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L’unità familiare: diritto o privilegio?

di Chiara Puglisi

Foto di Angelo Aprile

Il diritto a mantenere o riacquistare l’unità familiare nei confronti dei familiari stranieri spetta ai titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno per lavoro subordinato o autonomo, asilo, studio o motivi religiosi, che dimostrino la disponibilità di un reddito minimo annuo e di un alloggio conforme ai requisiti di idoneità abitativa.
È quanto stabilito dal Testo unico sull’immigrazione, che riserva tale diritto a determinate categorie di stranieri.

Parallelamente, non tutti i familiari possono entrare in Italia: il ricongiungimento si può chiedere per coniuge, figli minori, figli maggiorenni con invalidità totale, genitori che non abbiano altri figli nel Paese di origine o se questi non possano provvedere al loro sostentamento.

Evidente è fin da subito una distinzione, quella che gli stessi giudici della Consulta hanno sancito nelle pronunce del 2005: da una parte c’è la famiglia nucleare, che comprende coniuge e figli minori; dall’altra ci sono gli ascendenti e i figli maggiorenni, ai quali non è riconosciuto il pieno diritto di riunirsi con il familiare in Italia.
Sono imposte dunque limitazioni allo straniero che vuole ricongiungersi e ciò appare del tutto normale secondo la visione comune: l’immigrato che approda nel Bel Paese deve attenersi alle leggi italiane e per godere di taluni diritti deve sottostare a delle condizioni.

Ma se andassimo più a fondo alla questione dubiteremmo del fatto che sia legittimo distinguere tra cittadini e stranieri, con riguardo al diritto all’unità familiare.
L’art. 2 della Costituzione afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Ci si può chiedere se il diritto in questione non vada considerato inviolabile. Si può davvero pretendere di decidere con quali familiari lo straniero possa ricongiungersi e quali invece debbano essere esclusi?

Se si accetta la teoria per cui l’unità familiare debba rientrare tra i diritti inviolabili, non si può ammettere di restringere le garanzie costituzionali, limitando così un diritto fondamentale dell’uomo, quindi anche dello straniero.
Partendo da questo presupposto sarebbe opportuno intraprendere un percorso volto a ridurre il divario tra cittadino e straniero, specialmente quando si tratta di riconoscere diritti per cui essere italiani o extracomunitari non conta.