Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Speciale cittadinanza su Il Manifesto del 22 maggio 2013

Sei contro il Dal Molin, non puoi diventare italiano

di Olol Jackson, Progetto Melting Pot Europa

Marko, ha venticinque anni, vive a Vicenza da quando ne aveva dodici. La sua famiglia è stata costretta ad andarsene dalla Croazia dopo la devastante guerra nella ex Jugoslavia. Padre serbo, mamma croata, un intreccio normale ma solo prima della catastrofe: poi nessuna tolleranza. Discriminazioni, angherie, così la famiglia di Marko decide di cambiare vita e paese. L’Italia, il Veneto, Vicenza per ricominciare a immaginarsi un futuro ed elaborare lo strappo con la propria terra. Marko ha vissuto sulla propria pelle la ferocia di quell’ossimoro che chiamano “guerra umanitaria”, ha visto negli occhi dei suoi genitori la rabbia per le discriminazioni subite. Vicenza è diventata poi la sua casa. Gli studi, le amicizie, la scoperta dell’impegno politico e sociale che per chi come lui ha visto la crudeltà della guerra ed ha subito le discriminazioni, è stato quasi una scelta naturale. Ha cominciato a lottare contro le basi di guerra, contro il Dal Molin a stelle e strisce. Proprio contro quell’aeroporto dove era situato, a cavallo degli anni ’90, il comando delle operazioni Nato impegnate nella guerra nei Balcani. Scherzi del destino.

Nel 2001 Marko aveva deciso di uscire dal limbo, da quella condizione di sospensione dovuto che lo costringe a vivere da straniero dove è cresciuto ed ha gettato le basi del suo futuro. Ma a fine aprile ha trovato nella posta una busta gialla. Mittente? Il Ministero dell’Interno. La dicitura che lo accompagna suona però come una beffa: Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione. La lettera non parla infatti di libertà. La sua richiesta di cittadinanza italiana non è stata accolta. La motivazione? “Dall’istruttoria esperita è emersa la contiguità della S. V. a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.”

Proprio quel suo impegno politico, quella voglia di far parte di una comunità, delle sue decisioni, di difenderla e farla crescere e di far rispettare la Costituzione, che sembrerebbe rivelare senza ogni ombra di dubbio il suo profondo grado di “inserimento” nel tessuto sociale, risulta scomoda ed indesiderata.

Come se il riconoscimento della cittadinanza fosse un fatto premiale, una concessione ai meritevoli, un filtro in mano al più forte per selezionare, dividere, escludere.

Lui si sente cittadino, non un pericolo pubblico. Come dargli torto?