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Scuola – Storie di scolarizzazione “spezzata” in Emilia Romagna, tra ambizioni ed ostacoli

di Grazia Satta

Le statistiche dicono che il 45% circa degli alunni di origine straniera non compie un regolare percorso scolastico.

Le classi delle scuole di ogni ordine e grado, fino ai primi due anni delle superiori, hanno in media una forte presenza di alunni stranieri.
Tale presenza subisce una rottura al momento della cessazione dell’obbligo e si assottiglia mano mano che si progredisce nel corso degli studi fino ad essere marginale nell’ultimo anno di frequenza delle superiori.
C’è una differenza di comportamento tra i diversi tipi di scuole superiori: nelle professionali cresce la possibilità che qualcuno arrivi al diploma di qualifica e alla maturità, diminuisce negli istituti tecnici e diventa molto esile nei licei.
E’ un fenomeno complesso difficilmente leggibile se lo si analizza partendo da un punto di vista “occidentale”, che vede nelle bocciature la conseguenza di un diffuso disagio sociale giovanile.

Nel polo scolastico di Argenta Portomaggiore si ha a disposizione un interessante campione per un’analisi che rivela fenomeni molto interessanti.
Il comune di Portomaggiore, ospita la maggiore presenza dell’etnia pakistana dell’Emilia Romagna e, a livello nazionale, è seconda solo a Brescia.
A questa presenza segue quella di cittadini marocchini, cinesi e dell’Est Europa. Questi ultimi hanno spinte migratorie differenti dagli immigrati extra europei, e sono quelli che hanno una frequenza scolastica più regolare.
I pakistani, in generale, presentano caratteristiche particolari.
I nati in Italia, le cosìddette seconde generazioni, frequentano regolarmente le elementari e le medie e gli abbandoni sono spesso rientri temporanei in Pakistan dovuti a motivi familiari. Stanno approdando alle superiori da pochi anni.
I neo arrivati in età da scuole medie superiori invece si iscrivono innanzitutto per la regolarizzazione del permesso di soggiorno, ma il progetto di proseguire gli studi appartiene ad un numero molto esiguo di loro. Spesso l’anno scolastico è un’occasione per imparare la lingua, per accedere ad una borsa di studio finché non arriva la possibilità di un lavoro. Queste dinamiche appartengono soprattutto a chi proviene dalle zone rurali del Pakistan che contano una scolarità molto bassa e il cui progetto migratorio scaturisce dall’esigenza di trovare un miglioramento economico urgente.

Chi prosegue gli studi lo fa invece per diversi motivi: perché non ha trovato lavoro, perché troppo giovane e sotto obbligo scolastico secondo le leggi italiane o perché ha capito, cammin facendo, che con tre anni di frequenza di una scuola professionale può ottenere una qualifica che permetterà l’accesso ad un posto di lavoro migliore.
La provenienza di questi ultimi è spesso urbana, con una buona scolarizzazione fatta nelle scuole private e interrotta dallo spostamento in Italia.
Il progetto migratorio delle loro famiglie è più sociale che economico e sicuramente non dettato dall’urgenza, e possono dunque permettersi una maggiore permanenza nelle aule scolastiche. Provengono spesso da caste elevate che possiedono le terre, ma vedono minacciata la loro posizione economica da emigrati di vecchie generazioni che con i soldi delle rimesse riescono a mettere da parte un bel gruzzolo. Tale sicurezza economica permette a questi ultimi di non prestarsi più nel proprio paese come braccianti, di affrancarsi dalla sottomissione dei latifondisti che, a loro volta devono pagare salari più alti o rinunciare alla resa delle terre. Si rischia un ribaltamento economico e sociale.

Il sacrificio migratorio di questa “aristocrazia” è dovuto soprattutto ad un motivo di orgoglio sociale, volto ad ostacolare una qualunque mobilità in una società profondamente arcaica.
Pochi hanno in mente di proseguire gli studi perché credono nell’importanza di tale percorso per un’elevazione personale. E’ in tutti i casi più facile, a prescindere dalle varie posizioni sociali ed economiche, che a rimanere scuola non siano i figli primogeniti poiché tale posizione all’interno della famiglia li grava di un ruolo di responsabilità secondo solo al padre e li spinge prioritariamente a cercare un lavoro.
Alcuni di questi ragazzi, migranti passivi, che subiscono la decisione dello spostamento voluto dai genitori, vedono nella scuola una possibilità di affrancamento dalla famiglia, nella quale si accorgono annidare una mentalità che non condividono più.
Sono i casi più rari ed interessanti. Attraverso la scuola cominciano a coltivare la speranza di realizzazione i sogni di emancipazione da una cultura che, in un confronto inevitabile con quella nella quale si trovano a vivere, non è più un punto di riferimento assoluto. Qualcuno lotta contro la famiglia per proseguire gli studi e sogna di iscriversi all’università. Appartengono a famiglie di “alta casta”, distratte nell’accorgersi degli inevitabili cambiamenti che maturano i figli a contatto con coetanei italiani. In Italia antepongono la possibilità di un guadagno economico e pensano che l’unica scuola valida sia quella pakistana non nascondendo la diffidenza per un “sistema scolastico occidentale”. Spesso confidano in un completamento degli studi dei figli in Pakistan.
L’abbandono scolastico più imprevedibile è quello femminile. Per le ragazze la frequenza scolastica oltre che motivata dalla solita esigenza della regolarizzazione del permesso di soggiorno è spesso una concessione capricciosa del paterfamilias in attesa di matrimonio.
In linea con le statistiche italiane, le femmine sono più diligenti dei maschi. Le più brave ripongono maggiori aspettative nella scuola che vedono come un potente mezzo di emancipazione e futura indipendenza. Il loro abbandono è quasi sempre subìto e difficile da contrastare, pena in alcuni anni il rientro forzato in Pakistan.
Vista la giovane età in cui contraggono matrimonio è difficile che raggiungano il diploma.
Non è raro che il corso di studi venga interrotto perché l’obbligato di frequenza di educazione fisica non gradito da parte dei genitori richiami entro le mura domestiche ragazze brillanti relegandole ad un ruolo di accudimento familiare.
Sono le più sofferenti nella sconfitta.