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La storia di Said

Quella che sta per essere raccontata è una storia triste, ma non ancora conclusa. Una storia di cui si ignora titolo e finale

Quella che sta per essere raccontata è una storia triste, ma non ancora conclusa. Una storia di cui si ignora titolo e finale. Eppure indicativa di una situazione italiana complessivamente sempre più precaria, di un sistema che fa acqua da troppi punti di vista.
Il protagonista di questa storia si chiama Said, 26enne nato a Settat, in Marocco, e giunto in Italia da oltre una decade. Il suo approdo a Montefusco, piccolo borgo irpino sito in provincia di Avellino, è stato segnato da mille difficoltà e peripezie. Ciononostante, Said è stato accolto da quello che in breve sarebbe divenuto il suo popolo con calore e rispetto. Nel giro di pochi anni è riuscito ad inserirsi nella società montefuscana, divenendo parte integrante della gioventù del luogo e collaborando a numerose iniziative di carattere sociale, ricreativo e culturale.

Gli aspetti della sua personalità che da sempre lo hanno contraddistinto sono rappresentati dal suo acume intellettuale, dall’onestà e dalla spiccata propensione a relazionarsi; tutte qualità che gli hanno permesso di inserirsi nel tessuto sociale senza intoppi. Ma la congiuntura economica che ha investito il nostro Paese, continuando a mietere vittime tra il popolo, non poteva risparmiare neanche lui, specie in considerazione del fatto che gli extracomunitari sono storicamente bistrattati e relegati ai margini della nostra società.

Tuttavia, Said non si era mai dato per vinto. Aveva trovato la forza per barcamenarsi all’interno di una situazione personale nefasta, costellata di problemi che si accumulavano giorno dopo giorno. Said non era uno di quelli che si lasciava sovrastare dal contesto, né tantomeno dagli altri. Lui non chiedeva nient’altro che rispetto, in egual misura con cui lo manifestava agli altri. Non sottostava agli ordini come l’ultimo degli schiavi e non pretendeva di essere trattato come un privilegiato. Semplicemente voleva sentirsi al pari dei suoi simili. La sua forte personalità è stata spesso fonte di problemi. Sul posto di lavoro talvolta è stato allontanato per negligenza o per discordanze, vero; eppure non si è mai risparmiato.

Nonostante le false promesse di una regolarizzazione che col passare dei mesi diveniva sempre più una chimera, Said non si è dato per vinto. Ha provato a risolvere i suoi problemi, riflettendo, razionalizzando, sperando, tirando avanti, campando di espedienti. Fino all’ultima sofferta decisione. Non intravedendo spiragli di risoluzione di uno stallo che perdurava da anni, Said ha deciso di autoconsegnarsi ai carabinieri. Forse pensava fosse l’unica alternativa rimasta, forse semplicemente non ne aveva più.

Oggi Said si trova al CIE (Centro Identificazione ed Espulsione) di Bari Palese, dove è stata avviata la procedura della sua espulsione come consueta prassi per extracomunitari irregolari. Ciò vorrebbe dire che è in procinto di essere rispedito in Marocco. Ma non è questa la sua volontà. Chi è in contatto con lui assicura che il suo gesto è stato il risultato di uno stato emotivo fortemente turbato a causa della sua situazione perennemente precaria. Chi lo conosce è pronto a scommettere che Said voglia fare ritorno al più presto a Montefusco. Attualmente è tutto nelle mani
del legale d’ufficio, garantito dal centro stesso ai suoi internati. A detta di quest’ultimo qualcosa si può ancora fare per evitare l’espulsione. E ovviamente i compaesani di Said non stanno a guardare. I contatti con il suo avvocato sono frequenti e costanti, la mobilitazione è nell’aria e a breve verrà presentata una maxi petizione che, stando alle previsioni, raccoglierà oltre 700 firme.

La petizione, che recherà anche le firme degli amministratori montefuscani, intende far leva sulla volontà del comune di riaccogliere tra le proprie mura Said, oltre a fungere da riprova che il ragazzo è sempre stato perfettamente integrato e ben voluto dalla società. Sarà una corsa contro il tempo. La pratica per l’espulsione ha (stranamente, considerando la lentezza della macchina burocratica italiana) tempi brevissimi: si parla di circa un mese. Un mese soltanto per sapere se questa triste storia si concluderà con un lieto fine.

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