Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Reiterata inottemperanza del Prefetto alle statuizioni del Tribunale Amministrativo per la Liguria che annullano il decreto di rigetto della richiesta di emersione del lavoro irregolare ex l. 109/2012

Il Tar per la Liguria, con sent. n. 890/2013 Reg.Prov.Coll., Reg.Ric.n.
556/2013, depositata il 7.6.2013, accoglie nuovamente le doglianze della
ricorrente, cittadina ecuadoriana in Italia da diversi anni, la quale si è
vista negare per ben tre volte l’accoglimento della domanda di emersione ex l.
109/2012, con provvedimenti di analogo tenore e contenuto, nonostante fossero
già intervenute, in suo favore, due pronunce del medesimo Tar, delle quali una
di annullamento del primo decreto di diniego e l’altra di improcedibilità per
cessazione della materia del contendere (avendo frattanto provveduto
l’Amministrazione a revocare in autotutela l’atto impugnato).
Le ragioni ostative a sostegno del diniego erano, in tutti e tre i casi, due
sentenze di condanna per reati di lieve entità e assai risalenti nel tempo,
prive di qualunque rilievo attuale in ordine alla valutazione sulla
pericolosità della straniera.

Il primo decreto di rigetto, tempestivamente impugnato, veniva annullato dal
Tar per la Liguria poiché «Rilevato che la sentenza di condanna è risalente;
che la condanna inflitta è di minima entità così come i fatti ascritti non
presentano forte disvalore sociale, che la ricorrente prospetta la fondata
possibilità di stabile occupazione: sicché il diniego impugnato, fondato
esclusivamente sulla qualificazione dei fatti ascritti come ostativi alla
regolarizzazione, va annullato […]. Spese compensate». La P.a. non provvedeva
ad impugnare la decisione, che diveniva pertanto definitiva, ma inoltrava
inopinatamente circa cinque mesi dopo una nuova comunicazione dei motivi
ostativi all’accoglimento della domanda dal contenuto identico al precedente
rigetto.

Nonostante le allegazioni della ricorrente circa l’intervenuta pronuncia del
Giudice amministrativo, la P.a. notificava nuovo decreto di rigetto, all’esito
della cui opposizione, il Tar Liguria così pronunciava: « rilevato che la
revoca del provvedimento impugnato a seguito dell’intervento della Consulta
(con sentenza n. 172/2012) comporta la cessazione della materia del contendere,
con conseguente declaratoria di improcedibilità; atteso che sussistono giusti
motivi per compensare per la metà le spese di lite fra le parti, con condanna
della parte resistente al pagamento della restante parte, come liquidata in
dispositivo, a fronte della soccombenza virtuale e dell’epoca di adozione
dell’atto, successivo alla predetta pronuncia PQM il Tribunale Amministrativo
Regionale definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo dichiara improcedibile. Condanna parte resistente al pagamento della metà
delle spese di lite in favore di parte ricorrente […]». Nemmeno tale
pronuncia veniva impugnata dall’Amministrazione soccombente e pertanto la
ricorrente provvedeva a richiedere alla Prefettura di Genova la fissazione, in
ottemperanza di quanto statuito dal Tribunale amministrativo, di un
appuntamento per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e il
perfezionamento della procedura di emersione.

Ancora una volta, tuttavia, seguiva inspiegabile comunicazione dei motivi
ostativi, in sostanziale riproposizione dei due precedenti rifiuti.
In spregio a ben due precedenti decisioni, e ignorando totalmente le eccezioni
comunicate in memoria ex art. 10 bis l. 241/90 della ricorrente, tuttavia, la
Prefettura di Genova giungeva a notificare un terzo decreto di rigetto, fondato
– incredibilmente – ancora sulle condanne asseritamente ostative alla
regolarizzazione della straniera.

Si impugnava dunque tale decreto nanti al Tar per la Liguria, variamente
argomentando in ricorso sull’illegittimità del provvedimento per inadeguatezza,
carenza e assoluta illogicità della motivazione, violazione dell’art. 3 della
l. 241/90 e non scusabile ignoranza da parte della P.a. dell’avvenuta censura
di costituzionalità della norma invocata per legittimare il rigetto impugnato
(ovvero l’art. 1 ter comma 13 lett. c) legge 102/09), “nella parte in cui fa
derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del
lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza
di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 cod. proc. pen. Permette l’
arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato” (Corte
Costituzionale n. 172/2012 del 2/7/2012), nonché per violazione di diverse
norme di legge e dei principi di correttezza e buon andamento della P.a., e
infondatezza nel merito.

In specie, la citata pronuncia della Consulta ha stabilito che, con riguardo
all’automatica ostatività di sentenze di condanna al rilascio del permesso di
soggiorno per “sanatoria”, «L’inesistenza di un’incompatibilità, in linea di
principio, del citato automatismo con l’art. 3 Cost. non implica,
quindi, che le fattispecie nelle quali esso è previsto siano sottratte
al controllo di non manifesta arbitrarietà. Il legislatore può, pertanto,
subordinare la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la
permanenza nel territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli
interessi coinvolti dalla disciplina dell’immigrazione, ma la relativa scelta
deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento
degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei
diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario
(sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010), perché la condizione
giuridica dello straniero non deve essere «considerata – per quanto riguarda la
tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti
diversificati o peggiorativi» (sentenza n. 245 del 2011).
Inoltre, questa Corte ha anche affermato il principio – qui richiamabile, benché
sia stato enunciato in riferimento ad una differente materia – in virtù del
quale «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto
fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono
arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza
generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit»,
sussistendo l’irragionevolezza della presunzione assoluta «tutte le
volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(sentenze n. 231 e n. 164 del 2011; n. 265 e n. 139 del 2010).

Nel quadro di tali principi, a conforto della manifesta irragionevolezza della
norma censurata assume anzitutto rilievo la considerazione che il diniego
della regolarizzazione consegue automaticamente alla pronuncia di una
sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all’art. 381 cod. proc.
pen., nonostante che gli stessi non siano necessariamente sintomatici
della pericolosità di colui che li ha commessi. In tal senso è, infatti,
significativo che, essendo possibile procedere per detti reati «all’arresto in
flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto
ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle
circostanze del fatto» (art. 381, comma 4, cod. proc. pen.), è già l’
applicabilità di detta misura ad essere subordinata ad una specifica
valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera
prova della commissione del fatto. Deve essere pertanto dichiarata, in
riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale del citato
art. 1-ter, comma 13, lettera c), nella parte in cui fa derivare
automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del
lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza
di condanna per uno dei reati per i quali l’art. 381 cod. proc. pen. Permette l’
arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la pubblica
amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una
minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato» (Corte
Costituzionale n. 172/2012).

Con sentenza del 24 maggio 2013, preso atto della reiterata inottemperanza
dell’Amministrazione, il Tar per la Liguria ha nuovamente accolto le ragioni
della ricorrente e annullato il nuovo decreto, tornando a ribadire che il
giudizio di pericolosità sociale deve ancorarsi a criteri di attualità e
concretezza e che è fatto onere all’Amministrazione, nell’esaminare le domande
di emersione ex l. 102/2009, di valutare la condotta dell’interessato nel suo
complesso. Per l’effetto, il Giudice ha perciò demandato all’Amministrazione
per il rilascio del titolo in assenza di ulteriori motivi ostativi al momento
ignoti e, ciò che merita adeguato rilievo, ha stabilito che «le spese di lite
seguono la soccombenza e sono equamente liquidate in dispositivo, tenendo conto
della ragione del contendere e della necessità incontrata dalla ricorrente di
reiterare la domanda alla giustizia».

Tale pronuncia giunge al termine (salvo nuovi coups de théâtre) di un
estenuante iter amministrativo in cui il limite tra discrezionalità e arbitrio
è apparso assai più labile del dovuto. Anziché contestare nelle idonee sedi le
decisioni del Tar, l’Amministrazione ha a più riprese lasciato decorrere
passivamente i termini per l’impugnazione, così dando acquiescenza alla
decisione, per poi tornare tuttavia a ribadire le stesse motivazioni in
provvedimenti “fotocopia”. Un atteggiamento, questo, che ha assunto inevitabili
accenti vessatori, imponendosi alla straniera come incompreso ostacolo al
coronamento del proprio percorso di integrazione nel tessuto sociale italiano.
Un simile esercizio del potere amministrativo, nelle sue derive burocratiche
più odiose, non dovrebbe trovare cittadinanza in un sistema attento alle
esigenze della collettività e rispettoso dei principi che ispirano i rapporti
tra l’apparato pubblico e i privati, siano essi cittadini o stranieri.

Avv. Alessandra Ballerini
Dott. Federico Colombo

Sentenza Tar Liguria n. 890 del 7 giugno 2013