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La “Giungla” di Calais: un piccolo quartiere organizzato

Un diario di Daniele Fabbri

Se voglio capire qualcosa di quello che sta succedendo a Calais, Francia, il punto di partenza non può che essere Dover, Inghilterra.
Dall’altra parte della manica, l’altro lato della medaglia.
Atterro Oltremanica, viaggio zaino in spalla on the road da Brighton all’Italia. Nessuna prenotazione e nessun obbligo, una sola regola non scritta. Solo città di mare e di porti.
Perché i porti raccontano i cambiamenti a livello globale che stiamo vivendo nella nostra società. E i mari, purtroppo, troppo spesso sono i teatri degli epiloghi più tragici.

Su twitter, (basta un #calais ed è come essere lì, pensavo ingenuamente) leggo di Cameron e degli inglesi terrorizzati dall’invasione dei migranti. Quasi fossimo ritornati indietro con la storia, quando c’era davvero chi voleva conquistare l’Inghilterra.
Invece a Dover la vita scorre tranquilla, gli inglesi non sembrano neanche accorgersi di quel che (forse) succede di là, le bianche scogliere sono lì, al loro posto, al porto si lavora come sempre.
Il viaggio in traghetto pare quello per andare in Sardegna, famiglie pronte alle vacanze di ogni etnia e religione.
Il controllo dei passaporti scorre facile per tutti, un’occhiata e via, tranne che per una famiglia di origine araba che viene scrutata dalla testa ai piedi. Il padre, grande dignità, mi pare che si domandi perché a noi tocca questo e al mio vicino biondo occhi azzurri no.

Sbarchiamo a Calais. Il porto è distante qualche chilometro dal centro della città ma anche dall’imbocco dell’Eurotunnel. Non vedo nulla che abbia a che fare con invasioni, assalti…
Mi metto in cammino verso il centro. Entro nell’abitato di Calais, cerco qualcosa, anche se non so bene cosa. C’è una Chiesa lungo la strada. Mi avvicino e vedo che il sagrato è stato trasformato in un piccolo accampamento da un gruppo di migranti, per lo più proveniente dall’est Europa, a occhio e croce. Materassi, coperte, arredi recuperati ricoprono lo spazio davanti all’entrata. Hanno un tetto sopra la testa e un fornellino per cucinare. Si sanno organizzare bene, e probabilmente hanno scelto di non vivere nella “Giungla” perché ogni popolo e ogni cultura cerca il proprio spazio, una casa per loro anche quando la casa non c’è.

Guardo meglio e noto che non sono da soli. Davanti alla Chiesa staziona un pulmino da cui sono scesi alcuni giovani, che avranno circa la mia età. Indossano un giacchetto, Secours Catholique (Caritas France) c’è scritto. Mi avvicino tra il timoroso e l’avventato e con uno stentatissimo francese chiedo se posso dargli una mano durante il mio tempo di permanenza a Calais. Bien sur, rispondono. E si passa subito al caffè gentilmente offertoci dai migranti sul sagrato.

I 5 giovani con il giacchetto provengono da tutta la Francia e hanno scelto di passare una settimana delle loro vacanze, a Calais, a fare volontariato presso le strutture di accoglienza della Caritas France.
Ogni settimana si avvicendano e aiutano così i volontari del luogo, per lo più monsieurs francesi in pensione, ma non per questo meno attivi e battaglieri.

Per un giorno, anche solo uno, farò come loro. Insegneremo il francese (o per meglio dire insegneremo a Ishag, 22 anni, a leggere e scrivere un po’) e visiteremo la “Giungla”.
Risaliamo sul pulmino e mentre torniamo verso il centro del Secours Catholique, Mariam (la responsabile) ci mostra Camp Jungle al di là della strada, ma anche i piccoli campi che i migranti hanno costruito in prossimità dell’imbocco dell’Eurotunnel. È qui che si spostano a gruppi, quando decidono che è arrivato il momento buono per provare ad andare in Inghilterra.
Spesso noi pensiamo ai migranti come a persone senza una storia, incapaci di organizzarsi o tuttalpiù, a causa dei media, solo di farlo per assaltare muri e barriere.
Ma ognuno di loro ha una storia personale diversa dalle altre, un nome, un viaggio, affetti, studi, problemi, speranze, lavori lasciati alle spalle. Anche i sogni, gli obiettivi non sono gli stessi. Vari di loro me lo hanno confermato. Non tutti i migranti presenti a Calais vogliono andare in Inghilterra!Ce ne sono tanti che hanno deciso di rimanere in Francia.
Perché? Le ragioni sono tante, dalla maggior facilità a ottenere l’asilo al fatto di trovarsi meglio con la lingua. E perché allora venire nella Giungla?
È questa la seconda domanda. La risposta, forse, me l’ha data la Giungla stessa.

In una distesa confusa di arbusti, sterpaglie, cespugli, sassi e terra, la Giungla ha qualcosa in sé di organizzato e autonomo.
Chi ci vive ne ha passati di imprevisti e tragedie nella propria vita. Ma proprio per questo non viene meno l’umanità. In fondo l’umanità di queste persone, così evidente quando ci parli, sta anche nella capacità di auto organizzarsi, di dirsi che anche la Giungla è vita, con le sue regole e suoi ritmi.
Noi, così abituati alle comodità non li comprendiamo a prima vista.
Ma la Giungla nasconde prima di tutto una precisa suddivisione per etnie e nazionalità. I volontari della Caritas l’hanno tracciata chiaramente sulla mappa. Eritrei, Sudanesi, Afgani si sono suddivisi spazi e terreni. Umanità è anche cercare chi condivide con te un passato per vivere meglio il presente.
In questi territori, ogni gruppo rida vita ai propri totem, alle sicurezze che non possono mancare.
C’è chi costruisce una scuola, uno spazio di ritrovo, chi una moschea, chi una Chiesa per ricordare i propri cari annegati al largo di Lampedusa.
Ma ció che mi ha colpito di più sono le loro abitazioni, 2 metri per 2 metri.
Vista dall’alto la Giungla sembra una tavolozza con macchie di verde, grigio, nero e blu.
Il nero e blu sono i nostri sacchi del pattume, i loro muri e i loro tetti. Molti di loro con assi recuperate hanno costruito una struttura in legno. Un tempo le baracche erano fatte con lamiere o pezzi di plastiche, materiali di recupero considerati immondizia.
Oggi, nel cuore di un’Europa che dovrebbe avere come obiettivo la qualità della vita dei suoi cittadini, ci sono nuovi cittadini che vorrebbero una vita un po’ più giusta. E che per avere questa, sono costretti a fare dei nostri scarti i mattoni delle loro case.

@danyfabbri

– Video consigliato: Migrants: la “jungle” de / “Jungle” migrants camp in Calais, France