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Libia – I neri di Tawargha nel limbo dei campi profughi

di Antonio M. Morone, ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa presso l’Università degli studi di Pavia

Foto di Nada Harib

Tawargha è oggi una città fantasma. Nel giro di un paio di giorni nell’agosto del 2012, questa città libica che si trova a pochi chilometri a sud di Msrata, nella parte orientale della Tripolitania, è stata completamente svuotata dei sui 40 mila abitanti da parte delle milizie rivoluzionarie di Msrata. Chi ci viveva è diventato così esule in patria: profughi nel loro stesso paese da un giorno all’altro, persone che si sono ritrovate a vivere in campi allestiti in tutta fretta in strutture improvvisate, ex caserme ed ex cantieri edili di contractors internazionali che a causa della guerra avevano lasciato la Libia pochi mesi prima. Abbandonando sotto la minaccia delle armi la propria città, alcuni abitanti si sono diretti verso il capoluogo della Cirenaica, Bengasi, altri hanno invece optato per la capitale. Nella grande periferia di Tripoli sono tre i ripari di fortuna che hanno accolto i profughi di Tawargha, due ex cantieri di costruzione e parte dell’accademia navale di Zanzour. Fino a oggi i vertici politici delle milizie che controllano Msrata e che sono parte importante dell’attuale compagine di governo si sono sempre fermamente opposte alla possibilità di ritorno dei profughi nella loro città d’origine.

Per chi si domandasse quale sia la colpa ascrivibile a un’intera città al punto da farla sparire dalla cartina geografica, la risposta va cercata in una delle pagine più drammatiche della guerra civile libica, quando Msrata sotto assedio fu per settimane cannoneggiata dalle truppe del regime di Gheddafi. Tawargha ebbe suo malgrado una parte essenziale nell’assedio e una volta che i soldati di Gheddafi furono in rotta, Tawargha divenne nell’agosto 2012 il bersaglio collettivo di una spietata vendetta da parte delle milizie che avevano difeso vittoriosamente Msrata. Le accuse rivolte agli abitanti di Tawargha erano quelle di aver commesso stupri, violenze e crimini contro la popolazione civile di Msata durante l’assedio. Difficile dire quanto vi sia di vero in tutto questo, considerando che spesso filmati di telefonini e testimonianze sommarie rappresentano i maggiori elementi di prova. Fatto sta che un’intera città, compresi donne e bambini, ha pagato per le – presunte – colpe di alcuni dei suoi abitanti che sono ancora oggi detenuti senza processo in una prigione speciale di Msrata. Se non si può certo negare l’evidenza di episodi di violenza e crimini perpetrati contro i civili di Msrata, non può essere semplicemente questa la ragione per spiegare l’incriminazione e la punizione inflitta a un’intera città.

Gli abitanti di Tawargha hanno la pelle scura, discendenti dei tanti neri africani arrivati nei secoli sulla costa mediterranea attraverso la tratta transahariana degli schiavi. Questi cittadini libici hanno sperimentato nella Libia indipendente e poi in quella gheddafiana un destino di subalternità sociale e culturale che si lega direttamente alle loro origini storiche comunitarie. È particolarmente evidente il legame di dipendenza che durante il regime di Gheddafi legò la città di Tawargha a quella di Msrata dove molti abitanti di Tawargha vivevano o si recavano giornalmente a lavorare, occupando tutta una serie di mansioni faticose o poco retribuite. La guerra civile libica ha rinfocolato questa come altre contrapposizioni sociali che sono il portato di una storia di più lungo periodo. Le violenze subite dalla popolazione civile di Msrata avrebbero allora potuto essere commesse da abitanti di Tawargha, tanto quanto dagli altri soldati fedeli al regime giunti dal Fezzan o chadiani naturalizzati libici che in quanto colore della pelle possono similmente essere accomunati agli abitanti di Tawargha. Tuttavia a pagare fu sempre e prima di tutto Tawargha per essere ritenuta collettivamente colpevole, più o meno inconsciamente, di essersi sottratta a quel rapporto di dipendenza da Msrata sperimentato nel corso dei secoli.

Nei campi profughi la vita si riduce alla lotta per la sopravvivenza. Per chi si è fatto la fama, a torto o a ragione, di provenire dalla città più lealista della Libia, difficile essere accettato nella nuova Libia post-Gheddafi. Difficile trovare lavoro in una città come Tripoli che per molti versi ha accolto acriticamente la connotazione negativa e dispregiativa appiccicata a queste persone, additate come neri gheddafiani colpevoli di crimini contro i rivoluzionari di Msrata. Sono state diverse le aggressioni registrate a danno di questi libici neri all’interno e al di fuori dei campi che sono spesso riconducibili alle milizie di Msrata. È chiaro come in un momento come quello attuale, dove le autorità governative stanno cercando di sottrarre il controllo della capitale alle diverse milizie, prendersela con i profughi di Tawargha non rappresenta un obiettivo politico in sé, ma finisce per essere una deriva particolarmente ignominiosa di una più generale logica nella quale Msrata non è disposta a nessuna concessione in favore delle autorità centrali in favore di una vera riconciliazione nazionale, questione di Tawargha compresa. Nelle ultime settimane alla recrudescenza degli scontri nella capitale libica che hanno casato almeno due vittime tra gli sfollati di Tawargha, si è aggiunta l’inondazione di uno dei campi a seguito delle piogge eccezionali che hanno investito Tripoli, senza che le autorità governative o quelle municipali fornissero il ben che minimo aiuto ai profughi. L’8 dicembre 2013 il congresso nazionale libico ha per la prima volta preso posizione a favore dei profughi di Tawargha, auspicandone il rapido ritorno nella città d’origine. In tutta la sua tragicità il caso di Tawargha sarà la cartina al tornasole per stabilite l’effettiva capacità che le autorità centrali libiche hanno di imporre l’applicazione delle decisioni prese dall’assemblea nazionale al di là di ogni interesse locale e particolare.