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Lampedusa – L’abbraccio in fondo al mare: il video dei migranti affogati con il relitto

La Repubblica diffonde in esclusiva le immagini girate dai sommozzatori nelle acque intorno all'Isola dei Conigli. Quanto è facile emozionarsi quando i rifugiati sono lì

Repubblica diffonde in esclusiva le immagini dei soccorsi. I sommozzatori avvicinano il relitto e si vedono diversi cadaveri che sono andati a fondo con il barcone. Due di loro sono abbracciati.

A cura di Giusi Spica: ecco alcuni dei video girati dai sommozzatori delle forze dell’ordine, durante le operazioni per il recupero delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, la più grande tragedia dell’immigrazione nel Mediterraneo.
Si tratta di immagini durissime che mostrano il relitto pieno di cadaveri intrappolati in fondo al mare: ne proponiamo solo una parte, il valore è quello di un documento storico, di una tragedia quotidiana che l’Europa fa finta di non vedere.
Il barcone con a bordo i migranti provenienti da Eritrea, Somalia e Ghana si ribaltò a pochi metri dall’isola dei Conigli. Il bilancio fu di 366 morti (41 minori), 20 dispersi e 155 superstiti. Ciascuno di loro aveva pagato tremila dollari per il passaggio ai trafficanti.

L’orrore in fondo al mare. Ecco come muore un migrante
di Attilio Bolzoni, Repubblica.it

Guardate cosa c’è oltre le nostre parole, i nostri articoli, le storie che raccontiamo ogni volta che s’inabissa un barcone. Guardate questi corpi che si abbracciano, in fondo al mare. È tutto quello che resta di loro. Corpi. Su uno sfondo azzurro, bello, dove intorno sembrano nuotare anche i pesci o forse sono solo piccole boe trascinate giù dalle correnti.

Guardate e poi ripensate alle parole: naufragio, migranti, Mediterraneo. Scivolano così velocemente che neanche ce ne accorgiamo, le ripetiamo o le scriviamo sempre il giorno dopo, un reportage, un titolo, un numero – 120, 285, 366 – che riferisce la portata della “tragedia”. È un’altra di quelle parole: tragedia, tragedia del mare. Ci siamo abituati, siamo addestrati a riportare con dovizia di particolari le dinamiche degli affondamenti, ogni dettaglio curioso, ci siamo specializzati nel ricostruire le vite degli altri che non ci sono più.

Khaled del Marocco che ha perso il figlio al largo di Zarzis, Samir che si è salvato fra Cala Creta e Cala Croce, la ragazza somala senza nome che ha partorito mentre moriva a poche miglia da Porto Empedocle. È diventata la nostra normalità, siamo noi l’Italia che ha imparato tutto sui migranti che affogano e su come affogano, sappiamo da dove vengono e dove vogliono arrivare, quali sono i loro sogni, cosa hanno lasciato. Sappiamo tutto di loro. In molti proviamo pietà, alcuni provano o dicono di provare fastidio. In molti soffriamo, altri s’incazzano perché sono morti qui, proprio qui da noi, in quell’Italia che non li vorrebbe mai né vivi e né morti. Politicamente corretti e politicamente scorretti, pregiudizi, ideologie, razzismi, stupidità che diventa malvagità. E c’è chi prega, chi dichiara, c’è chi promette e chi minaccia.