Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Martina Bernabai

Melilla – La verità sulla frontiera della menzogna

Intervista a José Palazon, attivista e presidente dell’associazione Prodein

Ci rechiamo a Melilla, per conoscere la realtà di questa città di frontiera. Una buona maniera per farlo è senza dubbio parlare con José Palazon, attivista e presidente dell’associazione Prodein, una delle poche entità che, dalla fine degli anni ’90, è in prima linea per la difesa delle persone migranti e dei loro diritti. Lotta vincolandosi ai migranti, lotta con loro gomito a gomito, denunciando le politiche migratorie che definiscono chi ha diritto ad avere diritti e chi no. Le stesse politiche migratorie che, attraverso leggi escludenti, frontiere (fisiche e simboliche), retate delle forze dell’ordine basate su profili etnici e razziali, centri di detenzione per stranieri (CIE) e deportazioni massive costruiscono la Fortezza Europa. Un altro obiettivo dell’intervista è quello di immaginarsi come poter articolare possibili risposte collettive a tali problematiche, anche al di fuori di Melilla.

Come comincia il cammino di Prodein?
Nel ’98, con i minori che arrivavano e che cominciavano ad apparire nelle strade e nella spiaggia della città. Dopo aver costituito l’associazione, è iniziato il cammino della denuncia, legale e mediatica. In seguito abbiamo ampliato il nostro ambito di lavoro, che ora ha a che vedere non solo con i minori, ma anche con persone anziane e con tutti coloro che si ritrovano a vivere in strada; non solo migranti, ma anche spagnoli e residenti. Occupiamo uno spazio che nessuno vuole occupare, uno spazio che è vuoto… É lo spazio malvisto, delle cose che non si possono fare e in definitiva delle persone che vivono in strada.

Se immaginassimo la stratificazione sociale a Melilla come un piramide, facendo riferimento anche agli elementi di razza, genere e classe sociale, come sarebbe?
Il livello superiore è costituito dai politici. Questa classe, un po’ più in basso di quella dei funzionari è formata in maggior parte da europei e cristiani, con la presenza di qualche musulmano. Dopodiché c’è il cittadino spagnolo medio, che non ha nessuna carica speciale e che sta vivendo i gravi effetti della crisi, come dappertutto. I cittadini medi sono cristiani, musulmani, europei e nordafricani. I musulmani si trovano un po’ al di sotto della media a causa dell’esclusione che li caratterizza da sempre, per questo hanno un livello formativo inferiore alla media.
Vi sono poi gli immigranti dei CETI che, per lo meno, possono accedere al sistema sanitario della struttura, i bambini possono andare a scuola; queste persone, anche se non hanno la possibilità di lasciare liberamente l’enclave, possono per lo meno accedere ad alcune prestazioni sociali minime.
Infine vi sono gli indocumentati, coloro che non possiedono nulla; si tratta di circa 20.000 persone che non hanno nemmeno di che mangiare. Vivono nella sicurezza di non potere essere espulsi dalla città, però vivono nella povertà assoluta.

A Melilla vi sono circa 20.000 indocumentati, coloro che non possiedono nulla, persone che non hanno nemmeno di che mangiare

Come si spiega che a Melilla vi siano 20.000 persone senza documenti?
Spesso furono i nonni ad essere tra i “regolari” perché parteciparono alla guerra di Spagna con Franco, e ora stiamo parlando dei nipoti. Non è il nipote ad essersi introdotto in Spagna, ma il nonno. Ci sono persone che vivono qui da 30 anni, da quando avevano 5, 6, 11 anni, le quali dovrebbero avere almeno un documento per la residenza.. la casistica è tremenda, c’è di tutto.

E le normative spagnole?
Qui non si compiono. Qui a Melilla, l’arraigo*, che richiede tre anni, viene negato direttamente. Secondo le famose regolarizzazioni in Spagna, puoi dimostrare l’arraigo presentando dei semplici biglietti dell’autobus. Qui non puoi dimostrare l’arraigo in nessun modo. Anche se presentassi 1.000 biglietti d’autobus e venissero 50 vicini a testimoniare che ti conoscono da tutta la vita te lo negherebbero. Qui non puoi avere l’empadronamiento** senza la residenza, però per avere un permesso di residenza devi essere registrato al padrón. Allo stesso tempo vi sono moltissimi politici marocchini di questa zona, come sindaci o poliziotti, che hanno la residenza fissa a Melilla, o addirittura la carta d’identità melillense. Fanno quello che gli pare.

(*) Letteralmente “radicamento”, una procedura, non paragonabile a nessuna norma italiana, per cui uno straniero può richiedere il permesso di soggiorno dimostrando di risiedere da almeno tre anni in Spagna, di avere vincoli familiari (arraigo social) e di possedere al momento della presentazione della richiesta un contratto di lavoro (arraigo laboral)
(**) Ovvero la registrazione presso il municipio di appartenenza (padrón)

Come si riproduce la frontiera dentro la città?
La frontiera non è solo la recinzione di filo spinato, la frontiera continua all’interno della città. Esiste la frontiera di filo spinato ed esiste la frontiera amministrativa e politica. I migranti sanno saltare quella di filo spinato, e lo fanno, ma non possono saltare le frontiere amministrative. Quando entrano a Melilla rimangono in “stand-by”; perdono l’orientamento, perdono il cammino, non sanno dove andare, perché non si tratta più di spostarsi, ma di saltare una frontiera che loro non possono attraversare. Si convertono in un numero. La polizia gli assegna un numero, dopodiché entrano al CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes) dove gli viene assegnata una tessera con un numero. Sono, a tutti gli effetti, un numero. A volte rimangono in questa condizione per dei mesi, altre per degli anni, senza essere nessuno.


I migranti sanno saltare il filo spinato, e lo fanno, ma non possono saltare le frontiere amministrative

Quello che succede in una città così piccola, di circa 80.000 persone, può riflettere ciò che sta accadendo nella penisola spagnola, come reagisce la società melillense davanti alla pressione che si verifica alla frontiera?
La società risponde in modi diversi, a livello personale e a livello individuale. La maggior parte delle persone, se può, aiuta i migranti, non lo fa però “pubblicamente”. In generale capiscono la situazione della persona migrante. In ogni angolo delle città, c’è qualche africano che lavora pulendo le macchine o che aiuta le signore più anziane a portare la spesa a casa, la gente spesso gli lascia le chiavi della macchina, immagino che questo non accada in qualsiasi città della penisola… Gli lasciano da mangiare, gli lasciano vestiti, aiutano come possono. A volte quando hanno cercato di espellere un subsahariano che lavorava in un quartiere particolare, l’interno quartiere si è mobilizzato perché ciò non accadesse e ci sono riusciti.
Poi c’è il “subsahariano invasore”, quello di cui parlano i politici, quello che salta la recinzione di frontiera. Così quando si sente parlare di un subsahariano, ti diranno che ci stanno invadendo: questa è la propaganda, è lo slogan politico. La gente poi, a livello personale, dimostra tutto il contrario: “Che bravi! Che bravi ragazzi”. Questo accade con i subsahariani, con gli arabi è diverso: esiste un razzismo dovuto alla prossimità che comanda anche le relazioni personali, di loro non si fidano, non lascerebbero mai le chiavi della macchina a un arabo.
Nonostante la politica del governo, che li connota come violenti, come degli invasori, quando il livello di violenza cresce, qui in città si nota. Perché si vedono i ragazzi correndo per i diversi quartieri, per il centro, sanguinando, piangendo, e quando questo succede le persone cambiano comportamento. Se la violenza raggiunge questi livelli e diventa evidente, allora la gente inizia a reagire in un altro modo: smette di parlarne male, smette di parlare di un’invasione, del “questo non può essere”, e si avvicina ai ragazzi, che scappano, sanguinano. Iniziano ad aiutarli, a condurli fino al commissariato per dire ai funzionari della Guardia Civil: “Lascialo stare!” e diventano parte della contro violenza. Però tutto ciò succede solo a partire da un certo livello di violenza, alto e visibile.

Ultimamente si è sentito parlare delle cosidette “devoluciones en caliente”, i rimpatri immediati, perché il governo le vuole legalizzare. In che cosa consistono?
Si stanno verificando devoluciones en caliente nei confronti dei migranti che saltano la frontiera, nonostante vi siano dei procedimenti precisi per mandarli via dalla Spagna. Vi sono alcune garanzie marcate dalla Costituzione, dal diritto comune e dalla legge sull’immigrazione, c’è un protocollo amministrativo e giudiziale. Nonostante questo, gli accordi con il Marocco, che sono illegali, costituiscono uno strumento per espellere rapidamente i migranti. Dovrebbero incorporare per lo meno dei requisiti minimi, quelli che la Spagna ha sottoscritto firmando vari accordi internazionali. Prima di tutto è necessario assicurarsi chi siano queste persone, verificare la loro nazionalità e dargli l’opportunità di parlare e spiegare la propria situazione. Per questo è necessario un interprete e, nel caso in cui, il migrante sia detenuto, quest’ultimo deve poter accedere all’assistenza legale, in quanto nel caso che non la riceva si tratterebbe di una detenzione illegale. Si tratta di un processo rapido, che però deve essere compiuto. Una devolución en caliente significa prendere una persona ed espellerla dal paese, anche se è ferita o incosciente. Si tratta di una barbarità.

Quest’estate un giudice locale ha imputato il colonello della Guardia Civil di Melilla a causa delle “devoluciones en caliente”. Da dove nasce quest’imputazione?
L’imputazione nasce da alcuni rimpatri immediati avvenuti durante il mese di agosto, dopo le quali abbiamo presentato una querela. Il giudice ha richiesto una serie di documenti, tra i quali anche l’ordine di servizio, che è l’ordine di funzionamento che viene consegnato agli agenti della Guardia Civil che prestano servizio alla frontiera. Il giudice ha riconosciuto che il contenuto di quest’ordine è palesemente illegale. L’imputazione è quindi per prevaricazione, cioè per aver ordinato l’espulsione dei migranti pur sapendo che non era possibile.

Cos’è successo esattamente ad agosto?
Il 18 agosto, presso la frontiera di Mari Guari, all’interno del territorio spagnolo, è stata registrata e ripresa la condotta della Guardia Civil. Quel giorno vi erano molti migranti nella zona entrevallas (la zona che si trova tra le tre barriere che costituiscono la frontiera, ndr) ed alcuni funzionari della polizia spagnola, ma soprattutto moltissimi militari marocchini, che li colpivano con bastoni. Nel video si vedono perfettamente come avvengono i rimpatri immediati e come vengono espulsi migranti feriti e incoscienti.
Verso la fine di agosto c’è stato un altro caso di devoluciones en caliente, per il quale ho presentato denuncia, e alla quale ho allegato materiale audiovisivo. Il giudice, di propria iniziativa, ha allegato a sua volta questa denuncia alla precedente querela, trattandosi di un fatto della stessa natura. La querela è quindi il risultato di due tentativi di entrata, durante i quali si sono verificate le stesse circostanze.

Hai fiducia nella giustizia?
Il processo va bene, il giudice lo sta affrontando in maniera molto professionale, sta andando avanti e sta richiedendo diversi documenti, diversi da quelli che stanno richiedendo gli avvocati delle associazioni che hanno presentato la querela. Però a prescindere da come andrà la sentenza, ci sarà un ricorso e il processo passerà ad un altro giudice… Il processo si allungherà e diventerà eterno, però spero che vada bene, che sia fatta giustizia. Inoltre l’indagine sarà molto lunga, se il giudice vorrà sciogliere tutti i nodi della questione si renderà conto che, evidentemente, il colonnello non è l’unico implicato: il colonnello conferisce degli ordini, però allo stesso tempo obbedisce a delle istruzioni che vengono dall’alto. In definitiva si tratta di un problema di ordini politici e di mancanza di un codice etico tra le persone che compiono tali istruzioni.

Cosa succede quando la Guardia Civil espelle i migranti e li consegna all’esercito marocchino?
Ora non li deportano più nel deserto, ma li lasciano in diverse città marocchine: Rabat, Casablanca o Fez. Li prelevano, li introducono in un autobus e li lasciano lì. Prima, li portavano in Algeria, ma ora le relazioni tra l’Algeria e il Marocco sono pessime. Gli algerini non ammettono più che si abbandonino migranti nel proprio deserto. Inoltre il Marocco ha avviato un processo di regolarizzazione per le persone straniere in modo tale da mostrare un’altra faccia, distinta da quella che mostra quando commette queste bestialità. Una delle misure che ha adottato è proprio quella di non abbandonare più i migranti nel deserto e condurli nelle grandi città in modo tale che i migranti possano accedere agli uffici per la regolarizzazione. Però il cambio è minimo, i migranti riprendono immediatamente il cammino verso Ceuta e Melilla.

Perché ritieni che non si compiano i requisiti minimi sul ritorno di cui parlavi?
Per la stessa ragione per cui gli agenti marocchini e spagnoli li picchiano e gli spezzano le braccia.
Per il fatto che non venga dato nessun tipo di documento ai minori non accompagnati, così come per molte altre cose che succedono a Melilla. Si tratta di lanciare un messaggio: qui non c’è posto per te, qui non vali niente perché non sei nessuno, non hai diritti, né sei di qui. È una maniera per dire: “Vedi? Ti hanno rotto una gamba, non tornare mai più”.

C’è una relazione con il fatto che i procedimenti d’espulsione possano diventare molto lunghi?
No, perché i migranti che entrano sono molti, e quelli che saltano la frontiera non sono un problema, rappresentano solo il 20% delle persone che entrano a Melilla. Si pone in evidenza la frontiera perché è un tema sensazionalista e scandalistico. All’interno dell’Unione Europa, tutti pensano che vi sia una vera e propria invasione, quando ogni anno saltano la frontiera solo 500 o 600 persone delle 3.500 che entrano a Melilla. Il resto delle persone entra pagando e lo fa attraverso la frontiera di Beni Enzar. Questo è quello che dovrebbero spiegare le autorità: la mafia è là. Il punto è che non vogliono riconoscere di non essere in grado di poter controllare una frontiera internazionale di 50 metri, l’unica che divide l’Europa dall’Africa, perché non sono capaci di porre un freno alla corruzione. Quindi rivolgono i riflettori sulla barriera. D’altra parte perché Spagna e Marocco assumono lo status di polizia dell’Unione Europea? Cercano di fomentare un clima di paura attraverso l’idea che i migranti ci stanno invadendo. Il numero dei migranti che arrivano a Melilla è lo stesso, addirittura più basso di quelli che arrivano a Lampedusa in una settimana… e guarda il problema che si sta creando qui.

Si pone l’attenzione sul confine per dare l’idea di una invasione ma ogni anno saltano la frontiera solo 500 o 600 persone delle 3.500 che entrano a Melilla

C’è qualche similitudine tra la situazione che si vive qui e quella che si vive a Lampedusa?
No, non si può comparare. All’inizio c’è stata molta resistenza in Italia nell’accogliere tutti quei migranti. Però, dopo il richiamo dell’UE, l’Italia ha reagito, ed ha reagito all’epoca del governo Berlusconi, un governo duro. Diversamente il governo spagnolo non reagisce, non solo alle critiche che sta ricevendo dal Consiglio europeo e da Cecilia Malmström in persona, ma di tutte le organizzazioni importanti, interne ed esterne.
Hanno da poco negato la direzione di Frontex a uno spagnolo, perché se la Spagna non compie le leggi, uno spagnolo non potrà mai coprire quel posto. Nel frattempo il governo continua a dare prova della propria forza, dicendo che continueranno su questa linea. Vendono il problema in modo tale da continuare ad assumere il ruolo di polizia dell’UE, altrimenti di che parlerebbero al parlamento europeo? Non c’entrano nulla, così almeno possono avere il ruolo di polizia.

Uno dei fattori che ha permesso il cambio di cui parlavi a Lampedusa è stata la solidarietà della società verso i migranti. Cosa manca a Melilla?
A Melilla sarebbe necessario che scomparisse immediatamente la casta che governa, perché è la più disastrosa che esiste in Spagna al momento, c’è una casta disastrosa dappertutto, ma qui c’è il peggio del peggio. Il sindaco di Lampedusa, dopo il naufragio del barcone avvenuto il 3 ottobre 2013 in cui sono morte tantissime persone, è stato il primo a dire “Basta, così non si può continuare, bisogna risolvere questa situazione, dobbiamo andare a salvarli perché stanno morendo in mare”. Il sindaco di Melilla ogni volta richiede più soldati e una frontiera più alta. Mentre a Lampedusa salpano per salvarli in modo tale che non gli succeda nulla, qui il comportamento è totalmente diverso: l’uso della violenza è sistematico, in modo tale che non entrino. Questo accade per l’essenza fascista della classe politica di questa città. Vogliono lanciare un messaggio: “qui no”. E lo fanno a qualsiasi costo.

Da poco, la Corte Europea per i Diritti Umani ha condannato l’Italia per alcune espulsioni collettive avvenute nel 2009. Perché qui non accade la stessa cosa?
La Spagna non ha riconosciuto l’esistenza dei respingimenti fino a marzo di quest’anno. Ora non può continuare a negarli perché vi sono troppe prove e si sta cominciando ad affrontare il problema. La risposta è lenta, però almeno esiste.

Il governo afferma che tale pratica è legale, tuttavia Rajoy ha dichiarato di voler riformare la legge per legalizzarle. A cosa si deve queste contraddizione?
Il governo va alla deriva con questo tema. L’unico fattore chiaro è l’applicazione della violenza alla frontiera ma questo non cambia. Riguardo al resto il governo va a tentoni, ora dice di si, poi no, cambiando tattica. Prima è la Guardia Civil a colpire i migranti. Poi, quando questa riceve critiche, sono i soldati marocchini a colpire. Quando i soldati marocchini ricevono alcune critiche, non vogliono più colpire a loro volta. Insomma, vanno a tentoni, cercando di salvarsi in extremis. E non possono nascondere ciò che è evidente, cioè che ciò che compiono è illegale e che la violenza è totalmente arbitraria. Il problema non sono i migranti che arrivano a Melilla, il problema sono loro, senza ombra di dubbio.

In che modo la questione potrebbe arrivare all’Unione Europea o alla Corte Europea per i Diritti Umani?
È già arrivata. Il Consiglio europeo ha già dichiarato che la Spagna deve smettere di procedere in questo modo, altrimenti verrà penalizzata, Lo ha detto il presidente per i Diritti Umani del Consiglio europeo, lo ha detto Cecilia Malmström. Per esempio una delle prime misure che hanno adottato è stata quella di vietare a uno spagnolo l’accesso alla direzione di Frontex -che era il favorito- dichiarando che finché il governo spagnolo non compirà la normativa europea non potrà esservi uno spagnolo alla direzione. Questo è solo la prima misura adottata, sono convinto che ce ne saranno molte altre. Presto la Spagna resterà isolata dall’Unione Europea e dall’ambito internazionale, così come lo è stata durante l’epoca di Paquito (Franicsco Franco, ndr).

Per concludere, hai pubblicato una fotografia, dove appaiono alcune persone giocando a golf mentre sullo sfondo un gruppo di migranti cerca di sperare la frontiera, che ha avuto molta eco nei mezzi di comunicazione. Cosa ti suggerisce questa foto e come l’hai scattata?
Credo che mi suggerisca le stesse sensazioni che ha la maggior parte delle persone. La foto mostra il contrasto tra le due parti della frontiera. È un’immagine che tocca la coscienza di tutti, per quello che non facciamo o che non vogliamo vedere, per paura, per non complicarci la vita e restare coinvolti, per pura indifferenza verso gli altri… la foto mostra ciò che tutti odiano, una situazione contro la quale spesso non ci mobilitiamo, né noi né le istituzioni europee. Mostra tutto ciò che fa male, le differenze e l’indifferenza che proviamo verso gli altri. Ha avuto eco perché è come uno schiaffo. L’immagine ti pone davanti a una domanda: “E tu? Non stai facendo niente?”.