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Veneto – Tra clandestini e vu’ cumprà. Anche l’Ordine dei Giornalisti denuncia l’abuso di parole xenofobe e razziste nei quotidiani.

Voci dal Sud - Rubrica a cura di Riccardo Bottazzo

Foto di Angelo Aprile

Una bella sorpresa, quella che ho trovato tra le mail in attesa di lettura, dopo il ritorno dal mio ultimo viaggio a Srebrenica per la Settimana della Memoria. Parlo di una comunicazione ufficiale, con tanto di garanzia di “posta certificata”, spedita dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto a tutti gli iscritti.

C’è da dire che, di solito, le “news” che puntualmente mi arrivano dall’Ordine professionale non sono mai granché entusiasmanti. Quote da pagare, qualche convenzione sottoscritta, note di segreteria… Così l’ho lasciata come “non letta” per tutto il viaggio e solo a casa mi sono dato la briga di buttarci un occhio.
Sbagliavo.

La notizia è di quelle che da segnalare con la bandierina rossa di “alta prioritaria”. Il Consiglio dell’Ordine si è deciso – finalmente! – a prendere posizione contro l’abuso sempre crescente di quelle che in questo blog abbiamo chiamato “parole sporche”.
Mi riferisco a tutti quei termini che nella migliore delle ipotesi potremmo definire imprecisi e nelle peggiore xenofobi, che diffondono stereotipi razzisti e paure ingiustificate. Parole che “alzano muri”, come le hanno definite gli amici dell’associazione Giornalisti contro il Razzismo che hanno lanciato una campagna per la messa al bando di parole come “clandestino”, “vu’ cumprà” o “nomade”.
Per avere un esempio di come e quanto questa parole compaiano nei nostro quotidiani, basta collegarsi al bel sito appena messo on-line dall’Osservatorio contro le discriminazioni di Venezia , antidiscriminazionivenezia.wordpress.com.

Da queste pagine potete scaricare liberamente i dati del monitoraggio che l’Osservatorio effettua sulla stampa locale. E magari farvi due risate di fronte a genialate del tipo “Minacce e ricatti al supermarket. La tensione sale nelle ore pasto ma soprattutto alle 19.30 quando gli extracomunitari sono tanti e il pericolo è tangibile. (…) Sono stati individuati e denunciati per ubriacatura molesta, un tedesco e un uomo di Marghera”. Oppure “Una quarantacinquenne nomade, ma residente nel padovano è stata fermata…“

Di fronte a scemenze di questo tipo c’è poco da dire. C’è invece molto da protestare. Una informazione corretta, aderente alla realtà dei fatti, che faccia uso di termini appropriati e che non ceda a sensazionalismi che sconfinano nel razzismo, quando non direttamente nella pura idiozia umana, è un sacrosanto diritto di ogni lettore. Indipendentemente dalle sue idee politiche o religiose. Un diritto che va difeso con la protesta e la segnalazione.
Perché mai dovremmo sorvolare se nel nostro giornale ci tocca leggere fesserie dello stampo di “un uomo di etnia nomade…”? Prendiamo il telefono e chiamiamo il giornalista per farci spiegare gentilmente quale sia questa “etnia nomade” e quali interessanti libri di antropologia legga la sera. Magari alla fine della conversazione consigliamogli, sempre con la stessa cortesia, qualche buon libro di Marco Aime così che lo sfortunato si possa schiarire le idee. Se non vi va di telefonare, va bene anche una mail, una lettera o una cartolina. E vi assicuro che in un giornale locale, le segnalazioni dei lettori, quando sono in buon numero e motivate, pesano parecchio durante le riunioni di redazione e possono aiutare i giornalisti più sensibili all’uso corretto dei termini a rafforzare le loro posizioni.

E se la firma che leggiamo in fondo agli articolacci che soffiano sul fuoco del razzismo si ripete troppo spesso, una segnalazione al direttore del quotidiano e all’Ordine a questo punto è doverosa. Non serve essere deputati. Tutti possono inoltrare una protesta per il mancato rispetto dei protocolli etici sottoscritti dai giornalisti perché l’Ordine è obbligato ad accogliere e valutare le segnalazione di tutti i lettori.

Non è una battaglia contro i mulini a vento. La protesta alla fine paga. Ce lo dimostra l’ammirevole lavoro quotidiano di monitoraggio sulla stampa locale dalle ragazze e dai ragazzi dell’Osservatorio. Sono certo che sia anche e soprattutto merito loro, delle loro puntuali segnalazioni e delle varie iniziative pubbliche di informazione sull’informazione che hanno organizzato, se oggi l’Ordine è uscito dal suo torpore. Merito che va equamente diviso con la sensibilità e la correttezza dimostrata dal presidente dell’Ordine Veneto, Gianluca Amadori, un giornalista vero, che non ha mai smesso di spendersi per far capire a tutti i colleghi che il rispetto della Carta di Roma che tutela i rifugiati e i richiedenti asilo è un obbligo e non una possibilità.

Il testo della comunicazione ufficiale cui abbiamo accennato in apertura è facilmente scaricabile dal sito dell’Ordine di Venezia o dal quello dell’Osservatorio.
Si tratta senza dubbio di una presa di posizione molto categorica e netta. Tanto più se si considera che ben difficilmente il nostro amato Ordine dei Giornalisti esce dalla trincea della difesa degli interessi (economici) della categoria.

“La questione – si legge nel testo – non è quella di nascondere le notizie (che vanno sempre date, se vere e verificate adeguatamente), ma di come proporle utilizzando un linguaggio adeguato: evitando espressioni offensive e degradanti, ma anche banalità, luoghi comuni e qualsiasi espressione che possa alimentare atteggiamenti razzistici e discriminatori.  Ad esempio, di uno straniero arrestato, oppure oggetto di una notizia di cronaca di interesse pubblico, si può e si deve scrivere esercitando il legittimo diritto-dovere di cronaca, ma non è consentito estendere il comportamento di una o più persone ad un’intera etnia o popolazione, oppure sottolineare nazionalità e provenienza come se l’oggetto dell’interesse fossero queste (e non il reato commesso)”.
E ancora: “Devono essere evitate espressioni che hanno valenza dispregiativa come ad esempio ‘Vu’ cumprà’; lo stesso termine ‘extracomunitario’ può non essere appropriato: chiediamoci, ad esempio, per quale motivo non viene mai utilizzato negli episodi di cronaca che riguardano statunitensi o australiani o canadesi (che pure sono extracomunitari), ma sempre quando i protagonisti delle cronache sono di provenienza africana. Anche il termine ‘clandestino’ può avere valenza negativa e ingenerare allarme sociale, risultando perciò improprio: molti dei migranti fuggono da guerre e rivoluzioni e, più che clandestini, sono richiedenti asilo per motivi umanitari o di sicurezza; persone che meritano rispetto e considerazione, al di là delle spesso inevitabili semplificazioni giornalistiche”.
Le stesse motivazioni che l’Osservatorio contro le discriminazioni di Venezia ha portato per commentare i suoi report sulla “malainformazione”! Come dire: avete ragione voi!

Per il futuro, ci auguriamo che l’Ordine continui a far pressione sulla categoria, anche adottando i provvedimenti disciplinari del caso perché, lo abbiamo già detto, il rispetto della carta di Roma è un obbligo per tutti gli iscritti. Anche l’Osservatorio, adesso che ha avuto una conferma che la crociata contro le “parola sporche” non è contro i giornalisti ma i giornalisti che non sanno fare i giornalisti, continuerà a segnalare ogni termine xenofobo con più forza di prima.
E così invito tutti i lettori a fare. Non facciamone passare neppure uno. Il fatto che un giornale costi meno di un caffè non vuol dire che non dobbiamo pretendere che sia scritto come si deve. E’ una battaglia che possiamo vincere. Me lo ha assicurato, in occasione di una chiacchierata informale, lo stesso presidente Amadori tracciando un parallelo con la Carta di Treviso sottoscritta nel ’90 a difesa dell’infanzia. “Ci abbiamo messo vent’anni per far entrare in testa ai giornalisti che devono tutelare i minori, speriamo che ne bastino di meno per fargli capire che devono rispettare anche i richiedenti asilo”.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.