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Bologna – Documento dell’associazione Al-Sirat sulla gestione dell’ENA

Dalla protezione temporanea alla protezione internazionale: quale accoglienza?

A quasi due anni dall’inizio della cd. Emergenza Nord – Africa, ci sembra interessante
riportare l’attenzione su alcune problematiche connesse all’accoglienza delle migranti e dei
migranti giunti in Italia a seguito alle rivolte in Tunisia ed alla guerra civile scoppiata in Libia
nel 2011.

Innanzitutto ci preme sottolineare la differenza di trattamento giuridico adottata dallo Stato
italiano fra coloro che provenivano dalla Libia e coloro che provenivano dagli altri Paesi del
Nord – Africa, quasi esclusivamente dalla Tunisia.
Con il D.P.C.M. 5 aprile 2011, infatti, veniva previsto il rilascio di un permesso di soggiorno
per motivi umanitari ex art. 20 D.L.vo 286/1998 in favore dei cittadini e delle cittadine
appartenenti ai paesi del Nord – Africa, affluiti nel territorio nazionale dal 1° gennaio al 15
aprile 2011, che nella prassi ha visto come esclusivi destinatari i tunisini.
Al contrario, i migranti provenienti dalla Libia sono stati considerati richiedenti protezione
internazionale sul territorio italiano. Cio’ ha comportato conseguenze diverse sul piano
giuridico.
Ai cittadini rientrati nell’applicazione dell’art. 20 D.L.vo 286/1998 è stato rilasciato un
permesso di soggiorno umanitario, cd. di protezione temporanea, la cui validità è stata
prorogata di volta in volta, di 6 mesi in 6 mesi, da ultimo con il D.P.C.M. 15 maggio 2012.
Pertanto la validità di questi titoli abilitativi al soggiorno sul territorio nazionale è
definitivamente venuta meno lo scorso 31.10.2012. Tali permessi di soggiorno permettevano
lo svolgimento di attività lavorativa, nonché la conversione in altro titolo abilitante al
soggiorno sul territorio italiano.
I cittadini tunisini, dunque, hanno potuto godere nell’immediatezza di un titolo di soggiorno,
mentre i migranti provenienti dalla Libia sono entrati nel lento circuito della protezione
internazionale, che prevede il rilascio di un primo permesso di soggiorno della validità di tre
mesi, ulteriormente rinnovabile per altri tre, e di un terzo permesso di soggiorno della validità
di 6 mesi abilitante al lavoro ma non convertibile.

Il trattamento legislativo duale si rileva anche in ambito sanitario in palese contrasto con le
norme generali contenute nel Testo Unico in materia di cittadini stranieri. Tale normativa,
infatti, pone sullo stesso piano di tutela i richiedenti asilo e coloro che hanno ottenuto il
rilascio di un permesso di soggiorno umanitario: in entrambi i casi, è garantita una piena
assistenza sanitaria erogata dal Servizio Sanitario Nazionale.
Ebbene, nell’ambito della cd. emergenza Nord – Africa il diritto all’assistenza sanitaria
(mediante la c.d. iscrizione obbligatoria al SSN) è stato garantito ai richiedenti asilo
provenienti dalla Libia. Per contro, per i migranti giunti nel territorio nazionale dal 1° gennaio
al 15 aprile 2011 (titolari di permesso di soggiorno umanitario ex art. 20 D.L.vo 286/1998), è
stato previsto semplicemente il rilascio, ad opera dell’Azienda Unità sanitaria locale
territorialmente competente, di un tesserino di validità semestrale – rinnovabile, riportante i
dati anagrafici e un codice identificativo di 16 cifre – e legittimante una semplice iscrizione
volontaria al SSN. Sostanzialmente si tratta di una tessera sanitaria analoga a quella assegnata
ai migranti privi di titolo di soggiorno – qualificati per tale ragione “Stranieri
Temporaneamente Presenti” ai fini della fruizione di prestazioni sanitarie – che garantisce
un’assistenza sanitaria di base e la fruizione gratuita delle sole prestazioni ospedaliere urgenti
ed essenziali, tra cui: prestazioni sanitarie relative alla tutela della maternità e della
gravidanza, a parità di condizione con le donne assistite iscritte al SSN; alla tutela della salute
dei minori; ai programmi di medicina preventiva e alle prestazioni di cura a esse correlate, a
tutela della salute individuale e collettiva; agli interventi preventivi, curativi e riabilitativi
degli stati di tossicodipendenza.

In entrambi i casi, l’accoglienza è stata comunque lacunosa e piena di insidie.
La condizione dei migranti beneficiari del permesso di soggiorno umanitario è, infatti,
tutt’oggi assai precaria, non solo perché la validità del documento abilitativo al soggiorno è
scaduta e non è in previsione un’ulteriore proroga, ma anche e soprattutto perché la maggior
parte di loro non ha trovato un lavoro né è riuscita a convertire il proprio permesso umanitario
in altre tipologie di permessi di soggiorno.
Sotto un profilo più prettamente giuridico, inoltre, si sottolinea che il D.P.C.M. 5 aprile 2011
ripropone una norma già dichiarata in altra occasione incostituzionale. L’art. 2 lettera d)
D.P.C.M., infatti, tra le cause ostative al rilascio (e dunque idonee a comportare anche la
revoca) del permesso di soggiorno umanitario prevede la presenza di una denuncia per uno
dei reati per i quali è previsto dalla legge l’arresto obbligatorio e/o facoltativo in stato
flagranza. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 78 del 2005 aveva già avuto modo di
censurare una norma di analogo tenore (relativa alla sanatoria 2002) dichiarandone
l’illegittimità costituzionale nella parte in cui consentiva l’automatico diniego al rilascio del
permesso di soggiorno nel caso in cui lo straniero fosse stato destinatario di una semplice
denuncia.

Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione del tutto analoga, in quanto non è consentito il
rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno umanitario o la sua conversione a coloro che sono
stati denunciati per un reato, anzi, ne è prevista la revoca con espulsione dal territorio
nazionale in via immediata e coattiva. Ancora una volta, dunque, si consente alla denuncia, e
quindi a uno strumento che nel nostro ordinamento nulla prova in ordine alla colpevolezza o
alla pericolosità di un soggetto, di condizionare il diritto a soggiornare del cittadino straniero
sul territorio italiano.
Se è vero, infatti, che il Legislatore può discrezionalmente individuare i requisiti in presenza
dei quali è consentito il rilascio del permesso di soggiorno, d’altra parte tale discrezionalità,
per non violare il testo costituzionale, deve conformarsi ai principi in esso contenuti. Si fa
riferimento, in questo caso, al principio di uguaglianza ricollegato al canone di ragionevolezza
(art. 3 Cost.), al principio della presunzione di innocenza (art. 27 Cost. ) nonché al diritto di
difesa (art. 24 Cost.).

Le ricadute di tale normativa sulla situazione dei cittadini tunisini sono gravi e di tutta
evidenza giacché un cittadino tunisino, titolare di permesso di soggiorno ex art. D.L.vo
286/1998, semplicemente denunciato per un reato, si vedrà revocare il titolo abilitativo al
soggiorno, entrando nel circuito della clandestinità con conseguente trattenimento presso un
Centro di identificazione e di espulsione. Nel corso della permanenza al Centro o all’esito di
un’espulsione già eseguita, il procedimento penale che si è avviato nei suoi confronti
potrebbe, tuttavia, concludersi con un’archiviazione o con un’assoluzione ma – pur a fronte di
tali provvedimenti, che escludono la colpevolezza in relazione al reato contestato e la
pericolosità sociale – egli è destinato a subire, comunque, una irrimediabile lesione del diritto
a permanere sul territorio. Ciò mette in luce un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto
agli altri cittadini stranieri per i quali, ai sensi della normativa in vigore, la sola denuncia non
comporta quale conseguenza, il diniego o la revoca del permesso di soggiorno.

Un’ulteriore disparità di trattamento riguarda i cittadini tunisini che non hanno effettuato la
richiesta di permesso umanitario nel termine dei sette giorni previsti dal D.P.C.M. 5 aprile
2011. A tal proposito la nostra Associazione si è fatta portavoce di una serie di istanze
collettive volte al rilascio del permesso umanitario nei confronti di coloro che, pur essendo
giunti nell’arco temporale indicato nel D.P.C.M. (come dimostrava il possesso del cd.
Tesserino di sbarco) non hanno formalizzato la richiesta di permesso umanitario entro i sette
giorni dall’ingresso, termine che non può ritenersi in alcun modo di carattere perentorio. Il
diritto dello straniero al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ha, infatti,
natura di diritto soggettivo, da annoverare fra i diritti umani fondamentali che godono della
protezione accordata ad ogni individuo dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 3 della CEDU,
con la conseguenza che la sua tutela è sottratta dalla legge alla discrezionalità amministrativa.
Le suddette istanze sono stata depositate, ormai più di un anno fa, presso la Questura – Ufficio
Immigrazione di Bologna per il successivo inoltro al Ministero dell’Interno ai fini della
decisione. Al momento in cui si scrive non è pervenuta alcuna risposta, né da Roma né da
Bologna. In tale lasso di tempo, peraltro, molti dei richiedenti sono stati destinatari di
provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale.

Passando ad analizzare la situazione dei migranti e delle migranti che provengono dalla Libia,
il trattamento giuridico ad essi riservato è stato diverso, nonostante la similarità di condizione
di partenza rispetto ai titolari di permesso di soggiorno ex art. 20 D.L.vo 286/1998.
I cittadini provenienti dalla Libia sono stati, infatti, considerati richiedenti asilo e quindi
hanno iniziato il lungo percorso della richiesta di protezione internazionale. Si è trattato,
tuttavia, di una richiesta di protezione internazionale imposta dall’alto e non di una scelta
volontaria ciò di fatto creando una figura anomala di richiedenti asilo che non ha potuto
beneficiare delle garanzie legislative previste quali un’accoglienza dignitosa con un sostegno
economico finanziario adeguato e percorsi formativi finalizzati all’accesso al lavoro.

In proposito, occorre rilevare che un aspetto controverso è stato il rilascio del permesso di
soggiorno per richiedenti asilo abilitante al lavoro ex art. 11 D.L.vo 140/2005 (cd. decreto
accoglienza). In base a tale norma, i richiedenti protezione internazionale, “qualora la
decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione della
domanda ed il ritardo non possa essere attribuito al richiedente asilo”, hanno diritto a un
permesso di soggiorno per richiesta asilo per la durata di sei mesi che consente di svolgere
attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento.
Al contrario, sul territorio bolognese, i suddetti permessi, in svariati casi, sono stati rilasciati
ben oltre i sei mesi previsti dalla legge. I richiedenti asilo hanno diritto dapprima a un
permesso di soggiorno della validità di tre mesi ulteriormente rinnovabili di altri tre; tali
tipologie di permesso di soggiorno non abilitano a svolgere attività lavorativa. A partire dal
sesto mese dall’inoltro della richiesta di protezione internazionale essi hanno diritto ex lege al
rilascio di un permesso abilitante al lavoro.
La Questura – Ufficio Immigrazione di Bologna ha aderito, invece, a un’interpretazione
restrittiva della normativa rilasciando il titolo di soggiorno che consente l’accesso al lavoro
soltanto dopo il rilascio del secondo permesso di soggiorno della validità di tre mesi e ciò a
prescindere dal fatto che fossero trascorsi già oltre sei mesi dall’inoltro della richiesta di
protezione internazionale. Tale forzatura nell’interpretazione dell’art. 11 D.L.vo. 140/2005 ha,
di fatto, privato i richiedenti asilo della possibilità di svolgere attività lavorativa o di
concorrere a trovare un’occasione di lavoro, costringendoli ad una situazione di bisogno e di
assistenza continua e impedendo loro di effettuare un primo passo verso l’autonomia.
Non si può, dunque, che constatare una forte discrasia tra quanto disposto dalla legge e quanto
effettivamente realizzato.
Un esempio lampante di quanto appena affermato si rinviene nel
settore dell’assistenza sanitaria. In virtù delle direttive contenute nella delibera n. 487 dell’11
Aprile 2011 della la Giunta della Regione Emilia Romagna, le Aziende sanitarie USL di
riferimento territoriale avrebbero dovuto fornire ai migranti, per tutto il periodo della loro
permanenza, oltre alle cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti e indifferibili di cui si è già
detto, anche la sorveglianza, la prevenzione ed il controllo delle malattie trasmissibili con
modalità organizzative adeguate alle specifiche situazioni di accoglienza. Più precisamente, i
medici in possesso di esperienza e competenza in ambito di medicina dei migranti, anche con
l’ausilio di mediatori linguistico – culturali, avrebbero dovuto eseguire una valutazione clinica
generale ed un’anamnesi personale al fine di individuare patologie croniche e/o in atto,
meritevoli di trattamenti diagnostico-terapeutici o semplicemente di monitoraggio nel tempo.
Ebbene, si deve rilevare che a Bologna l’assistenza sanitaria è stata garantita, di fatto, sì dalle
Aziende sanitarie locali ma soprattutto da associazioni di volontariato, che da sempre o più di
recente operano in favore dei migranti, e verso le quali questi ultimi vengono sempre più
dirottati dalle Istituzioni stesse, nonostante l’ingente capitale investito nel piano di emergenza
elaborato dalla Protezione civile.

In sintesi, possiamo affermare che si è trattato di un’accoglienza di tipo esclusivamente
assistenzialistico, rimasta confinata nell’ambito di un’ottica emergenziale mai superata. Le
risposte del Governo hanno tardato ad arrivare e non sono state risolutive. Esso, infatti,
all’inizio della fase cd. emergenziale ha imposto la strada della richiesta d’asilo, rimettendo,
in sostanza, la decisione circa la permanenza dei migranti sul territorio nazionale alle
Commissioni territoriali e, da ultimo, ha previsto il riesame delle medesime istanze di
protezione, ancora una volta, scegliendo di non decidere e, di fatto, di non “accogliere”
persone che, in ogni caso, hanno subito uno “sradicamento” territoriale, culturale ed affettivo.

Bologna, 14.12.2012
Associazione Al – Sirat

L’Associazione Al – Sirat è composta da medici e avvocati e gestisce uno sportello di informazione sanitaria e giuridica per
cittadini/e migranti a Bologna presso lo spazio autogestito dell’EXM 24, via Fioravanti, 24, ogni venerdì dalle ore 19:30 alle
ore 21.
Per contatti: e- mail: [email protected]; cell. 347 8776090 avvocati – cell. 3471542076 medici.
In occasione della cd. emergenza Nord – Africa l’Associazione ha svolto per conto del Comune di Bologna un servizio di
consulenza legale nei diversi Centri di accoglienza presenti sul territorio provinciale.