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Bologna – Oltre il fallimento dell’emergenza Nord Africa, e ora?

Insieme per bloccare l'effetto domino della catastrofe Ena

Chi ha seguito questi 20 mesi di accoglienza miserabile dei cosiddetti “profughi” della Libia aveva da tempo intuito che anche a Bologna le conseguenze sarebbero state catastrofiche per i migranti protagonisti ma anche per i territori e le amministrazioni, su cui si sarebbero abbattuti gli effetti di una gestione emergenziale che anziché sviluppare le capacità e le risorse degli individui le ha atrofizzate, conducendo troppe persone ad una condizione di fragilità, isolamento ed estraneità alla città.

Solo i migranti ospitati nella struttura di Via del Milliario hanno avuto la possibilità di intraprendere percorsi di progettualità futura, già prima del 28 febbraio, data di scadenza del Piano di Accoglienza passato dalla gestione della Protezione Civile a quella del Ministero dell’Interno. Tutti gli altri, escluse le donne con bambini e le famiglie alloggiate nella struttura di Villa Aldini che sono state inserite in extremis nella categoria dei “vulnerabili”, hanno dovuto arrangiarsi.
La lotta determinata dei circa 130 cittadini nigeriani abbandonati ai Prati di Caprara ha fatto conquistare loro il rilascio del titolo di viaggio (vittoria non scontata dato che le questure di molte città ancora si rifiutano di rilasciare questo documento equipollente al passaporto) e 500 euro aggiuntivi rispetto a quelli riconosciuti dal Ministero. Con questo e nulla più molti di loro sono partiti da Bologna, all’avventura e alla ricerca di fortuna verso altre città italiane e straniere. La consapevolezza che nei paesi europei il loro permesso di soggiorno non consente nessun diritto di soggiorno non li ha bloccati, l’assenza di alternative è stata più convincente. Sono scomparsi nell’ombra, come desideravano tutti, ma sappiamo bene che non hanno lasciato la nostra città per un avvenire migliore, ma per una condizione di nuova invisibilità e sfruttamento.
Accanto a ciò moltissimi sono invece rimasti, scegliendo di non buttare i soldi ricevuti in un viaggio verso una situazione analoga, senza nemmeno un fragile contatto che funga da illusione che sia possibile cominciare una nuova vita altrove.
In alternativa alla strada, e solo dopo una trattativa che abbiamo condotto insieme ai compagni di Asia e 3 Febbraio, hanno trovato venti brandine del Piano Freddo del Comune, soluzione agghiacciante da tradurre nel messaggio: “in questa città sei di troppo, prima te ne vai meglio è”.
Lettera morta anche la Circolare ministeriale del 1 marzo 2013, in cui si prevede che chi è in attesa dell’esito del ricorso avverso diniego della domanda di asilo possa ricevere una proroga delle misure di accoglienza. La prima a smentirla è stata proprio la Prefettura, che ha dimostrato la sua “ampia disponibilità” impegnandosi a non fare murare l’ingresso dei Prati di Caprara fino a fine mese, salvo poi rifiutarsi di far erogare la corrente elettrica, lasciando così al buio, al freddo e senza acqua calda varie decine di persone.

Ecco quindi che ci troviamo nella situazione in cui scongiuravamo di trovarci, e finalmente ora non siamo i soli ad affermare pubblicamente che è stato tutto sbagliato. Riconoscere gli errori tempestivamente e modificare gli interventi in corso d’opera dovrebbe essere prerogativa delle istituzioni, ma così non è stato e non ci interessa aprire polemiche.
Piuttosto ci interessa capire come poter andare oltre questo fallimento, rifiutando l’idea che per le circa sessanta persone rimaste sia già segnato un destino di vita in strada ed esclusione, poco importa se a Bologna, a Rosarno o a Roma.
Se scriviamo queste righe è infatti perché siamo convinti che da domani sia possibile agire diversamente, perché crediamo che non si può accettare che queste persone – e sessanta non è certo un numero esagerato – paghino un prezzo maggiorato di un fallimento di cui non hanno nessuna colpa.

Innanzitutto la casa, e non un brandina notturna. Questo abbiamo condiviso in un incontro convocato dal Comune di Bologna, avanzando la proposta di individuare luoghi dove le persone possano “sentirsi a casa”, gestendo autonomamente e collettivamente l’organizzazione delle attività, a partire dalla possibilità di poter disporre di una cucina (per due anni i pasti sono stati serviti loro già pronti da un catering esterno), di provvedere alle pulizie, alla manutenzione ed eliminando servizi di guardianeria e simili. Per evitare il replay di “depositi di esseri umani” in stile Prati di Caprara è giusto puntare sulle piccole dimensioni, non necessariamente nel capoluogo. Nella provincia di Bologna si sono liberati molti appartamenti e piccoli centri adibiti all’accoglienza “ENA”, crediamo sia doveroso e possibile ragionare su un piano provinciale in cui il Comune di Bologna si coordini con i Comuni limitrofi, nell’ottica di un investimento per l’inclusione che abbia l’obiettivo di costruire percorsi strategici contro la marginalità.

La posta in gioco è l’integrazione, un obiettivo assolutamente possibile e realistico se ad una soluzione abitativa si affianca la vera presa in carico delle persone da parte dell’amministrazione e dei suoi servizi. Siamo convinti che serva un’assistenza da parte di operatori professionisti nella materia dell’asilo e dell’intercultura (che non possono essere individuati solamente all’interno dello Sprar), tra l’altro ci sono condizioni di vulnerabilità che non sono state segnalate e sono sfuggite ai conteggi. Ma occorre che anche i Servizi Sociali ricevano istruzioni precise circa i percorsi a cui fare accedere i titolari di protezione internazionale ed umanitaria, che allo stato attuale vengono invece scaricati dagli Sportelli Sociali e indirizzati ai servizi Protezione Internazionale (Asp Poveri Vergognosi). A tal riguardo pensiamo possa essere molto utile una nota dell’Assessorato al Welfare ai Servizi Sociali circa l’esistenza e la situazione dei cittadini stranieri precedentemente afferenti alla cosiddetta ENA, affinché gli operatori degli sportelli sociali e le assistenti sociali sappiano come procedere, assicurando che le persone non incontrino ostacoli nell’accesso ad altri servizi (centro per l’impiego, assistenza sanitaria, centri di formazione ecc). Tra le varie cose sarebbe importante che questi operatori conoscessero come applicare la possibilità di far valere le agevolazioni tariffarie esistenti per gli abbonamenti Tper per titolari di protezione internazionale ed umanitaria, consentendo l’accesso ai trasporti con un piccolissimo investimento economico, facilitando così i movimenti in città, magari per raggiungere corsi di formazione e tirocini!

Il tema delle risorse e della programmazione è quantomai pertinente e non può essere delegato all’azione di un Governo oggi inesistente, tanto più che è sempre più evidente che nei territori e nelle città si scaraventano le meteore di scelte tutte politiche, davanti alle quali le amministrazioni locali devono trovare e conquistare l’iniziativa per un cambiamento. E’ di questi giorni la notizia che l’Italia si appresta a varare il decreto flussi annuale per 30mila ingressi per lavoro stagionale: un’altra occasione persa per affrontare concretamente la necessità di occupazione da parte dei circa 18mila migranti “fuoriusciti” dall’ENA… vista l’assenza di progettualità che ha caratterizzato la gestione emergenziale non stupisce che nessuno ci abbia pensato.
Inoltre sappiamo che ci sono programmi europei di finanziamento su cui potrebbero essere fatte valutazioni di prospettiva, ad esempio il FER ed il FEI possono essere usati per strutturare interventi verso i migranti in situazioni di fragilità ed abbandono, che come stiamo vedendo sono in aumento, sono trasversali agli status giuridici e sono una presenza strutturale, macro effetto collaterale di un sistema complessivamente sbilanciato ed ingiusto.

Dopo questi venti mesi e dopo 3 miliardi di euro spesi c’è ancora una sfida importante, alla quale non ci sottraiamo: evitare che la cosiddetta Emergenza Nord Africa ci consegni solo l’effetto domino di un fallimento, ma anche impedire che il modello emergenziale si ripeta all’infinito come strategia di governance dei movimenti migratori.
Non solo. Occorre contrastare e non accettare con rassegnazione la crisi che sta investendo il settore delle politiche sociali e del welfare territoriale. A partire da questa vicenda, che vede responsabilità trasversali tanto del terzo settore quanto delle istituzioni locali, ci sembra necessario e possibile far partire un percorso nuovo, che rivendichi la centralità della giusta “ambizione” di ciascuno a vivere un’esistenza degna e che non scarichi sui più deboli, su chi dovrebbe essere sostenuto e tutelato, i costi di questa crisi economica, sociale, finanziaria ed ambientale.

Centro sociale TPO Bologna

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