Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Speciale cittadinanza su Il Manifesto del 22 maggio 2013

Ius soli, la sfida riguarda l’Europa

di Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa

Foto di Angelo Aprile

Qualche anno fa un utente di un forum che raccoglie discussioni tra le cosiddette “seconde generazioni” rifletteva intorno all’uso del termine “nuovi italiani” e si interrogava sull’opportunità di affiancare invece l’aggettivo “nuovo” al Paese: una nuova Italia chiedeva. Quell’utente difficilmente poteva immaginare che il dibattito sulla cittadinanza, sei anni dopo, avrebbe occupato il discorso pubblico con tanta costanza, ma aveva certamente saputo cogliere un aspetto chiave della vicenda: si trattava, allora come oggi, di una sfida dalle sorti strettamente legate ad un più ampio processo di cambiamento.

Eppure la disputa odierna intorno al tema dello ius soli non sembra in grado restituire quel sapore di conquista che è proprio dei movimenti di trasformazione. Si parla di questione di civiltà, di nodo cruciale per il futuro del Paese, ma contemporaneamente il dibattito rimane ostaggio della retorica delle forze parlamentari, senza che alcuna azione concreta si affacci all’orizzonte.

E’ come se alla discussione siano continuamente sottratti alcuni elementi chiave, come se fosse possibile rimuovere il discorso dalla realtà del quadro politico che stiamo vivendo e si potesse discutere dell’approvazione di una riforma di tale portata senza fare i conti con la natura dell’esecutivo in carica, impegnato già in questi giorni a restaurare la legittimità dei vecchi partiti e della Troika europea.

Molti degli illustri sostenitori di questa “campagna”, infatti, sono parte della coalizione di governo e forse è il caso di ricordare che chi governa si assume la responsabilità di fare o non fare le leggi, non di condurre dibattiti o battaglie.

Non è un caso che a spegnere gli entusiasmi della neo-ministra all’integrazione Cécile Kyenge, già abbondantemente tornata sui suoi passi, al di là della prevedibile contrarietà del Pdl e dell’inquietante posizione del M5S, ci abbia pensato proprio il Presidente del Consiglio Letta, uomo simbolo del patto restauratore, dichiarando senza molti giri di parole che “il tema gli è caro ma si tratta di un argomento al di fuori del percorso della fiducia”.

Può essere allora considerato un governo di cambiamento quello che sacrifica sull’altare delle larghe intese la riforma per lo ius soli?
La domanda sembra retorica e la risposta piuttosto scontata.
Ma per andare più in profondità può essere utile affrontare il tema della cittadinanza misurandoci con la sua dimensione europea.

L’Europa oggi è infatti investita da un processo di costituzione dall’alto che proprio sul terreno dei diritti di cittadinanza sta restringendo spazi e opportunità.
Il vecchio continente, con la crisi dell’Euro-zona e la sovranità accentrata nelle mani di pochi istituti non eletti, pare aver definitivamente invertito quei processi di allargamento della sfera dei diritti che avevano caratterizzato, pur in parte ed maniera contraddittoria, la storia degli stati nazione. D’altra parte la cittadinanza europea è rimasta ancorata a quella riconosciuta dagli Stati Membri e proprio questo scarto tra l’ambizione di una cittadinanza europea come “sovrappiù” e quella formale riconosciuta dagli stati, sembra il terreno su cui investire per ribaltare questo processo. Su questo terreno la sfida è lanciata già nei prossimi giorni dalla coalizione italiana verso Blockupy Frankfurt, così come da altre realtà provenienti da molti Paesi europei che convergeranno su Francoforte i primi di giugno.

Lo stato di salute della democrazia europea ci consiglia insomma di non cadere in un errore, quello di affrontare la battaglia per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai nati in Italia senza che questa sia accompagnata dalla rivendicazione di una più ampia sfera di diritti.

Perché il riconoscimento della cittadinanza, svuotato di ogni sua relazione con il contesto sociale ed economico attuale, non è la soluzione di tutti i mali (e proprio per questo è tanto disgustoso il suo rifiuto). La precarietà, l’emergenza abitativa, l’aggressione ai beni comuni, l’esclusione dai processi decisionali, sono una realtà che accomuna oggi cittadini e non cittadini, a cui non sarebbero certo sottratti i nuovi nati se fosse riconosciuto il principio dello ius soli.

Si tratta insomma di un terreno di contesa molto più fluido di come ci viene presentato in cui la posta in gioco è certamente superiore al riconoscimento di una fredda opzione giuridica. Riprendendo il filosofo francese Balibar: in ballo c’è il rapporto tra “cittadinanza e democrazia”.

Per questo, difficilmente la richiesta del riconoscimento dello ius soli ai nati in Italia troverà spazio nelle aule parlamentari finché continuerà ad essere ridotta a moneta di scambio per la tattica politica, relegata a merce da barattare con il sostegno al governo della post-democrazia finanziaria, invece di dispiegarsi sul piano del conflitto, interrogando fino in fondo, per metterlo in discussione, il concetto stesso di cittadinanza europea e le sue istituzioni, un terreno questo sul quale siamo coinvolti tutti.

Per farlo, per trovare la capacità di essere “imposta” tra i punti concreti dell’agenda politica, questa sacrosanta e non più rinviabile riforma ha bisogno di nutrirsi dell’energia dei movimenti e di essere accompagnata dal linguaggio della conquista di una più ampia sfera dei diritti.
Questa si sarebbe una vera spinta per il cambiamento.