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di Filippo Furri

Profughi siriani – Lo Scaricabarile europeo

Il viaggio di 85 siriani verso Parigi. L'Italia non accoglie, la Francia espelle, la Svizzera e la Germania respingono

di Filippo Furri

La notizia è stata diffusa nella giornata di venerdì 28 marzo dal quotidiano parigino Le Parisien e ripresa nelle ore successive da Le Monde, Le Figaro e numerose pagine d’informazione on line: 85 siriani, tra cui 41 minorenni, sono stati arrestati dai funzionari della Paf (la police de l’air et des frontières) quando il treno su cui viaggiavano è arrivato a destinazione, a Parigi – Gare de Lyon.

La notizia

Si tratta di una notizia insolita, non tanto per l’oggetto – sono numerosi i migranti che cercano di raggiungere il nord europa transitando per Parigi ed utilizzando la rete ferroviaria francese – ma per la dimensione del fenomeno: l’arrivo di 85 persone – insieme, tutte munite di regolare biglietto – ha mobilitato un centinaio di funzionari di polizia che sono intervenuti dopo una segnalazione partita, secondo Le Parisien, dalla Franca Contea, regione al confine con la Svizzera.
Riportiamo di seguito la traduzione dell’articolo integrale del quotidiano parigino, firmato da Nicolas Jacquard e postato alle 19h10 del 28 marzo.

«Parigi: 85 siriani arrestati alla discesa del treno a Gare de Lyon
Di solito arrivano in Francia isolati o in piccoli gruppi, il più discretamente possibile. Ma giovedì sono 85 i profughi siriani arrivati a Parigi, prendendo alla sprovvista le autorità. Un afflusso imprevisto che, secondo le nostre informazioni, ha mobilitato un centinaio di funzionari della polizia dell’aria e delle frontiere (PAF) alla Gare de Lyon, per studiare la loro situazione. È stato al momento del transito del treno in Franca Contea che la loro presenza è stata individuata, ed i servizi competenti a Parigi sono stati avvertiti. La maggior parte di questi profughi, tra cui si trovavano 41 minori, si è vista consegnare un arreté de reconduite à la forntière – l’equivalente del foglio di via italiano – che concede loro un mese per lasciare il territorio. Alcuni non hanno atteso questa scadenza. Questo venerdì parecchi hanno cercato, questa volta a partire da Parigi, di raggiungere la Germania. Sono stati bloccati alla frontiera e respinti verso la Francia.
A causa delle guerra civile, i siriani l’anno scorso sono stati i più numerosi a chiedere asilo nei paesi dell’Unione europea. In totale, la crisi siriana in tre anni a causato già 2,5 milioni di sfollati, la maggior parte dei quali ha raggiunto il vicino Libano. Questa cifra potrebbe raddoppiare nel 2014. L’autunno scorso François Hollande aveva dichiarato che la Francia era pronta ad accogliere 500 di questi richiedenti asilo. Nel 2013 poco più di mille siriani hanno ufficialmente presentato domanda d’asilo in Francia». (Le Parisien)

La stampa francese ovviamente si concentra su quanto accaduto a Parigi e sul successivo respingimento di una parte degli 85 siriani alla frontiera tedesca, prima di chiosare sottolinando le posizioni del governo di Hollande in merito alla situazione dei profughi siriani.
Prima di tutto una considerazione lessicale: in francese il termine réfugié indica sia il rifugiato propriamente detto, a cui è stata riconosciuta una protezione internazionale in seguito ad una domanda d’asilo accolta, che il generico italiano «profugo», non meglio determinata categoria, più politica che giuridica, che indica gli individui – e spesso i gruppi di individui – che hanno abbandonato il loro paese in seguito ad eventi drammatici.
Partiamo dal presupposto che si tratti di profughi e non di rifugiati in possesso di un titolo di soggiorno e magari di un titolo di viaggio: non siamo in grado ad oggi di avere più informazioni in merito alla situazione di queste persone, ma è piuttosto evidente, semplicemente tenuto conto della tempistica delle procedure amministrative per l’attribuzione dello statuto di rifugiato, che si tratta di persone che ancora non hanno ottenuto un titolo di soggiorno. Non è dietrologia, è un chiarimento necessario per evitare ogni malinteso, ogni equivoco legato alla traduzione: si tratta di profughi, il loro comportamento, come quello delle autorità, lo dimostra in modo piuttosto eclatante. Sono le implicazioni di questa constatazione che diventano problematiche.

L’asilo in Francia

Prima di entrare nel merito dei fatti, è interessante considerare la situazione francese attuale in materia di asilo. Secondo l’OFPRA (Ufficio francese di protezione di rifugiati ed apolidi) nel 2013 le istiuzioni francesi hanno raccolto circa 70.000 domande d’asilo: 840 di queste domande (650 nel 2012) riguardavano richiedenti asilo siriani. Perché il governo Hollande ha stabilito per il 2014 un tetto di 500 casi per i richiedenti asilo siriani?
Un articolo apparso su Le Monde il 28 novembre 2013 chiarisce parzialmente la questione: a causa del progressivo collasso del sistema di accoglienza francese, che tra lentezze amministrative e spese di gestione sembra non riuscire a far fronte all’aumento costante di domande d’asilo, l’allora ministro degli interni Manuel Valls era stato chiamato a snellire il sistema e rivedere i conti. Rispetto ai richiedenti asilo siriani, L’ACNUR aveva chiesto nel settembre scorso agli stati europei di farsi carico simbolicamente di 10.000 profughi, da aggiungere alle richieste d’asilo tradizionali, per il 2013, e di 30.000 per il 2014: se la Germania si è impegnata ad accogliere 5.000 persone nel 2013 e 10.000 per il 2014, la Francia per il 2014 si è limitata a 500 perché apparentemente non sarebbe in grado di sostenere la modalità di intervento richiesto dall’ACNUR, quello della reinstallazione, che prevede il trasferimento diretto dei profughi dai campi in Libano verso un alloggio in Francia, con tutti i diritti sociali necessari. La Francia non applica questa procedura che per un centinaio di persone ogni anno. La maggior parte delle prefetture, oltre a non avere a disposizione gli alloggi, non è attualmente attrezzata per accogliere questo tipo di pubblico.
Ed i tempi per organizzare questa accoglienza minima sembrano comunque piuttosto lunghi, visto che la Francia sembra non poter farsi carico di questi 500 profughi prima dell’estate. La logica dell’Alto Commissariato per i rifugiati, che assegna ed attribuisce alle diverse nazioni quote di profughi raccolti nei campi che gestisce (come accade da anni per Stati Uniti, Canada o Australia), si scontra con una realtà di mobilità forzata fluida e difficilmente quantificabile che interessa da anni il bacino Mediterraneo e l’Unione europea.

Gli 85 profughi arrivati a Gare de Lyon non rientrano dunque nella quota dei 500: perché non possono essere considerati allora come migranti «generici» in condizione di presentare una classica domanda d’asilo in Francia? Perché sono siriani, probabilmente. E perché, secondo la famigerata sequenza del regolamenti Dublino, dovrebbero essere respinti nel primo paese europeo di transito: cosa che i tedeschi hanno fatto senza battere ciglio quando alcuni di loro hanno cercato di dirigersi verso la Germania, racconta Le Parisien. Invece agli 85 siriani è stato consegnato semplicemente un foglio di via, che impone loro di lasciare il territorio autonomamente entro un mese, come se non si sapesse da dove arrivano. Non sono trapelate informazioni riguardo la sorte dei 41 minori, che pertanto sono stati riconosciuti tali se la stampa ne ha dato notizia; salvo il dettaglio del tentativo di alcuni di passare in Germania, non ci sono informazioni riguardo una loro eventuale accoglienza temporanea, l’intervento di associazioni in loro sostegno, la loro presenza a Parigi. Consegnare loro il foglio di via significa lasciarli scomparire, probabilmente farli scivolare verso la «clandestinità», ovvero una condizione di prolungata irregolarità amministrativa e di fragilità esistenziale, lasciarli in balia del loro destino, aggrappati a reti di assistenza informali comunitarie, in Francia o altrove, se riusciranno ad attraversare senza farsi rimandare indietro un’altra frontiera, ancora insieme o più verosimilmente in piccoli gruppi o individualmente.

Al di là del declino delle politiche di accoglienza e di asilo in Francia, che è destinato ad aggravarsi se consideriamo che, in seguito alla batosta elettorale dello scorso fine settimana (la domenica 30 marzo) il presidente Hollande si è visto costretto a inventarsi una nuova formazione di governo, con a capo il Manuel Valls di cui sopra, che incarna la destra del partito socialista e non è mai stato particolarmente attento – per usare un eufemismo – alla questione asilo, è la gestione di questo caso estremamente particolare a lasciare perplessi. O meglio, a lasciare perplessi è l’apparizione improvvisa ed imprevista nel cuore di Parigi di un gruppo consistente di profughi, arrivati dal nulla – secondo la stampa francese – e destinati a scomparire nel nulla. Niente a che vedere con l’organizzazione informale della comunità di migranti afghani che per anni si è concentrata intorno al parc Villemin della Gare de l’Est: arrivavano in piccoli gruppi o da soli, trovavano al parco una rete di contatti ed un supporto temporaneo, con l’intenzione di proseguire quanto prima verso nord, verso Calais, la Gran Bretagna, la Norvegia. La loro traiettoria era ben delineata, fatta di interruzioni e di accelerazioni, i percorsi singoli si perdevano nel va e vieni di una comunità effimera, di un’aggregazione transitoria. Tanti singoli individui, quasi sempre ragazzi, quasi mai con più di vent’anni, che si riunivano strategicamente in luoghi di riferimento, per organizzarsi e rifiatare, per sopravvivere e ripartire.

Gli 85 siriani arrivati alla Gare de Lyon sono qualcosa di diverso, che fa pensare più ai migranti che in questi mesi assaltano in gruppo la frontiera tra il Marocco e l’enclave di Melilla: una massa che si muove unita, un attacco organizzato, una forma di resistenza collettiva, un’azione collettiva. Chiunque partecipa sa che può passare come non farcela, ma che forzando tutti insieme le recinzioni qualcuno alla fine passerà. Ma neuppure questa ipotesi regge fino in fondo.

I siriani erano 85, 41 minorenni, su un treno: famiglie, tutte munite di regolare biglietto. Secondo quale logica, secondo quale speranza hanno organizzato un viaggio simile? Pensavano forse di non dare nell’occhio e che i controlli di frontiera non fossero particolarmente accurati? Confidavano nel fatto che di fronte alla tragedia che li ha spinti a partire, le autorità, i controllori del treno, la polizia di frontiera, fossero magnanimi e li accogliessero senza esitare, o che almeno fingessero di non vederli? L’accoglienza alla Gare de Lyon dice il contrario. Il foglio di via dice che non c’è accoglienza ma nemmeno il violento ed arbitrario rifiuto, il respingimento coatto. Dice che li hanno visti arrivare dal nulla, contati, schedati, e lasciati sparire. Sul loro destino ora si possono fare solo ipotesi; ma sul loro viaggio fino a Parigi, cercando meglio, qualcosa in più si trova.

I fatti

In riferimento alla ricostruzione de Le Parisien stupisce che ad intervenire siano stati i funzionari della PAF, la polizia di frontiera, nel centro di Parigi. Ammesso che la segnalazione a ridosso della frontiera sia stata recepita con il treno in transito e che non si sia voluto intervenire nella Franca Contea, per evitare di rallentare inevitabilmente il viaggio del treno, è lecito chiedersi in che misura sia di competenza dei funzionari della PAF lo «studio», dunque la valutazione, della situazione dei migranti. Possiamo imputare l’imprecisione ad una leggerezza del giornalista, oppure pensare che le forze dell’ordine, come accade sempre più spesso e dovunque, agiscano e valutino l’idoneità di un individuo a presentare una domanda d’asilo senza ricorrere a personale adeguato, a traduttori, a mediatori culturali.

In secondo luogo, è da evidenziare il fatto che le operazioni di controllo e la conseguente consegna del foglio di via si siano svolte in una stazione ferroviaria nel centro di Parigi. Una applicazione pratica di quella che Paolo Cutitta ha chiamato introflessione della frontiera, e che si manifesta in Francia con la flessibilità della cosiddetta «zone d’attente»: un dispositivo giuridico che permette essenzialmente di considerare zona di pertinenza e di ingerenza degli agenti di frontiera qualsiasi luogo sul territorio dove il migrante sottoposto a misure di detenzione amministrativa si trovi: la zona di detenzione amministrativa, in sostanza, segue il migrante.
Ma gli 85 siriani non erano in ogni caso sottoposti a questo regime di sorveglianza. Anzi, non avevano ancora letteralmente toccato il suolo francese.

Il seguito della vicenda, che riguarda le sempre più restrittive politiche di accoglienza francesi e le misure espeditive con cui queste 85 persone sono state invitate ad abbandonare il territorio, meriterà un doveroso approfondimento. Al di là dell’evento di per sè atipico (l’arrivo di 85 profughi nel centro di Parigi) la presenza di 41 minori, le informazioni estremamente lacunose in merito alla valutazione del loro status da parte dei funzionari di polizia e i successivi spostamenti di queste persone sul territorio francese esigono un necessario chiarimento, mentre invece la notizia, apparsa tra giovedi e sabato scorsi è rapidamente scomparsa, inghiottita dal clamore dei risultati elettorali, dell’escalation del Fronte Nazionale di Marine Le Pen e del rimpasto di Governo.
Possiamo tuttavia risalire a monte e cercare di capire cosa è accaduto prima che il treno arrivasse a destinazione. L’articolo de Le Parisien non chiarisce alcuni punti chiave, e soprattutto rimane piuttosto vago in merito alla non meglio specificata segnalazione che ha generato l’intervento a Gare de Lyon. Un piccolo giornale locale (1) della Franca Contea ci fornisce qualche dettaglio e qualche precisazione.

«Il treno partito da Venezia per Parigi, il Thello, è stato controllato questo giovedi mattina a Vallorba, in Svizzera, in prossimità di Pontarlier. Tra i passeggeri, 80 siriani, principalmente delle famiglie con figli, hanno spiegato al controllore che stavano fuggendo dal loro paese in guerra, la Siria. I viaggiatori erano tutti muniti di biglietto. La polizia di frontiera (PAF) ha segnalato questi profughi che sono stati attesi dalla polizia ferroviaria nella stazione di Parigi».

La nota è molto sintetica e parla di 80 siriani senza menzionare i minori (la valutazione è stata fatta evidentemente dai funzionari alla Gare de Lyon), in prevalenza di famiglie (che attesta comunque indirettamente la presenza di minori), tutti in possesso di un regolare biglietto. Puntualizza il fatto che la polizia di frontiera francese, che inizia i controlli sistematicamente ancora quando il treno si trova in territorio svizzero, ha segnalato la loro presenza alla polizia ferroviaria. Sarebbe dunque l’equivalente della nostra polfer ad essere intervenuta alla Gare de Lyon, probabilmente in collaborazione con altri funzionari (della PAF?).
La segnalazione è avvenuta in terriorio svizzero da parte dei funzionari francesi, ma questa sembra essere la prassi: i controlli iniziano prima del confine per permettere alle forze dell’ordine di intervenire per impedire l’accesso sul territorio nazionale a persone «non in regola con i documenti». E’ presumibile però che durante il controllo, che si svolge di norma mentre il treno cambia locomotore, in qualche decina di minuti nel bel mezzo della notte, non sia stato possibile far scendere dai vagoni quasi un centinaio di persone «in situazione irregolare» e si sia così optato per farli arrivare fino a Parigi. Se è vero che il gruppo di siriani ha spiegato «al controllore» di essere in fuga dal proprio paese e di essere, di conseguenza, in situazione di emergenza, dobbiamo immaginare che sia stato il personale del treno ad allertare i funzionari di polizia di frontiera.
A questo punto è utile chiedersi: come funzionano i controlli sul treno notturo Venezia-Parigi? Qual è la prassi nel caso in cui ci si imbatta in un viaggiatore «non in regola»? E cosa rende un viaggiatore «non in regola» ?

Il notturno

Il treno in questione è il Thello Venezia-Parigi: Thello è una società feroviaria privata che associa Trenitalia e Transdev, e che dal 2011 ha sostituito Artesia, vettore creato in partenariato tra SNCF e Trenitalia. Si tratta di un treno notturno che connette Parigi a Venezia e, da qualche mese, Roma. Il treno Venezia Parigi parte ogni giorno alle 19h20 da Venezia Santa Lucia, ferma a Mestre (19h32), a Padova (19h50), a Vicenza (20h13), a Verona (20h50), a Brescia (21h33) e a Milano (22h55). Da Milano muove verso nord e la Svizzera, passa il confine elvetico dopo Domodossola (dove si ferma per uno scalo tecnico ed il cambio di locomotore, e per le operazioni di dogana), piega ad ovest verso il Lago di Ginevra, risale verso Losanna ed arriva a Vallorba, dove si arresta per un altro scalo tecnico analogo al primo. La corsa riprende nella notte ed il treno arriva a Dijon alle 6h35, poi dritto fino a Parigi, dove entra in Gare de Lyon alle 9h30. Il treno permette di raggiungere Parigi dall’Italia settentrionale con una cifra relativamente modica: da Milano, stazione da cui si registrano il maggior numero di partenze, il prezzo per un biglietto per una data ravvicinata si aggira tra i 70 ed i 100 euro, ma con un buon margine di anticipo scende a 35 euro. Il prezzo abbordabile ed una politica dei controlli di frontiera meno rigida di quella aeroportuale lo rendono inevitabilmente un mezzo di trasporto altamente frequentato, che accoglie circa 600 viaggiatori distrubuiti in 12 carrozze.
Thello chiarisce sul suo sito internet, nella pagina dedicata alle formalità del viaggio, le caratteristiche del tragitto e le modalità dei controlli. Le riportiamo integralmente di seguito.

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Abbiamo volutamente selezionato la sezione «non sei cittadino di uno stato membro dell’Unione europea» per evidenziare le condizioni di trasporto a cui gli 85 siriani erano presumibilmente sottoposti e per capire la tempistica e la modalità dei controlli a cui avrebbero dovuto essere sottoposti. Ma per scrupolo, abbiamo cercato di raccogliere informazioni anche da chi su quel treno lavora o viaggia spesso, e che avrebbe potuto esserci quella notte.
Appare subito chiaro che la presenza di migranti a bordo è quasi normale, che gli stuart sono istruiti in merito alla collaborazione con le forze dell’ordine ma che tecnicamente il loro ruolo è semplicemente quello di verificare la validità dei titoli di viaggio, limitandosi a fornire i documenti alle forze dell’ordine quando queste ultime ne fanno esplicita richiesta.
Può capitare di assistere ad un controllo energico dei doganieri svizzeri, che salgono sul treno con tanto di cane antidroga e non esitano a tirare giù dalle cuccette interi vagoni; può succedere di assistere all’arresto di viaggiatori «irregolari» che vengono fatti scendere e rispediti indietro «con il treno che arriva nell’altro senso, come è accaduto poco tempo fa con 30 persone. Non erano tutte insieme, erano di paesi diversi. (Gli svizzeri) li hanno presi, li hanno fatto scendere e li hanno messi sul treno per l’Italia». Può anche capitare ad un passeggero di ritrovarsi a viaggiare tutta la notte con un ragazzo nascosto sotto il sedile. Di fingere di non vederlo per non essere eventualmente accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e di far scivolare con nonchalance una bottiglietta d’acqua sotto i piedi. E può capitare, come ci è stato raccontato, che qualcuno del personale di servizio, per arrotondare uno stipendo che non dev’essere esorbitante, abbia la brillante idea di fare un po’ di cresta vendendo sottobanco dei biglietti a qualche «viaggiatore irregolare» e finisca in garde à vue in Svizzera, accusato, lui si, di favoreggiamento. Insomma su questo treno succede di tutto, ma ultimamente il numero di questi «viaggiatori irregolari» a bordo, e di conseguenza l’intensità dei controlli da parte delle forze dell’ordine, sembrano essere aumentati.

Ci viene detto che la maggior parte delle persone che tentano questa “traversata” salgono a Milano. Apparentemente la fermata in questa stazione è un momento molto particolare durante lo svolgimento del servizio: 400/500 persone si riversano alle porte del treno in un lasso di tempo di 10 minuti circa. Il personale del treno si posiziona alle porte ed effettua un rapido controllo dei biglietti. Alcune volte, durante questa sosta, la polizia controlla i documenti. Ma è tecnicamente impossibile controllare ogni singola porta e diverse persone eludono i controlli per poi nascondersi all’interno del treno.
Partiti da Milano, gli addetti alle cuccette procedono alla verifica dei biglietti ed al ritiro dei documenti d’identità in ogni singola cabina. Capita che trovino persone nascoste nei bagni o che vagano per i corridoi, senza biglietto. In questo caso, sono tenuti a proporre loro l’acquisto a bordo; davanti ad un rifiuto o all’impossibilità di acquistare il biglietto, questi viaggiatori irregolari vengono fatti scendere alla stazione successiva (Domodossola).
Nel caso di passeggeri muniti di biglietto ma sprovvisti di documento, il personale è tenuto a prendere nota del loro numero di posto ed ha l’obbligo di comunicarlo alle varie polizie che salgono a bordo per i controlli di frontiera. Un cuccettista che non comunica questo tipo di informazioni è considerato complice delle persone in questione ed è perseguibile penalmente; pertanto il personale sembra fare molta attenzione a comunicare tutto con precisione. 
Il treno viene controllato successivamente dalle dogane di Italia, Svizzera e Francia. Gli agenti di dogana, oltre ad occuparsi dei viaggiatori senza documento, ispezionano tutti i passaporti, le carte d’identità ecc. I «clandestini» e le persone in possesso di documenti “sospetti” vengono fatti scendere e sono presi in custodia dai doganieri. Ma sembra che non sempre ci sia armonia di valutazione in questo senso: può succedere, infatti, che un individuo sia giudicato “regolare” ad un controllo e che poi venga giudicato sospetto a quello successivo.
Se questa è la prassi, c’è chi ammette che «la storia dei profughi siriani è un po’ strana. Così tante persone insieme non possono passare inosservate» Di fronte alla nostra supposizione, ovvero che si sia in qualche modo scelto di non vederli, cioé che queste persone siano state notate ma si sia deciso di non intervenire, riscontriamo un certo scetticismo: « Non credo che siano stati fatti passare; sarebbe incredibile. C’è da considerare che per una pattuglia di doganieri che effettua un controllo di routine, è materialmente impossibile, nonché rischioso, gestire una situazione di questa portata; credo che la polizia francese sia stata avvisata di cosa stesse succedendo ed abbia potuto organizzare l’intervento in condizioni più favorevoli».

Un’altra voce ci conferma la prassi del controllo dei biglietti ma specifica che gli stuart che raccolgono i documenti d’identità dei viaggiatori sono tenuti a consegnarli alle forze dell’ordine solo su loro richiesta. Un’altra ancora ci dice che i controlli dei doganieri e della polizia di frontiera non possono essere a tappeto, sistematici e su tutti i viaggiatori e che quindi la polizia si concentra su certi casi, certi documenti, e a quanto pare con certe preferenze, se è vero che «quando sono albanesi, per esempio, li controllano sempre». Ci sarebbe materiale per un reportage ad hoc, ci sarebbero storie da raccontare e traiettorie da seguire lungo il percorso di questo treno, che assomiglia in qualche modo a quello dei traghetti dell’Adriatico, tra Grecia ed Italia.

Ma non è quello che accade tutte le notti che ci interessa qui: o meglio, visto quello che sembra accadere tutte le notti, diventa ancora più importante capire cosa sia accaduto quella notte in particolare, come la presenza di 80 o 85 profughi siriani si sia manifestata sul treno solo alla frontiera franco-svizzera, e che nessuno prima abbia fatto attenzione ad un gruppo che rappresentava più di un decimo dei 600 passeggeri e che da solo poteva occupare un’intera carrozza.
Tenuto conto delle norme di comportamento del personale di bordo e della discrezionalità dei controlli dei funzionari di dogana e di frontiera, ma senza avere – per il momento – nessuna informazione precisa su come siano andate effettivamente le cose, possiamo solo immaginare alcuni scenari possibili. In primo luogo, se è vero che il gruppo di siriani è stato identificato nei pressi di Vallorba, significa che i controlli precedenti non avevano fatto segnalare nulla di anomalo.
Due diverse versioni ci dicono che il personale di bordo è tenuto a segnalare alle forze dell’ordine eventuali irregolarità con i documenti dei viaggiatori, l’una in modo quasi automatico, l’altra a partire dall’esplicita richiesta dei funzionari di polizia. La nota de l’Est republicain ci dice che il gruppo era munito di regolare biglietto: dunque il personale di bordo non ha dovuto procedere a nessuna azione formale nei loro confronti – far far loro il biglietto, farli scendere – e deve essersi limitato a raccogliere i documenti, ed eventualmente ad attestare la mancanza o la non validità di questi ultimi per l’espatrio ed il transito frontaliero, tra Italia e Svizzera prima che tra Svizzera e Francia. In effetti, si fa presente che il gruppo ha dichiarato ai controllori del treno di essere «profughi in fuga da proprio Paese», dunque potenziali richiedenti asilo.
Secondo le due versioni relative agli obblighi del personale del treno nei confronti delle forze dell’ordine, raccolte le informazioni concernenti il gruppo di siriani, i controllori devono o aver consegnato le informazioni ai funzionari di polizia o atteso che queste informazioni venissero loro richiese. Considerato che i controlli di frontiera sembrano essere sempre più frequenti e serrati lungo questa linea, in ragione di un aumento importante di «viaggiatori irregolari», ovvero di migranti che cercano di raggiungere la Francia sprovvisti dei documenti necessari, sembra piuttosto inverosimile che non ci sia stato durante il tragitto nessun rappresentate delle forze dell’ordine a cui comunicare le informazioni relative ad un gruppo di persone cosi rilevante, se non all’altezza di Vallorba. Certo, c’è una remota possibilità che,nè alla stazione di Milano, nè successivamente, le forze dell’ordine fossero presenti. Ma sembra più verosimile che le informazioni relative a questo gruppo di individui – difficile da non notare, come è stato ammesso – siano state formalmente comunicate ai funzionari di polizia, o che la polizia ferroviaria presente a Milano abbia constatato in qualche modo la presenza di un cospicuo gruppo di siriani mentre si imbarcavano – muniti di regolare biglietto e quindi senza cercare di sfuggire al filtro dei controllori – sul Thello. Si tratta di illazioni, di supposizioni che facciamo sulla base delle poche informazioni che siamo riusciti a raccogliere in merito. Ma in mancanza di informazioni ufficiali che raccontino la vicenda e la sorte di queste persone, non possiamo che limitarci a cercare, logicamente, una spiegazione, che si basi su una ricostruzione verosimile.

Abbiamo raccolto informazioni presso alcune persone che, pur non essendo state presenti ai fatti, hanno la preparazione e l’esperienza per fornirci alcuni dati essenziali, alcune spiegazioni che possono integrare il nostro ragionamento.
Non ci sono informazioni in merito, lo ripetiamo, la vicenda è passata completamente sotto silenzio: il gruppo di siriani sembra essersi materializzato alla frontiera franco-svizzera, essere stato scortato a Parigi, preso in consegna brevemente dai funzionari di polizia e successivamente disperso, di nuovo scomparso.

La passerella Italia

Mentre cerchiamo di fare luce sulla vicenda, non possiamo non ritornare con la mente a quanto accaduto nella primavera del 2011, durante la cosiddetta «emergenza nord africa», alla frontiera franco-italiana di Ventimiglia.

Genova, 30 marzo 2011 – “Se continua così è un disastro, servono dei respingimenti”, dice il Sindaco di Ventimiglia, Gaetano Scullino sottolineando che la situazione immigrati “non è più gestibile”, perchè la città ligure “è diventata un tappo, dopo che i francesi hanno intensificato i controlli ai valichi dei tunisini”.
Ieri, la trasmissione Ballarò, ha mandato in onda un servizio in cui si intervistato immigrati tunisini che cercavano, per lo più senza successo, di passare da ventimiglia alla Francia. Il sindaco, intervistato da Radio24, aggiunge poi: “Noi siamo come Lampedusa, fatte le dovute proporzioni. Il rischio è di vivere anche a Ventimiglia “un’emergenza turistica e socio-sanitaria: vanno fermati prima. Intravedo il rischio anche di una protesta della gente, perchè l’insofferenza è già alle stelle
“.

Allora la reazione francese era stata legata alla concessione straordinaria da parte del governo italiano di permessi straordinari, emessi con la malcelata volontà che i tunisini arrivati sulle coste italiane attraversassero il Paese e si dirigessero in Francia.

Proprio nella primavera del 2011, ad esempio, le barricate alzate dalla Francia alla frontiera di Ventimiglia contro i profughi tunisini sbarcati a Lampedusa, e la sospensione momentanea del regime di Schengen attuata dall’allora presidente Sarkozy, sembravano dire a gran voce alle istituzioni italiane di smetterla di gridare all’allarme al solo fine di ottenere soldi o dislocare i costi per l’accoglienza di un numero di persone pari, se non inferiore, a quello con cui la Francia e molti altri Stati Ue avevano a che fare ordinariamente. 
L’Italia, del resto, aveva concesso a quel tempo migliaia di permessi umanitari, tramite l’ennesimo decreto d’emergenza, nella speranza, apertamente dichiarata, che con quei fogli di carta in mano i profughi della rivolta dei gelsomini si dirigessero in massa oltralpe abbandonando il territorio italiano.
 In quel momento solo le decine di “treni della dignità” organizzati da attivisti antirazzisti italiani e francesi per permettere ai migranti di esercitare un diritto di scelta rispetto al proprio percorso e al proprio futuro, e la resistenza di movimenti come quello dei “tunisini di Lampedusa a Parigi”, hanno cercato di squarciare la cortina di ipocrisia che regolava il gioco delle parti tra la Francia e l’Italia.

In questi mesi l’emergenza umanitaria legata alla sorte di centinaia di migliaia di profughi siriani non ha – ancora – raggiunto il livello di guardia di quella generata dalla primavera araba del 2011. La stessa gestione dell’accoglienza dei profughi siriani sembra essere organizzata in modo più strutturato e centralizzato, secondo i dettami dell’ACNUR, come abbiamo visto per la Francia. Ma dell’Italia in questo scenario non c’è notizia.
Purtroppo, tuttavia, le dinamiche di mobilità umana legata a situazioni di crisi e di conflitto non corrispondono mai alla volontà onusiana e statale, umanitaira e politica, di calmierarle, di gestirle secondo parametri e quote negoziate e decise a tavolino. Rispondono ad esigenze etiche, umane, relazionali, che trascendono queste logiche politiche ed i loro corollari gestionari ed economici.

Ammesso e non dimostrato che in qualche modo sia sia deciso di lasciar transitare verso la Francia – senza parlare qui della Svizzera e delle sue recenti abominevoli prese di posizione in merito alla presenza di stranieri sul suo territorio – questo gruppo di 85 siriani, questa vicenda non racconta di esplicite tensioni politiche e diplomatiche transfrontaliere in materia di migrazione. Mostra piuttosto, in maniera drammaticamente lampante, l’incapacità strutturale delle istituzioni di far fronte a dinamiche che annichiliscono la loro rigida normatività. Se quanto accaduto a Parigi mostra come non ci sia né la capacità né la volontà di risolvere situazioni di questo genere, e si preferisca ricorrere all’applicazione becera delle norma, con le conseguenze che essa implica (la consegna del foglio di via, il successivo respingimento alla frontiera tedesca, ecc.), la vicenda sul versante italiano comporta un altro tipo di riflessione.
Perché «li avrebbero fatti passare»? O, se non volessimo ipotizzare una qualche volontarietà, perchè questa leggerezza nei controlli, mentre da ogni lato si grida all’allarme invasione, e Alfano di nuovo millanta l’arrivo di centinaia di migliaia di migranti sulle coste italiane?
Perché probabilmente, proprio a partire dall’emergenza nordafrica del 2011, il sistema di accoglienza di migranti e richiedenti asilo è andato progressivamente allo sbando, e forse «conviene» non preoccuparsi troppo di chi – arrivatoci perché non poteva fare altrimenti – cerca di lasciare il paese, pur di non doversene in qualche modo farsene carico. La gestione dell’accoglienza da parte della Protezione civile, che ha legittimato una «terza via» oltre ai CARA e alla rete SPRAR, e la conseguente dilagante privatizzazione della stessa, si è rivelata più un business per gli enti interessati, in grado di speculare vergognosamente sulla pelle dei migranti accolti, che una reale alternativa.
Se l’emergenza nordafrica aveva mostrato da subito i limiti ed i vizi di questa logica gestionale, con casi di flagrante speculazione, l’evoluzione di questo sistema non ha fatto altro che legittimare dinamiche di sfruttamento, da un lato, e dall’altro accentuare casi di colpevole incuria, riproponendo ancora una volta un circuito di accoglienza improvvisato ed emergenziale.
Perché da mesi si moltiplicano i casi migranti e richiedenti asilo che abbandonano dopo pochi giorni le improvvisate strutture di accoglienza in cui vengono trasferiti e non c’è da stupirsi se invece di rimanere a sopravvivere in condizioni precarie e di irregolarità amministrativa in Italia, provino ad andarsene altrove. L’Italia, a dispetto del regolamento Dublino, è sempre stata considerata dai migranti poco più di una passerella, e chi è rimasto l’ha fatto spesso facendo buon viso a cattiva sorte. Se poi un treno notturno ed una polizia di frontiera sbatada lo permettono, perché non provare ad andarsene?

Una notizia Ansa dello scorso agosto riporta il caso di un altro gruppo di siriani respinto dalla polizia di frontiera austriaca mentre cercava di lasciare l’Italia su un treno diretto ad Innsbruch: 25 persone, 5 uomini 5 donne e 15 bambini. Probabilmente anche loro con regolare biglietto. La situazione è analoga, il fatto meno eclatante visto il numero complessivo di persone interessate. L’epilogo è diverso, perché il gruppo di 25 è stato intercettato e rispedito indietro, mentre gli 85 della scorsa settimana sono arrivati fino a Parigi.

Le prime informazioni che ricaviamo incrociando queste diverse vicende, confrontando i dati e cercando qualche conferma presso persone relativamente informate dei fatti, è che lungo tutte le frontiere italiane, con Francia, Svizzera ed Austria, si assiste ad un’intensificazione dei tentativi di espatrio e di transito da parte di cittadini «non europei», provvisti o meno di biglietto, richiedenti asilo o persone in condizione di irregolarità amministrativa in Italia; che la presenza di siriani aumenta in modo esponenziale, e che spesso a cercare di transitare sono intere famiglie; che notte dopo notte, sul Thello come su altri treni, si procede a controlli e a respingimenti, in modo informale e senza clamori. Le persone senza biglietto vengono fatte scendere, le persone con i documenti non in regola vengono fatte scendere e rispedite indietro. Certo, è sempre possibile nascondersi in bagno, ma sembra abbastanza improbabile che un gruppo di 85 persone, famiglie con bambini, sia riuscito a eludere i controlli. E non avrebbe senso farlo, avendo pagato un biglietto (per una cifra complessiva non irrisoria) ed avendo un posto assegnato.

Il sospetto che non si tratti di sviste o della mancanza di controlli della polfer e delle dogane italiane ci viene da una mezza frase captata da uno dei nostri interlocutori durante il respingimento di 30 migranti citato in precedenza: la dogana svizzera pare abbia arrestato, sullo stesso treno, 30 ragazzi di nazionalità ed origini diverse, tutti saliti presumibilmente a Milano, tutti fatti scendere e rimessi sul treno che viaggiava in direzione opposta: «adesso basta» pare abbiano inveito gli svizzeri agli italiani, «basta farne passare, adesso ve li riprendete». Chi ce l’ha raccontato ne parla con un certo distacco, probabilmente perché si tratta di una prassi normale, e di una tensione costante tra le diverse forze dell’ordine, che si ripresenta ogni notte, che si acuisce e si smorza dopo ogni retata, ogni controllo, ogni respingimento.
Ci sono i controlli, dunque, ma pare ci sia anche una certa propensione delle forze dell’ordine italiane a lasciar passare, in modo più informale di quanto fatto nel 2011 : un modo per « sfiatare » la millantata insostenibile pressione di migranti in Italia? Un modo per riequilibrare informalmente gli squilibri generati dalla logica Dublino? Guardando i numeri, non si direbbe che l’Italia accolga più migranti e richiedenti asilo di altri paesi.

Piuttosto sembra di essere di fronte all’amara constatazione ad un’incapacità strutturale di far fronte ad una situazione critica che viene raccontata come emergenziale ma è ormai una costante strutturale: alla volontà di non affrontare organicamente il problema ma di affidarsi a soluzioni improvvisate, a sotterfugi e a violazioni più o meno eclatanti degli accordi e del diritto internazionali. E questa vicenda, con l’ennesimo tentativo di lasciare l’Italia per chiedere asilo e protezione altrove, racconta della condizione inqualificabile in cui si trova la gestione dell’asilo e dell’accoglienza di migranti nel nostro paese.
Mentre si moltiplicano i casi di denunce e di inchieste per casi di truffe e speculazioni da parte dei gestori privati dell’accoglienza, che gonfiano i numeri e non garantiscono le condizioni minime di ospitalità, aumenta progressivamente il numero di persone che, volontariamente o meno, si ritrovano abbandonate a loro stesse ed in condizioni di precarietà esistenziale (sanitaria, sociale, economica..), sottraendosi spesso a misure di accoglienza più degradanti e umilianti di quelle di una sopravvivenza inventata, aggrappati a reti di sostegno informali. Non c’è da stupirsi che in molti cerchino accoglienza ed aiuto altrove. Stupisce che le forze dell’ordine lascino fare, non perché improvvisamente convertiti alla logica della libertà di circolazione e di movimento per tutti, ma come testimonianza di impotenza, e come rinuncia al loro ruolo di tutori dell’ordine, che prima di occuparsi di retate denunce ed espulsioni avrebbero il dovere e l’obbligo di soccorrere cittadini e non cittadini, persone in difficoltà, persone che chiedono aiuto. La soluzione invece sembra ormai quella di voltarsi dall’altra parte.