Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Reggio Emilia – “Le parole dell’accoglienza” il video a cura della rete Diritto di parola

Conversazioni controccorente introduzione di Annalisa Govi, insegnate CPIA Reggio Emilia

L’introduzione al video di Annalisa Govi, insegnante CPIA Reggio Emilia
Cominciamo da alcune domande elementari. Quasi noiose.
”Cosa possiamo fare per cambiare? Cosa potrebbe essere davvero utile?”
Urtare, provocare, accogliere, mediare, scappare, urlare, arrabbiarsi, manifestare, tacere, spiegare, creare o rompere. Non c’è una risposta.
La cosa che mi pare importante è capire che i modi, i linguaggi, i percorsi e i livelli di intervento sono (ed è meglio che rimangano) diversi. Vorrei che questa affermazione non suonasse così buonista o retorica.
Ci sono movimenti e contesti di azione politica, ci sono spazi e prospettive culturali , ci sono linguaggi semplici e linguaggi complessi, interlocutori scaltri, ingenui o anche solo diversamente informati. Altri non li chiamerei nemmeno interlocutori perché il loro ruolo non contempla il contagio.
Con ognuno ed in ogni contesto, credo comunque che le strategie di contestazione o di comunicazione debbano variare, coordinandosi o procedendo in parallelo. In una prospettiva pragmatica di utilità dobbiamo pensare a trovare e incoraggiare tutti i modi possibili per indurre movimenti.
In questo senso, è talvolta necessario trovare anche grosse mediazioni rispetto alla complessità dei problemi e dei contesti. Soprattutto sul piano culturale credo che sia necessario tornare al livello alfabetico. Parlare di giustizia in modo quasi ingenuo. Riprendere il filo da molto lontano, ricominciare da capo.

Nel tempo dei diritti che divengono concessioni , in cui le disparità si danno per scontate, in cui essere arrivati dopo implica un sistema di dazi per guadagnarsi l’accesso alla “normalità”, in cui essere ricchi salva ed essere poveri annienta … una delle piccole operazioni culturali da fare è quella della dissonanza. Dire e fare cose diverse. Fossero anche elementari gesti quotidiani contro corrente.
Cambiare le facce sui piedistalli, far usare le orecchie a chi di solito parla e chiedere di parlare a chi solitamente tace, dare dignità a ciò che normalmente si ritiene inutile e mettere in secondo piano le canzoni dominanti. La cultura si muove spesso in modo lento, quasi invisibile, ma la cultura è un modo.
Il cortometraggio “Le parole dell’accoglienza” documenta un’esperienza di dissonanza in gocce: nessuno strappo antagonista, ma una lenta, limpida iniezione di civiltà. Dopo mesi di discussioni tristi sulla meritocrazia ricattatoria del test di italiano per l’ottenimento del permesso di soggiorno e degli ipocriti corsi sulla cittadinanza imposti dal DPR 179 con il cosiddetto permesso a punti, il cortometraggio racconta un’esperienza in cui la relazione viene prima della mera obbedienza.
Sei associazioni di volontariato sociale che insegnano la lingua italiana a persone migranti adulte nella città di Reggio Emilia hanno chiesto ai propri studenti di assumere il ruolo di insegnanti per presentare brevemente alla cittadinanza alcuni tratti della propria lingua e della propria cultura. Sono stati incontri incentrati su cinque lingue, saperi, tradizioni. Ciò che lentamente emerge da questa testimonianza filmata è che sia sensato contemplare la possibilità che ogni persona “straniera” rimanga saldamente legata alla propria identità culturale ed individuale, mentre agli “italiani” si suggerisce una più autentica disposizione all’incontro.
La rete “Diritto di parola”, autrice del progetto, ci dice che l’ascolto è il punto di partenza e non un lusso da concedere solo a chi è disposto ad essere come noi vogliamo che sia, che l’attuale idea di integrazione è un mito fondato su convenzioni ed apparenze e che gli uomini, le donne e la giustizia sono tutt’altra cosa.