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L’umanità di Mare Nostrum – Salvataggi a colpi di mitra

Le riprese inedite girate a bordo della nave Aliseo. I militari della marina sparano ad un barcone

“L’abbordaggio è stato un successo” dice il comandante della nave Aliseo una volta approdato al porto. Un successo militare verrebbe da aggiungere dopo aver visionato il filmato girato da un uomo a bordo del mezzo militare.
Eppure Mare Nostrum non dovrebbe essere una operazione umanitaria?
“Erano scafisti” si difende la Marina.
Fosse anche, non c’è regola che preveda di sparare ad una nave che non ha aperto il fuoco, neppure quando questa sia in fuga, neppure se a bordo ci sono i “trafficanti di uomini”.
Ma le regole si sa, non sono tutto, perché le dichiarazioni di emergenza, delle regole, non sanno proprio che farsene e le cancellano con colpi di spugna a cadenza ormai cronica.

Non c’è da stupirsi. Le violazione del “protocollo” immortalate da quel video girato sulla Aliseo, quelle raffiche di mitra seguite da 9 colpi netti sparati contro la carretta, non sono che il preludio delle tante violazione che i migranti, una volta sbarcati a terra, saranno costretti a subire. Lì, oltre l’orizzonte del mare, al di là dello sguardo militare-umanitario, dove finisce lo spettacolo buono del confine che salva vite umane, e inizia l'”ordinaria” accoglienza italiana, sempre eccezionale, sempre straordinaria, fatta di tendopoli e centri informali, di palestre e alberghi. Un circuito improvvisato di incompetenze e grandi affari.

Mare nostrum però, si sà, ha le mani libere. E’ la risposta del governo Letta alla tragedia del 3 ottobre, quando una delle più grandi stragi del Mediterraneo ha consegnato agli occhi del mondo 368 corpi in una sola notte, facendo vacillare la legittimità delle politiche europee del confine. Così, come dopo ogni grande tragedia, la risposta assume le sembianze di una “shock terapy”, dove tutto è lecito, compresa la riorganizzazione dei dispositivi militari, questa volta ovviamente a fin di bene, una grande impresa per il bene dei migranti che strizza l’occhio ai grandi interessi dell’industria bellica, oggi strategicamente impegnata in investimenti sul terreno del controllo dei confini.

Nessuno insomma è in grado di mettere in discussione questo enorme carrozzone per cui sono già stati spesi 45 milioni di euro solo per la Marina, a fronte di 13.275 persone recuperate in mare, almeno fino alla prossima tragedia, fino a quando uno di quei radar non riuscirà ad intercettare uno dei tanti natanti che cercano di raggiungere le coste europee, fino a quando uno di quei colpi di mitraglia non colpirà un uomo invece dello scafo, quando la politica potrà offrirci ancora una volta le sue lacrime e fiumi di parole d’odio contro i trafficanti di uomini.

Ma davvero non c’è altra soluzione? La “gente” fugge e noi la salviamo. Questa è l’unica risposta possibile?
Diciamolo una volta per tutte: non c’è nulla di naturale nel dover fuggire. Nessuno sarebbe costretto a farlo se quei luoghi martoriati in cui prende forma il desiderio di partire sapessero offrire qualcosa di più di carneficine, conflitti armati, violenze e miseria. E non c’è nulla di naturale neppure nel dover raggiungere l’Europa attraverso il mare, pagando lauti compensi ai circuiti del traffico organizzato, strettamente legati a milizie e polizie di ogni paese di transito.
No, non c’è nulla di naturale in questa Europa incapace di pensare a questo mare se non come ad una grande frontiera in cui selezionare chi muore e chi arriva, imprimendogli il marchio di un confine che si porterà a presso nella bara o nella vita di stenti che lo aspetta.

Cosa avviene a bordo di quelle navi? Il video pubblicato da Repubblica.it ci consegna immagini agghiaccianti. Alle roboanti dichiarazioni rilasciate dopo quell’operazione del 9 novembre, quando il comandante della nave raccontava che il natante era affondato a causa delle condizioni del mare, si è sostituito l’imbarazzo dichiarato dalla Marina Militare. Niente a che vedere con l’adrenalina inizale, l’entusiasmo ed il “boarding” ad alta professionalità raccontato nel diario di bordo da un’agente della polizia scientifica in servizio sulla Aliseo quel 9 novembre.
Quella pulita non è insomma l’unica faccia di Mare Nostrum. Qual’è allora la reale identità di questa operazione?

Gli spari non sono l’unica deroga. In barba ad ogni regola le identificazioni vengono fatte a bordo delle navi dove i migranti sono costretti a sostare sul ponte per giorni, in attesa di arrvare a riva, come in degli enormi centri di contenimento gallegianti. In molte navi è il personale del Ministero dell’Intenro ad effettuare le procedure. Nessuna informazione sulle garanzie previste dal diritto d’asilo, sulla destinazione, sul percorso che li attende. Ma in altre sono gli stessi ufficiali libici a “mediare” con i richiedenti asilo. Un particolare inquietante: la presenza di militari libici a bordo delle navi di Mare Nostrum è costante. Accade per esempio nella nave Foscari, dove due ufficiali sono imbarcati dallo scorso dicembre come “osservatori” oltre che per favorire lo scambio di informazioni con le autorità libiche. Questo significa che migliaia di persone fuggono dalla Libia delle torture e della caccia ai “neri”, si ritrovano a bordo di una nave dove sono proprio gli ufficiali libici ad accoglierli. E cosa accade se le forze italiane avvistano un natante in pericolo in acque libiche?

E’ qui che l’operazione umanitaria diventa un tutt’uno con la sua faccia militare. E’ tra le pieghe del “protocollo operativo” che la retorica dei salvataggi lascia spazio alla tentazione dei respingimenti.
In quel caso, secono la Marina, può infatti venir richiesto alle stesse autorità libiche di intervenire, come è successo tre volte negli ultimi due mesi, così l’imbarcazione viene “tratta in salvo” e condotta… sulle coste libiche.
Sono i respingimenti di Mare Nostrum, quelli per cui l’importante non è che chi fugge non muoia, ma che non lo faccia davanti ai nostri occhi, a poche miglia dalle nostre coste, rimettendo ancora una volta a nudo la crudeltà delle politiche europee di controllo dei confini.
Ma questo, al comandante della nave Aliseo, alla Marina Militare e a chi controlla le operazioni dai piani alti del Ministero dell’Interno, non crea di certo nessun imbarazzo….

– Ecco il video con le dichiarazioni del Comandante rilasciate il 9 novembre e le immagini della sparatoria

Il racconto (falso) di un agente della polizia scientifica a bordo dell’Aliseo
(tratto da poliziamoderna.it)
… arriva una segnalazione di avvistamento di un barcone con alcune persone a bordo. Forse scafisti, poiché erano in precedenza stati intercettati dal satellite mentre trainavano un’altra barca stracarica di persone. L’adrenalina sale. (…) Ci dirigiamo immediatamente sulla rotta dell’imbarcazione sospetta. La raggiungiamo solo nel pomeriggio. Il suo stato è pessimo e non presenta alcun nome o bandiera sullo scafo che sembra abitato solo da un paio di persone. Dopo tantissimi e vani tentativi di stabilire un contatto radio tra l’Aliseo e i conducenti della barca, utilizzando anche l’ausilio dell’interprete ed intimando loro di identificarsi, questi iniziano una precipitosa fuga verso le acque libiche, facendo salire in coperta altre persone che prima erano nella stiva. Il comandante decide di non dargli tregua, visto che si tratta sicuramente di trafficanti di esseri umani e non di un semplice peschereccio. Immediatamente, nonostante il calare del sole, dal ponte di volo decolla l’elicottero che subito va ad occupare lo spazio aereo sovrastante lo scafo in modo da avere una visione più dettagliata e fornire maggiori informazioni su eventuali reazioni, anche belliche, da parte degli occupanti. Intanto, dalla nave vengono calati anche una motobarca ed un gommone con a bordo i Marò del Battaglione San Marco pronti al “Boarding”. Ma nonostante tutto e le continue intimazioni, lo scafo non accenna a fermarsi, anzi aumenta ancora la sua velocità cambiando continuamente rotta per sfuggire agli specialisti della Marina. Dopo un inseguimento durato diverse ore, l’imbarcazione viene finalmente fermata. è buio, le operazioni di “Boarding” da partparte dei Marò avvengono con alta professionalità mettendo in sicurezza, innanzitutto, tutti gli operatori intervenuti mentre gli occupanti dello scafo seguono con la massima precisione tutti gli ordini loro impartiti dal comandante della nave tramite l’interprete. Infatti, si vedono ora pian piano uscire allo scoperto, sul ponte del barcone, sedici persone con le mani dietro la nuca in segno di resa mentre l’elicottero li tiene sotto controllo dall’alto con un potente faro. Finalmente si sono arresi! La situazione è sotto controllo. I Marò salgono a bordo del barcone ed iniziano a trasferirli a piccoli gruppi sulla nostra nave.
Eccoli, vengono fatti salire uno per volta sulla scaletta della nave e dopo essere stati perquisiti, vengono fatti riunire in un angolo del ponte di coperta sempre sotto l’occhio vigile dei Marò e di noi poliziotti.
Uno ad uno mi passano davanti e leggo nei loro occhi spaesatezza e paura. Occhi sgranati di chi non sa cosa li attende.
Dopo qualche ora arriva anche la notizia che l’altra imbarcazione carica di 180 naufraghi è stata recuperata dalla Stromboli che li ha affidati alla nave San Marco. Esultanza da parte di tutti noi e pacche sulle spalle per complimentarsi reciprocamente.
Sono circa le 3,00 di notte quando terminiamo le identificazioni e la stanchezza che si legge sul volto di ognuno di noi viene annullata dall’esultanza che proviamo dentro per la brillante riuscita dell’operazione.
Siamo a circa 500 miglia da Capo Passero a sud est della Sicilia. Il comandante ordina di dirigerci verso Catania trainando il barcone sequestrato. E’ stata ancora una volta una giornata dura ma questa volta davvero piena di adrenalina. è quasi mattina e cerchiamo di riposare qualche oretta…