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Direttiva 2013/33/UE del 26 giugno 2013 – Commento alle principali novità in merito all’accoglienza

di Elisabetta Ferri, Progetto Melting Pot Europa

Foto di Lorenzo Masi

E’ stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la nuova direttiva europea in merito all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

Obiettivo dichiarato della direttiva, applicabile in tutti gli Stati membri, ad eccezione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, è procedere con l’armonizzazione e il miglioramento delle condizioni di accoglienza, anche al fine di limitare i movimenti secondari dei richiedenti all’interno dell’UE.

Come si legge nei consideranda, un principio fondamentale è la parità di trattamento dei richiedenti protezione internazionale, per cui la direttiva deve essere applicata in tutte le fasi e a tutti i tipi di procedure, e in tutti i luoghi e centri di accoglienza. La specifica è importante perché ad oggi, come denunciato da numerose organizzazione ed associazioni, in alcuni paesi il trattenimento è la norma e non sempre sono rispettati gli standard imposti dalla Direttiva.

Nella relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sull’applicazione della Direttiva 2003/9/CE, del novembre 2007, infatti, si denunciava che in ben sette paesi, tra cui l’Italia, la Direttiva non trovava applicazione nei centri di permanenza temporanea.

Nella stessa relazione, pur ribadendo la possibilità del trattenimento, si evidenziava una disparità nell’applicazione di questa misura:
“Tutti gli Stati membri prevedono il trattenimento per vari motivi, dalle circostanze eccezionali (Germania) al trattenimento di tutti i richiedenti asilo entrati illegalmente nel territorio dello Stato membro, salvo quelli aventi esigenze particolari (Malta). Analogamente, la durata del trattenimento varia da 7 giorni (Portogallo) a 12 mesi (Malta e Ungheria), o può addirittura essere a tempo indeterminato (Regno Unito e Finlandia).
Tuttavia, dato che ai sensi della direttiva il trattenimento costituisce un’eccezione alla regola generale della libera circolazione, cui si può fare ricorso solo “ove risultasse necessario”, il trattenimento automatico senza valutazione della situazione della persona interessata è contrario alla direttiva.
Inoltre, salvo nei casi debitamente giustificati (ad esempio per motivi di ordine pubblico), una durata del trattenimento che impedisce ai richiedenti asilo in stato di trattenimento di beneficiare dei diritti garantiti dalla direttiva è contraria alle disposizioni della medesima.”

La Direttiva 2013/33/UE interviene a regolare maggiormente questa possibilità, sancendo che il trattenimento
dovrebbe essere regolato in conformità al principio fondamentale per cui nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale;
deve essere “il più breve possibile”;
può essere disposto soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella direttiva;
ed inoltre che al fine di meglio garantire l’integrità fisica e psicologica dei richiedenti, è opportuno che il ricorso al trattenimento sia l’ultima risorsa e possa essere applicato solo dopo che tutte le misure non detentive alternative al trattenimento siano state debitamente prese in considerazione. Ogni eventuale misura alternativa al trattenimento deve rispettare i diritti umani fondamentali dei richiedenti.

Vengono sanciti il superiore interesse del minore e dell’unità familiare.

Come in Italia già accadeva, si precisa che la direttiva deve essere applicata anche ai richiedenti protezione sussidiaria.

Il testo interviene sul tema dell’accesso al lavoro, infatti, come si legge, al fine di favorire l’autosufficienza dei richiedenti e ridurre le ampie divergenze esistenti tra gli Stati membri, è essenziale stabilire norme chiare sull’accesso dei richiedenti al mercato del lavoro.

Si chiede inoltre agli Stati di definire dei riferimenti appropriati per garantire ai richiedenti un sostegno materiale adeguato.

Nel testo adottato, al Capo I, si procede ad un adeguamento dei termini alla luce delle direttive sulle qualifiche e sulle procedure che hanno introdotto la domanda di protezione internazionale e lo status di protezione sussidiaria, non presenti quando fu emanata la Direttiva 2003/9/CE.

Si noti che, per quanto riguarda la definizione di familiari, non è più necessario che i minori siano a carico.

Nell’ambito di applicazione si chiarisce che la direttiva “si applica a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale.”

Al Capo II definisce, senza apportare modifiche, gli obblighi di informazione da parte degli Stati sull’accoglienza, sulle possibilità di assistenza legale e sulle organizzazioni che forniscono supporto informativo.

Ribadisce l’obbligo da parte dello Stato, entro tre giorni, a fornire documenti che attestino lo status di richiedente, ad eccetto che per coloro che sono in stato di trattenimento. Nella già citata relazione della commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo a questo proposito si rilevava che: “Molti Stati membri non rispettano questo termine. Alcuni non hanno ancora introdotto disposizioni al riguardo nella legislazione nazionale (Germania, Paesi Bassi, Ungheria, Grecia e Spagna). Altri, pur avendo introdotto un termine chiaro, non lo rispettano nella pratica (Italia, Svezia, Regno Unito e Francia).”

La direttiva anche nella nuova versione ribadisce la libertà di circolazione nel territorio dello Stato membro, che deve essere la regola, pur lasciando facoltà agli Stati di stabilire un luogo di residenza, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo della domanda.

Come anticipato analizzando le considerazioni preliminari, la Direttiva contiene quattro articoli sul trattenimento, che nella direttiva 2003/9/CE non sono presenti, stabilendo il principio generale per cui: “Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente […]”, elencando i casi in cui il trattenimento è possibile e introducendo garanzie e condizioni di trattenimento.

Un richiedente può essere trattenuto soltanto:
a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;
b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente;
c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;
d) quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;
e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
f) conformemente all’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

Principio fondamentale è la brevità della privazione della libertà. Si chiarisce inoltre che “ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento.”
Il trattenimento è disposto dall’autorità giudiziaria o amministrativa, con decisione che deve essere sottoposta a verifica da parte dell’autorità giudiziaria. Il richiedente ha diritto all’assistenza legale, a spese dello Stato se privo di risorse.
Sono descritte le condizioni del trattenimento. In particolare, è stabilito che, per quanto possibile, i richiedenti sono tenuti separati dai cittadini di paesi terzi che non hanno presentato domanda di protezione internazionale.

Garanzie particolari sono inoltre specificate per le persone vulnerabili o con esigenze particolari, quali i minori o persone con problemi di salute, anche mentale. Le tutele riguardano in particolare i minori e i minori non accompagnati.

Gli Stati si devono impegnare a mantenere l’unità del nucleo familiare.

Deve essere garantito ai minori l’accesso al sistema educativo.

L’accesso al lavoro deve essere garantito al massimo dopo 9 mesi (e non più un anno). Si noti che l’Italia in questo caso applica un regime ancor più favorevole in quanto l’accesso al lavoro è possibile dopo sei mesi, con il rilascio del permesso di soggiorno per richiesta asilo di durata pari a sei mesi.

Gli Stati possono autorizzare l’accesso alla formazione professionale.

Le disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza ribadiscono il diritto del richiedente all’accoglienza dal momento in cui manifesta la volontà di chiedere protezione.
Il diritto all’accoglienza può essere limitato solo nel caso in cui la persona disponga di mezzi economici adeguati alla propria sussistenza. Qualora gli Stati forniscano le condizioni di accoglienza in forma di sussidi economici, hanno l’obbligo di applicare un punto di riferimento nazionale per calcolare il necessario livello di assistenza materiale per i richiedenti asilo, in modo da garantire un livello di vita adeguato.
Vengono specificate le modalità relative all’accoglienza, quando questa sia fornita in natura.

Rispetto alla direttiva attualmente in vigore viene introdotta una garanzia ai familiari, avvocati e ai membri dell’UNHCR il diritto di accesso alle strutture al fine di assistere i richiedenti.

Altre novità di rilievo, gli Stati devono:
tener conto delle differenze di genere e di età e della situazione delle persone con esigenze particolari all’interno dei locali e dei centri di accoglienza;
adottare le misure opportune per prevenire la violenza e la violenza di genere in particolare, compresa la violenza sessuale e le molestie, all’interno dei locali e dei centri di accoglienza;
provvedere, per quanto possibile, che i richiedenti che sono adulti dipendenti con particolari esigenze di accoglienza siano alloggiati insieme a parenti stretti adulti già presenti nel medesimo Stato membro e che sono responsabili nei loro confronti in base alla legge o alla prassi dello Stato membro interessato.

Nel presente testo sono, inoltre, stati ridotti i casi in cui per gli Stati è possibile non fornire accoglienza nei modi previsti dalla direttiva.

I trasferimenti devono essere disposti solo se se necessari; le persone che lavorano dei centri devono avere una formazione adeguata (si rileva che nella Relazione del 2007 su questo punto l’Italia era menzionata, con Malta e Cipro, come paese in cui le risorse umane e materiali dedicate all’accoglienza suscitavano seri dubbi); i richiedenti possono essere coinvolti nella gestione materiale della vita dei centri.

Solo in casi eccezionali, elencati dalla Direttiva e ridotti rispetto a quella attualmente in vigore, gli Stati possono derogare dagli standard descritti.

Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria si continua a garantire l’assistenza urgente e essenziale, con un riferimento, prima non presente, alla salute mentale. Si rileva che l’Italia, in rispetto al diritto alla salute garantito dalla Costituzione, prevede standard maggiormente favorevoli di quelli richiesti della direttiva, garantendo l’iscrizione al Servizio Sanitario, in esenzione al pagamento del ticket.

Al Capo III vengono elencati i casi in cui può essere disposta la revoca delle misure di accoglienza. L’accoglienza può cessare se la persona abbandona il centro, contravviene all’obbligo di presentarsi all’autorità, o nel caso in cui abbia presentato una domanda reiterata.
Le misure possono essere ridotte se la persona non ha fatto domanda subito dopo l’arrivo in Italia, senza giustificato motivo, e qualora abbia occultato risorse finanziarie.
Gli Stati possono inoltre prevedere sanzioni per comportamenti particolarmente violenti.

Il Capo IV relativo alle disposizioni a favore delle persone vulnerabili amplia questa categoria rispetto al testo in vigore:
alle persone vittime della tratta;
alle persone affette da gravi malattie o disturbi mentali;
alle vittime di mutilazioni genitali femminili
oltre che ai minori, ai minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori e persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale).

A questo proposito è introdotta una procedura per la valutazione delle esigenze particolari che, si sottolinea, non può essere di carattere amministrativo.

Per quanto riguarda i minori l’interesse superiore del minore costituisce un principio fondamentale. Le disposizioni sono molto più articolate di quelle attualmente in vigore.

Per i minori non accompagnati è prevista, come allo stato attuale, la nomina di un rappresentante L’accoglienza deve avvenire, se non presso familiari o famiglie affidatarie, presso centri appositi.

Per quanto riguarda le vittime di tortura e di violenza viene introdotta la previsione che il personale dedicato abbia una formazione specifica.

Il Capo V introduce alcune disposizioni relative ai mezzi di ricorso:
– gli Stati membri garantiscono che le decisioni relative alla concessione, alla revoca o alla riduzione di benefici ai sensi della presente direttiva che riguardano individualmente i richiedenti possano essere impugnate secondo le modalità stabilite dal diritto nazionale. Almeno in ultimo grado è garantita la possibilità di ricorso o riesame, in fatto e in diritto, dinanzi a un’autorità giurisdizionale.
– nei casi di ricorso o riesame dinanzi a un’autorità giurisdizionale gli Stati membri garantiscono l’accesso gratuito all’assistenza e alla rappresentanza legali su richiesta, nella misura in cui tale assistenza e rappresentanza legali sono necessarie per garantire l’accesso effettivo alla giustizia. Ciò include, come minimo, la preparazione dei documenti procedurali necessari e la partecipazione all’udienza dinanzi alle autorità giurisdizionali a nome del richiedente.
L’assistenza gratuita può essere riservata alle persone prive di mezzi e ai casi in cui vi siano concrete possibilità di successo.

Il Capo VI definisce le azioni volte a migliorare l’efficienza del sistema di accoglienza e al Capo VII sono indicate le disposizioni finali.

Elisabetta Ferri, Progetto Melting Pot Europa