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Padova – Vede gli sbarchi e i morti in tivù. A 90 anni dà la casa ai profughi

Ospitalità a dieci migranti. Il nipote: «Colpita dall’immobilismo dello Stato»

Rubano (Padova) – Una casa è molto più di muri, mobili e stanze. A maggior ragione se si ha 90 anni e si sta parlando dell’abitazione dove si è fatto crescere i figli e dove si è invecchiati. Ma una vita umana è qualcosa che va al di là dei beni materiali. Figurarsi 800 vite umane. Quando alla tv sono passate le scandalose immagini di quelle 800 vite perse in mare, i fotogrammi di una tragedia che ha fatto inorridire l’Italia intera, Mara Gambato non ha avuto grossi dubbi. Ha chiamato i nipoti, ha traslocato a Padova, in una casa di sua proprietà, e ha consegnato le chiavi della sua villetta di Sarmeola di Rubano ad una cooperativa che si occupa di accoglienza dei profughi. Un regolare contratto di affitto (la 90enne si è accontentata di circa la metà del valore di mercato) che per dieci profughi provenienti da Gambia e Guinea Bissau rappresenta molto più di una nuova casa. «Quando ha sentito alla tv di quelle 800 persone morte in mare – ha raccontato Sergio Ventura, il nipote che ha curato per conto dell’anziana l’affidamento dell’immobile alla cooperativa – e quando ha visto l’immobilismo dello Stato e delle istituzioni ha deciso di fare qualcosa».

«Diciamo che ci sono persone che sono cristiane a parole e persone che lo sono nei fatti», ha tagliato corto. Nessuna pubblicità, nessun palcoscenico ma la prevedibile ritrosia di chi preferisce il fare al dire. Impossibile contattare la 90enne, «difesa» dai nipoti. A gestire l’accoglienza in quella casa di via Borromeo (così come in quella di corso Milano, a Padova, e in molte altre case della provincia di Padova) è «Percorso Vita onlus» di don Luca Favarin. «Quando l’ho incontrata mi ha parlato anche della guerra e degli italiani all’estero – ha spiegato don Luca – e poi della difficoltà di assistere immobile a quei drammi. La mia impressione è che vedendo la tragedia quotidiana dei profughi abbia in parte rivissuto le difficoltà patite da lei, dai suoi amici e coetanei. È la dimostrazione di un’altra cultura veneta, che purtroppo spesso viene oscurata dall’intolleranza di certi». Novantanni, una vita semplice, vissuta con quella riservata parsimonia d’altri tempi, una recente eredità e poi la decisione di fare qualcosa di concreto per chi, come lei, ha vissuto la fame, la carestia, la guerra, le migrazione forzata. «Quasi quotidianamente riceviamo le offerte di privati che ci affidano le loro case, anche a titolo gratuito, come accaduto in corso Milano a Padova – ha continuato don Luca – di fronte a questi fenomeni ci si attacca ancora di più alle proprie proprietà.

Per difenderle a spada tratta come fanno alcuni, ma anche per farne uno strumento con il quale non rassegnarsi, con il quale difendere e ribadire il proprio diritto a dire “no”». Una scelta coraggiosa, che non ha portato solo elogi ed encomi. I vicini parlano chiaro: i 10 profughi ospitati non disturbano «ma…». Un «ma» che cela un mondo di diffidenze ed insicurezze. «Si comportano bene ma hanno un altro modo di vivere, hanno lasciato fuori l’immondizia e sparpagliato gli stendibiancheria in giardino – racconta una vicina – quando ho saputo che sarebbero arrivati ho pianto per giorni». Perplessità anche pochi metri più in là dove c’è una gelateria che racconta che «le mamme non mandano più i figli a prendere il gelato da soli perché spesso loro si siedono in quella panchina. Non fanno niente ma la gente non si sente sicura e noi rischiamo di perdere clienti». Eppure il Comune di Rubano, nella cintura urbana di Padova, da molti è additato come un felice esempio di convivenza. A partire dalla sua frazione di Bosco dove la «Casa di Abramo», una vecchia casa coloniale in tipico stile veneto, si occupa di accoglienza dai primi anni ‘90, quando le migrazioni avevano dimensioni e ragioni ben diverse. Anche lì sono finiti alcuni dei profughi arrivati a Padova negli ultimi giorni.

E da lì ogni giorno partono a piedi, a gruppetti, per andare nel centro della piccola frazione per giocare a calcio all’ombra del campanile. Non nasconde il suo orgoglio il sindaco Sabrina Doni. «Non abbiamo avuto nessun problema con i vicini in nessuna di queste due esperienze – ha spiegato – non voglio parlare troppo forte ma è la dimostrazione della serietà con cui lavorano le cooperative coinvolte e della bontà del tessuto sociale di Rubano. Una dimostrazione anche dell’impegno di questi ragazzi che cercano qui un futuro di positività. Noi stiamo facendo la nostra parte, purtroppo ci sono altri amministratori e comuni vicini che non lo fanno».

07 maggio 2015