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Spagna – Morte accidentale di un africano?

Xoán Perillán, Diagonal del 12 agosto 2015

Lo scorso 9 agosto le strade di tutti gli Stati Uniti si sono riempite di manifestazioni per commemorare la morte del giovane afroamericano Michael Brown per mano della polizia. Ci sono stati atti allo stesso tempo atti di rivolta e di repressione in diverse parti del Paese.

Ieri (l’11 agosto, NdT) un altro evento ci ha toccato più da vicino. Nell’ambito di una macro-operazione di polizia nella località tarragonese di Salou Mor Sylla è caduto nel vuoto dal terzo piano, morendo sul colpo. Si trattava di un migrante di origine senegalese di cinquant’anni che viveva da venti a Salou.

La polizia aveva fatto irruzione nel suo appartamento e in altri due intorno alle sei di mattina in base a un ordine della magistratura. L’irruzione si basava sul sospetto che gli appartamenti fossero legati alle attività di una rete che si occupa di vendita di merce contraffatta.

La versione ufficiale dei Mossos d’Esquadra (la polizia del governo catalano, NdT) è che il morto sarebbe saltato dalla finestra nel momento in cui gli agenti sono entrati dalla porta: questi ultimi non sarebbero quindi in alcun modo legati al decesso.

Dopo il fatto la comunità senegalese, i familiari e gli amici si sono ritrovati nella Plaça de Sant Jordi e hanno dato la colpa della morte alle autorità. Inoltre hanno richiesto la liberazione dei dodici detenuti durante la retata della mattina. È stato chiesto anche che il console senegalese presenziasse alla rimozione del cadavere. La polizia ha però provveduto a effettuare rapidamente questa operazione, ignorando di fatto le richieste: ciò ha portato a degli scontri.

Le linee ferroviarie sono state interrotte. Più di ventiquattro persone sono state ferite e la rabbia e l’impotenza hanno lasciato barricate, finestrini delle macchine della polizia rotti e la pavimentazione stradale sollevata.

A partire da questi fatti su Twitter ci sono state manifestazioni di indignazione, a volte in favore dei manifestanti, a volte in favore della polizia. Ciò ha portato all’apparizione di diversi messaggi razzisti, in particolar modo sul profilo di alcuni poliziotti o di persone vicine ai Mossos che condannavo la sommossa ed esprimevano solidarietà alla polizia.

D’altra parte molte persone hanno appoggiato la comunità senegalese consci della persecuzione e dei maltrattamenti che essa subisce tutti i giorni. Inoltre, dato che in Catalogna la polizia accumula più denunce per abusi e maltrattamenti che in qualunque altro luogo dello Stato spagnolo e considerato che i casi di tortura e assassinio abbondano nella storia dei Mossos d’Esquadra è difficile per molti credere alla versione delle forze dell’ordine.

È una storia che appare già tristemente familiare e inoltre la negazione sistematica di qualunque responsabilità riduce ulteriormente la credibilità della polizia.

Molte persone hanno ricordato che i Mossos sono soliti registrare le loro azioni, in particolare le irruzioni nelle case, e ciò ha portato alcuni mezzi d’informazione come Catalunya Plural (un giornale digitale catalano, NdT) a chiedere di poter visionare i nastri per poter provare la versione della polizia. La richiesta ha ottenuto come risposta un silenzio assoluto.

Il rappresentante della comunità senegalese non ha nascosto i dubbi dei suoi compatrioti sulla versione ufficiale: “Uno che vive da vent’anni a Salou e che è stato arrestato mille volte non si butta di sotto solo perché gli entrano in casa (…), non si butta per qualche camicia”.

Seguendo la stessa linea interpretativa il fratello di Mor ha detto : “Un vicino l’ha sentito gridare mentre cadeva e uno che si butta di proposito non grida”. Il fratello ha anche sporto denuncia contro i Mossos sperando che un simile atto possa aprire un’indagine in grado di chiarire la vicenda.

In ogni caso i dettagli di ciò che è successo nella casa non sono ciò che deve essere messo in evidenza e non sono nemmeno il problema di fondo. Non è rilevante se Mor si è lanciato o se è stato buttato di sotto.
Ciò che conta è che egli non è che un morto in più, una vittima del sistema di esclusione che ha fatto scoppiare la rabbia di quelli che non ne possono più. La faccia più visibile della violenza poliziesca, economia, sociale e politica che subiscono coloro che lavorano sulla strada, gli africani e gli immigrati.

In questo senso si sono pronunciati collettivi come l’Espacio del Inmigrante di Barcellona, Tanquem els CIE (Chiudiamo i CIE, NdT) o la CUP (Candidatura d’Unitat Popular, partito indipendentista di sinistra catalano, NdT) che ha pubblicato un comunicato nel quale dice che :
“Le circostanze concrete della morte non sono state ancora chiarite, ma esse derivano dalle politiche razziste, escludenti, xenofobe e di apartheid che da tempo l’Unione Europea, lo Stato spagnolo, il governo, la Generalitat (il governo catalano, NdT) e molti municipi promuovono”.

È interessante anche il commento fatto via Twitter dal consigliere comunale di Barcellona Jaume Asens di Barcelona en Comú (piattaforma nata dalla convergenza di diversi soggetti di sinistra che ha vinto le ultime elezioni comunali a Barcellona e e che ora esprime il sindaco, Ada Colau, NdT):
“Deplorabile. La persecuzione della polizia a Salou contro i venditori di beni contraffatti termina con un senegalese morto. Ne siamo tutti colpevoli (alcuni più di altri)”.
Lo è specialmente per il fatto che ci ricorda la responsabilità della classe politica, ma anche di tutta la società civile catalana, spagnola ed europea.

La nostra complicità con le politiche coloniali che le multinazionali, gli eserciti e i nostri governi portano avanti nei paesi africani, che obbligano migliaia di abitanti di questo continente impoverito a fuggire dalla miseria e a cercare rifugio nel continente che ha rubato loro tutto.
Complici con le politiche della chiusura delle frontiere che fanno sì che i migranti e i rifugiati debbano rischiare la vita attraversando il mare e superando valli per conquistare il diritto a spostarsi. Complici con le politiche di segregazione che frappongono una moltitudine di frontiere invisibili nelle nostre società, nei nostri quartieri, negli ospedali, nel lavoro, nelle spiagge, impedendo il diritto “ a esistere” a quei lavoratori stranieri qualificati come “illegali”.

In alcune interviste degli abitanti di Salou hanno detto di aver avuto paura durante le sommosse e si sono lamentati per la rottura di alcune vetrine e per il danneggiamento dell’arredo urbano.

Siamo così dipendenti dalla realtà di violenza che imponiamo al resto del mondo che quando qualche disperato porta in strada quella che subisce quotidianamente ci scandalizziamo e finiamo per chiedere che la normalità torni nelle nostre vite, quelle in cui ci sentiamo più comodi e sicuri, in cui noi siamo i protagonisti. Anche se questa “normalità” implica violenza per gli altri.

Proprio nello stesso giorno in cui tutto ciò succedeva a Salou la polizia greca dell’isola di Kos svuotava il contenuto di un estintore su una moltitudine di rifugiati siriani che chiedeva di ricevere documenti che permettessero loro di muoversi nell’isola. Quello stesso giorno veniva sospeso un agente che il giorno precedente aveva tirato fuori il coltello e spintonato diversi rifugiati. A migliaia si accalcano nell’isola e le autorità di fronte al pericolo di saturazione hanno cercato di metterli in un campo da calcio senza però dare loro dei salvacondotti.

Ferguson, Salou, Kos. Avvenimenti in parti del mondo distinte che nonostante le distanze e la diversità dei contesti hanno molto in comune. Le tre situazioni sono provocate dal razzismo di una società, quella occidentale, che nonostante gli anni e gli abbellimenti superficiali non è riuscita a superare il suo passato coloniale e continua a pensarsi come il centro dell’universo.

Tutte e tre queste situazioni sono state provocate dalla violenza poliziesca che è la faccia più visibile e amara di un sistema oppressore che esercita la violenza dagli apparati istituzionali sistematicamente e quotidianamente contro i più deboli, gli emarginati e gli esclusi.

Le tre situazioni fanno vedere che le cosiddette “democrazie occidentali” non sono altro che dei sistemi politici profondamente razzisti e iniqui che nascondono una realtà molto violenta sotto la loro maschera di benessere e pace sociale. Essi nascondono l’esclusione di una gran parte della loro popolazione in base ai “diritti di cittadinanza” che non è altro che la forma moderna di dividere gli umani di prima classe da quelli di seconda. Quelli che, come direbbe Fanon, sono nella zona dell’essere da quelli che ne sono esclusi.

Negli anni settanta erano i prigionieri politici a “saltare misteriosamente” dalle finestre dei commissariati o dei covi. Oggi sono gli immigrati.
Il non fare nulla per combattere questa situazione equivale a rendersi complice della barbarie ed è molto ingenuo pensare che si possa continuare a vivere in questa posizione di privilegio vedendo come il mondo, o meglio altri mondi, sprofondano intorno a noi senza che il sangue ci raggiunga. O almeno, i frammenti di qualche vetrina rotta.

Foto di copertina: www.sosracismomadrid.es