono quelli del migrante che vorrebbe semplicemente giocare nella squadra del paesino dove vive ma, bensì, quelli delle potenti squadre di Serie A.

La Decisione della Corte Federale della Federazione Italiana Gioco Calcio del 04/05/2001 venne emanata a seguito di una serie di ricorsi proposti ex art. 32 comma 5 dello Statuto della F.I.G.C. (di cui poi tratteremo approfonditamente), riuniti in un unico ricorso avanti la Corte Federale.
A proporli la società Milan A.C. con i sigg.ri Dida, Serginho, Boban, Roque Junior, Kaladze; la società Lazio con i sigg.ri Salas, Stankovich, Crespo, Ola; la società Udinese Calcio con i sigg.ri Gargo, Gutierrez, Brian, Nieto; la società Vicenza Calcio con i sigg.ri Neves, Kallon, Tomas, Tomic; la società F.C. Internazionale Milano con i sigg.ri Recoba, Simic, Cordoba; la società U.L. Sampdoria con i sigg.ri Ze Francis, Chrisostome, Hervè, Jvicic, Sakic, Zivkovic.

Tutti ricorrevano avverso l’art. 40 comma 7 delle N.O.I.F. laddove introduceva limiti al tesseramento ed all’utilizzo in campo di calciatori extracomunitari. Tutti i ricorrenti deducevano “l’illegittimità delle disposizioni contenute nell’art. 40, 7° comma, Noif, nella parte in cui introduce un limite al tesseramento dei giocatori extracomunitari ed alla loro utilizzazione in campionato, realizzando esse una indebita discriminazione tra calciatori italiani e comunitari da una parte, e calciatori extracomunitari dall’altra, in violazione delle norme dello statuto del Coni e di quello della Figc (art. 20, 3° comma, dello statuto del Coni; art. 2, 5° comma, dello statuto della Figc), di disposizioni dell’ordinamento statale (art. 43 d.leg. 25 luglio 1998 n. 286 e art. 16 l. 23 luglio 1999 n. 242), di norme internazionali di natura pattizia (convenzione internazionale di New York del 16 dicembre 1966; convenzione della organizzazione internazionale del lavoro del 24 giugno 1975, ratificata con l. 10 aprile 1981 n. 158)”, inoltre i ricorrenti richiamano, a sostegno dei gravami, alcune decisioni dell’a.g.o. (casi “Ekong” e “Sheppard”).

Particolarità della Decisione in oggetto è che la stessa non si sofferma, nel sancire l’illegittimità della previsione contenuta nell’art. 40 comma 7 N.O.I.F., unicamente sui diritti economici degli atleti professionisti, ma si spinge fino ad individuare anche dei “diritti civili sportivi” (si invita quindi a leggere per intero la Decisione che qui non si riporta integralmente per ovvi motivi di sintesi).

Quanto alla possibilità di schierare in campo atleti extracomunitari, afferma la Corte Federale, dopo aver svolto un esame delle norme contenute nel D. Lgs. 286/98 “Testo unico sull’immigrazione”, che, “alla stregua di tale disciplina, radicalmente illegittime si manifestano le norme dell’art. 40, 7° comma, Noif nella parte in cui introducono una limitazione all’utilizzazione dei calciatori tesserati e provenienti da paesi diversi dell’Unione europea, disponendo peraltro che soltanto tre di essi potranno essere inseriti nell’elenco ufficiale di cui all’art. 61 ed essere utilizzati nelle gare ufficiali in ambito nazionale.
Tali disposizioni, infatti, incidendo su soggetti che hanno già sottoscritto il contratto di lavoro e conseguito il tesseramento introducono indebite restrizioni al rapporto di lavoro di tali atleti, per ragioni esclusivamente legate alla cittadinanza, in violazione delle disposizioni di cui all’art. 2, 2° comma, ed all’art. 43, 2° comma, lett. c), t.u. n. 286 del 1998, che rispettivamente garantiscono allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato i diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, e considerano illegittime le discriminazioni basate sull’origine nazionale”.

Mentre, per quanto riguarda le disposizioni, contenute nell’art. 40 comma 7 N.O.I.F., circa la possibilità di nuovi tesseramenti di giocatori extracomunitari, la Corte osserva “innanzi tutto, che le stesse, pur non del tutto conformi al sistema sopra delineato, appaiano sostanzialmente finalizzate a realizzare una forma di programmazione dell’ingresso dei calciatori extracomunitari, anche se attraverso lo strumento del tesseramento piuttosto che attraverso quello dell’autorizzazione al lavoro.
La corte ritiene che, in linea di principio, l’elaborazione di criteri di tal genere debba essere attribuita, per i motivi già illustrati, direttamente al Coni, anche utilizzando il potere di formulare indirizzi con riferimento ai profili pubblicistici dell’attività delle federazioni sportive nazionali di cui all’art. 23 dello statuto dell’ente. Attualmente l’elaborazione di tali criteri risulta svolta sostanzialmente dalle singole federazioni attraverso apposite disposizioni delle loro norme organizzative. La corte ritiene più conforme al sistema che sia direttamente il Coni, con la partecipazione della Figc per quanto riguarda il gioco del calcio, a dettare criteri generali per l’assenso al lavoro dei calciatori extracomunitari”.

Quindi, in sostanza, libertà assoluta di schierare in campo calciatori extracomunitari senza alcuna distinzione con quelli comunitari e limite al tesseramento di calciatori extracomunitari provenienti da federazioni estere nei modi che verranno indicati dal Coni di anno in anno, come sopra già evidenziato.

Viene immediatamente da chiedersi, alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte Federale, come possa essere rimasto in vigore l’art. 40 comma 11 e comma 11 bis N.O.I.F. che pone evidenti -leggasi “discriminatorie”- restrizioni all’utilizzo in campo, ed al tesseramento di giocatori extracomunitari nei campionati dilettantistici. In questo caso non si porrebbe nemmeno la problematica dell’ingresso di lavoratori, in quanto si tratterebbe di migranti già in Italia ed in regola con il permesso di soggiorno.
L’obiezione che spesso viene posta a tale osservazione è che tale norma servirebbe a tutelare i vivai nostrani e ad evitare la c.d. “tratta dei giovani campioni”, che verrebbero presi, dalle società professionistiche, ancora poco più che bambini dai paesi d’origine e parcheggiati presso società dilettantistiche per poi riprenderli in caso si dimostrino adeguati al calcio di vertice.

In merito alla questione dei vivai nostrani si è già espresso il Giudice di Lodi (Tribunale di Lodi, ordinanza del 13 maggio 2010) e ci si richiama a quanto scritto nel precedente articolo. Inoltre ci si spinge a dire che tutto quanto riguarda l’acquisizione del diritto di cittadinanza è un tema che andrebbe rivisto alla luce dell’evoluzione della società in cui viviamo e vivremo, senza poter, per ovvi motivi di spazio, approfondire, in questa sede, tematiche di politica dell’immigrazione e di politica sportiva.

Quanto alla seconda obiezione circa il voler, con le attuali norme, scongiurare il pericolo di un commercio umano di presunti campioncini poi lasciati al loro destino (situazioni, peraltro e purtroppo, già verificatesi in passato) pare davvero assurdo che sia questa l’unica risposta che si riesce a dare. È come vietare l’uso dell’auto per evitare incidenti.
Sarà compito delle Federazioni e del legislatore italiano creare norme, istituti, commissioni e quant’altro possa servire ad evitare tale barbarie; non però impedendo, per fare un esempio, al non più giovanissimo, e senza velleità di professionismo, ragazzo senegalese di giocare nella squadra di terza categoria del paese, con i compagni di lavoro ed i vicini di casa.

Qualcuno a questo punto si chiederà perché non è stato proposto un ricorso, sulla base di quello proposto dalle squadre e dai giocatori sopra elencati, per eliminare l’art. 40 co.11 e co. 11 bis N.O.I.F., e per rispondere a tale interrogativo occorrerà approfondire…

“Il misterioso caso della scomparsa del ricorso ex art. 32 co. 5 Statuto F.I.G.C.”

Il ricorso (somma di tanti ricorsi riuniti) di cui sopra è stato portato innanzi alla Corte Federale della F.I.G.C. utilizzando la previsione contenuta all’art. 32 co. 5 dello Statuto dell F.I.G.C. stessa il quale prevede(va): “ogni tesserato od affiliato alla F.I.G.C. può ricorrere alla corte federale per la tutela dei diritti fondamentali personali o associativi che non trovino altri strumenti di garanzia nell’ordinamento federale”.
Purtroppo tale strumento, per i motivi che ognuno può considerare e fare propri (dimenticanza, opportunità, timore, lungimiranza), che era stato inserito nello Statuto nel corso nell’assemblea straordinaria del 14 ottobre 2000, è stato successivamente eliminato in sede di approvazione del nuovo Statuto F.I.G.C. nel corso della assemblea del 22 gennaio 2007.
Per quanto ci è dato sapere non esistono altri strumenti di tutela endofederale, al momento esperibili, per chiedere l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità delle norme federali che si ritengono discriminatorie.

Ciò detto, in vista del tesseramento per la stagione sportiva 2012/2013, possiamo trarre le seguenti conclusioni.

“Finali alternativi”

Innanzitutto, si vuole tentare un elenco delle norme federali, ritenute discriminatorie, ad oggi presenti nel mondo sportivo italiano:

F.I.P.A.V., all’interno della Federvolley sono ancora presenti norme che differenziano tra “atleti italiani” e “atleti stranieri”, vedasi, in merito alla stagione 2011/2012: www.biblioteca.federvolley.it. Tra l’altro il volley in Italia è in una situazione ambigua in merito alla dicotomia professionismo-dilettantismo; tale federazione, infatti, non prevede una differenziazione in tal senso, con ciò i giocatori della serie A1 di pallavolo sono formalmente considerati “dilettanti” a differenza, ad esempio, dei giocatori della lega A di basket ritenuti “professionisti”, benché gli emolumenti ricevuti da pallavolisti e giocatori di basket dalle società di appartenenza siano simili.

F.I.N., l’art. 11 del Regolamento Organico prevede varie differenziazioni tra il tesseramento di atleti italiani e atleti stranieri (non prendendo nemmeno in considerazione la categoria dei comunitari!). Innanzitutto viene richiesta, al fine del tesseramento dell’atleta non italiano/a, una residenza in Italia da almeno 12 mesi. Inoltre gli “atleti di nazionalità non italiana tesserati alla FIN salvo quanto previsto nel punto III (n.d.r. riguardante i campionati di pallanuoto) sono esclusi dalle gare a squadra; alle altre gare individuali essi partecipano solo se preventivamente autorizzati dalla FIN. Essi rimangono comunque esclusi da qualsiasi classifica o graduatoria ufficiale della FIN e dalla partecipazione ai Campionati Nazionali”. Per quanto concerne la pallanuoto nei campionati di serie A e serie B i giocatori stranieri possono essere tesserati “in numero non superiore ad un atleta per società purché munito di nulla-osta della Federazione sportiva d’origine. La stessa FSN dovrà certificare lo stato di dilettante dell’atleta, che lo stesso è esente da provvedimenti disciplinari in atto, l’adesione al trasferimento da parte della società d’origine e il consenso a partecipare nell’anno successivo alla Coppa dei Campioni e alla Coppa delle Coppe”. Inoltre rileviamo che il modello per la richiesta di tesseramento dell’atleta “straniero” prevede il versamento di una quota di € 600,00 (www.federnuoto.it, non, invece, previsto dal modulo di tesseramento dell’atleta italiano (www.federnuoto.it->http://www.federnuoto.it/pdf/mod_tess_atl_var_dati_2011-2012.pdf]

F.IG.C., l’art. 40 co. 11 e co. 11 bis N.O.I.F. prevede che:
(11) Le società della Lega Nazionale Dilettanti possono tesserare, entro il 31 Dicembre, e schierare in campo un solo calciatore straniero, ovvero una sola calciatrice straniera, che siano stati tesserati per società appartenenti a Federazioni estere, purchè in regola con le leggi vigenti in materia di immigrazione, ingresso e soggiorno in Italia, e sia documentato:

1. Calciatori extracomunitari:
a) la qualifica di “non professionista” risultante dal “transfert internazionale”;
b) lo svolgimento di attività lavorativa mediante esibizione di certificazione dell’Ente competente attestante la regolare assunzione;
c) in alternativa, se studente, lo svolgimento dell’attività di studio mediante esibizione di certificato di iscrizione o frequenza a corsi scolastici o assimilabili riconosciuti dalle competenti autorità;
d) la residenza e il permesso di soggiorno per un periodo non inferiore ad un anno o che comunque sia valido per l’intero periodo di tesseramento. La residenza e il permesso di soggiorno devono risultare nel Comune sede della società o in Comune della stessa Provincia o di Provincia limitrofa. (…)

(11bis) I calciatori di cittadinanza non italiana, residenti in Italia, di età superiore ai 16 anni che non siano mai stati tesserati per Federazione estera e che richiedono il tesseramento per società della L.N.D. devono presentare la dichiarazione di non essere mai stati tesserati per Federazione estera, il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia da almeno dodici mesi e, qualora fossero di nazionalità extracomunitaria, devono presentare anche il permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della stagione sportiva corrente.
Il tesseramento decorre dalla data di comunicazione della F.I.G.C. e, per i calciatori extracomunitari che non potranno essere trasferiti, avrà validità fino al termine della stagione sportiva.

Come già sopra riportato (ed approfondito nel secondo articolo della rubrica) una pronuncia del Tribunale di Lodi (Tribunale di Lodi, ordinanza del 13 maggio 2010) ha sancito il carattere discriminante del rifiuto del tesseramento basato sulla mancanza del requisito della validità fino al termine della stagione sportiva del permesso di soggiorno.

Queste sono norme federali portatrici di elementi discriminatori, ma, chiaramente, questo elenco non può avere il carattere della esaustività, tra le carte federali delle oltre 40 Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal C.O.N.I., probabilmente, molte altre son le norme dall’evidente carattere discriminatorio.

In conclusione, cerchiamo di individuare quali potranno essere gli strumenti utilizzabili da chi si riterrà discriminato da norme federali al fine difendere il proprio diritto di svolgere un’attività sportiva in condizioni di uguaglianza con gli altri atleti.

Ovviamente, il ricorso esperibile tramite l’art. 44 D.Lgs. 286/98 e art. 4 D.Lgs. 215/03, avente ad oggetto il rifiuto di tesseramento da parte della federazione, che è in realtà l’unico strumento utilizzabile da un punto di vista prettamente giuridico.
Per cui la prima strada, che è peraltro quella conosciuta, porta a considerare il ricorso in parola come lo strumento principe nella lotta alle discriminazioni nell’accesso all’attività sportiva, nella speranza che le federazioni, stanche di vedersi condannate –anche e soprattutto in sede di risarcimento-, decidano di eliminare e/o modificare di propria iniziativa le norme discriminatrici.

Come visto è stata eliminata la possibilità del ricorso endofederale previsto dal vecchio art. 32 co. 5 dello Statuto F.I.G.C..
Eppure, ma entriamo nel mondo di quelli che possono essere “spunti”, si potrebbe utilizzare uno strumento previsto dal C.O.N.I., e ci si riferisce alla possibilità di adire l’Alta Corte di Giustizia Sportiva, istituita presso il C.O.N.I., utilizzando quanto previsto dall’art. 2 del Codice dell’Alta Corte di giustizia sportiva: “L’Alta Corte costituisce l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie in materia di sport, aventi a oggetto diritti indisponibili o per le quali non sia prevista la competenza del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (d’ora innanzi Tribunale), salve le esclusioni di cui al seguente comma 4”.

Oppure, altro “spunto”, si potrebbe, partendo da quanto previsto dal Codice di comportamento sportivo, approvato dal Consiglio Nazionale del C.O.N.I. in data 2 febbraio 2012, il quale all’art. 6 enuncia il principio di non discriminazione: “I tesserati, gli affiliati e gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo devono astenersi da qualsiasi comportamento discriminatorio in relazione alla razza, all’origine etnica o territoriale, al sesso, all’età, alla religione, alle opinioni politiche e filosofiche”, adire il Garante del Codice di comportamento sportivo ai sensi di quanto previsto dal Regolamento del Garante del Codice di comportamento sportivo, che all’art. 1 co.5 prevede: “Il Garante ha il compito di segnalare, d’ufficio o laddove attivato a norma dell’art. 2 del presente Regolamento, ai competenti organi disciplinari delle Federazioni sportive nazionali, i casi di sospetta violazione, da parte di tesserati alle Federazioni sportive nazionali stesse, delle norme del Codice di comportamento sportivo (d’ora in poi “Codice”) e/o delle norme statutarie e regolamentari delle Federazioni Sportive Nazionali che si presumono violate, ai fini dell’eventuale giudizio disciplinare, e di vigilare sull’attività conseguente. Per “tesserati” si intendono gli atleti, tecnici, dirigenti, ufficiali di gara e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento sportivo in eventuali altre qualifiche diverse dalle predette, comprese quelle di socio cui è riferibile direttamente o indirettamente il controllo di società sportive”, e all’art. 2: “Il soggetto (il “denunziante”) affiliato o tesserato per una Federazione sportiva nazionale ha facoltà di attivare il Garante per la successiva segnalazione ai competenti organi disciplinari delle Federazioni Sportive Nazionali, in merito a presunte violazioni del Codice da parte di:
– tesserati della Federazione sportiva nazionale di appartenenza;
– tesserati di altra Federazione sportiva nazionale che non sia quella di appartenenza”.

Un’ultima ipotesi per l’eliminazione delle norme discriminatorie interne ai regolamenti federali, ed è davvero questa solo una suggestione, è che il C.O.N.I. crei un’apposita commissione per l’individuazione, in proprio o per segnalazione, delle norma discriminatorie con la possibilità di provocarne l’eliminazione, andando nel frattempo a svolgere una seria riflessione e ricerca di quelle che potrebbero essere, invece, soluzioni normative (da proporre anche al legislatore statale) per evitare la barbarie rappresentata dalla c.d. “tratta dei giovani campioni”, ma questa pare davvero solo una suggestione.