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Società meticcia e diritto – Quando il kafil è italiano

a cura dell'Avv. Dario Belluccio

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21108/2013 sono intervenute dirimendo un precedente contrasto, sorto anche in seno alla magistratura di legittimità, e relativo alla possibilità che la Kafāla costituisca un idoneo presupposto di fatto affinchè sia legittimamente autorizzato l’ingresso in Italia di un minore straniero affidato secondo questo istituto.

Occorre premettere che la Kafāla è un antico istituto del diritto di famiglia tipico della tradizione giuridica islamica con il quale è disciplinata l’assunzione, da parte del kafil (soggetto affidatario) e nei confronti del makful (minore affidato), degli obblighi di nutrimento, educazione, cura e crescita che sarebbero propri del genitore verso il figlio.
Obblighi che sono necessariamente temporanei e, comunque, non comportano conseguenze in termini ereditari e/o di modificazione dello stato civile del minore.
Il suo presupposto sociale è la inesistenza o il divieto, in alcune tradizioni giuridiche islamiche e per motivi connessi al credo religioso, di atti similari all’adozione; motivo per il quale la Kafāla è fondamentale nel dare cura ed assistenza a minori, ad esempio, in stato di abbandono o che, comunque, necessitano di assistenza morale e materiale che i genitori non possono offrire.

Esso è riconosciuto tanto dalla normativa internazionale, quanto da quella italiana che ne fa cenno all’interno del T.U. Immigrazione (D.Lgs. 286/98) proprio in materia di ricongiungimento familiare.
Era sorto contrasto, dunque, in merito alla possibilità che tale istituto fosse utilizzato da parte di un cittadino italiano (nelle vesti di Kafil) in favore di un minore straniero e per favorirne l’ingresso in Italia quale familiare del cittadino italiano.

A fronte di pronunce maggiormente possibiliste, altre avevano escluso l’utilizzabilità della kafāla da parte del cittadino italiano, soprattutto per il timore che, in tale modo, si potessero aggirare le norme a tutela delle frontiere italiane, ovvero quelle sull’adozione internazionale.
Per questo, con ordinanza n. 996 del 24 gennaio 2012, la VI Sezione della Corte di Cassazione aveva rimesso la decisione della relativa questione, ritenuta “questione di massima di particolare importanza”, al Presidente della prima sezione al fine della eventuale assegnazione della decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
Con la sentenza che si allega la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha affermato il seguente principio di diritto: “Non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell’interesse del minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal Giudice straniero nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito”.
La Suprema Corte Regolatrice ha, in tale modo, interpretato in maniera costituzionalmente orientata le norme nazionali in materia di ricongiungimento familiare del cittadino straniero e/o di quello europeo ed ha ritenuto fare prevalere, nell’ottica del superiore interesse del fanciullo, il principio di eguaglianza formale e sostanziale garantito dall’art. 3 Cost. sulle norme in materia di salvaguardia delle frontiere, consapevole che i principi che regolano le norme sull’azione internazionale posso essere garantiti senza ledere i diritti di alcuno