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Sui binari, alla barriera di filo spinato sul confine serbo-ungherese

Report, foto e video di MeltingPot

Lasciamo il campo sosta di Kanjiza con in testa le immagini dei continui arrivi di profughi, tantissime le donne, le famiglie, i bimbi, i ragazzini, un flusso quasi ininterrotto. Arrivano, entrano e trovano riparo dal sole sotto una delle tende o gli alberi.

Una tappa importante del loro lungo e durissimo viaggio, che per alcuni dura da mesi, è qui vicino, ma l’Ungheria fa paura, “E’ cattiva, è peggio della Siria“, ci ripetono le persone con cui parliamo.

Hanno paura perché c’è la recinzione di filo spinato che ha installato il governo ungherese sul confine, ma quello che spaventa di più tutti sono le “fingerprints”, le impronti digitali che ti prendono nel centro di registrazione di Röszke, detto “Hangar Blu”. Non vogliono rimanere qui, vogliono andare in Germania e in altri paesi del Nord Europa.

Serbia - Visita nel campo di rifugiati a Kanjiza. Foto Carmen Sabello
Serbia – Visita nel campo di rifugiati a Kanjiza. Foto Carmen Sabello

Oggi fa caldissimo e mentre cerchiamo acqua fresca in un bar nel paesino di Horgoš incontriamo 3 ragazzi. Vengono dall’Algeria e sono in viaggio da diversi mesi. Parliamo in francese e quando gli chiediamo come hanno raggiunto la Serbia ci indicano le loro gambe, “quasi tutto il viaggio lo abbiamo fatto a piedi”.

Ci sediamo e parliamo dell’Algeria. Sulla stampa italiana se ne parla poco, gli diciamo. “Noi ce ne siamo andati perché nel nostro paese non c’è democrazia, non c’è libertà, non c’è una prospettiva di futuro” dice Ahmed.

Mostrano un foglio (clicca qui) che hanno fatto con le informazioni ricevute dai loro amici e familiari che sono riusciti ad arrivare in Nord Europa.
Sulla “mappa” erano tracciati i percorsi del viaggio con le spese indicative tra una tappa e l’altra.
Fra poco, verso sera, i ragazzi proveranno ad attraversare il confine. Prima dei saluti ci spiegano come arrivarci.

Confine Serbia/Ungheria: i luoghi dell'attraversamento. Foto Carmen Sabello
Confine Serbia/Ungheria: i luoghi dell’attraversamento. Foto Carmen Sabello

Dal campo sosta di Kanjiza i rifugiati raggiungono il confine a bordo di autobus o di taxi. Mentre ci avviciniamo vediamo già i primi gruppi di persone seduti a bordo strada sotto gli alberi. Aspettano il momento per passare.

Poco prima del confine con l’Ungheria, una stradina sulla destra ti porta verso i binari. Non sono più utilizzati e percorrendoli si arriva dritti al reticolo di filo spinato che corre lungo il confine tra i due stati.
Su quel breve tratto però il filo spinato non c’è. La polizia da lì fa passare. Viene da pensare che la cosiddetta “barriera anti-immigrati” di Orbán sia pura propaganda, una mossa politica, anche il premier sa che nessuno vuole rimanere in Ungheria. Ci sono altri punti della barriera metallica che sono facilmente valicabili e così infatti succede.

Parcheggiamo la macchina e iniziamo a incamminarci a piedi sui binari. Intorno a noi, su tutto il percorso indumenti, scarpe, ciabatte, avanzi di cibo, pannolini per bambini, immondizia di vario genere, un forte odore acre, segna il passaggio di migliaia di persone. A lato dei binari ci sono tende e giacigli improvvisati e gruppi di persone che aspettano. Sono in tantissimi che camminano, c’è chi sta tornando indietro, probabilmente per non farsi prendere le impronte sperando di passare da un punto dove non ci sono controlli, e chi va verso l’Ungheria, genitori con figli piccoli anche piccolissimi, anziani, ragazzi, minori, persone disabili, hanno con loro poche cose. Tutta la loro vita in un zaino o poco più.

Confine Serbia/Ungheria: i luoghi dell'attraversamento. Foto Carmen Sabello
Confine Serbia/Ungheria: i luoghi dell’attraversamento. Foto Carmen Sabello

Arriviamo al filo spinato, i profughi passano e ci fanno segno di vittoria. Ce l’hanno fatta anche se il viaggio non è ancora finito.

Mentre siamo in questo punto si fermano in tanti per chiederci informazioni. Sono siriani e non sanno che succederà se si fanno prendere le “fingerprints” dal governo ungherese, loro vogliono andare in Germania. Li rassicuriamo. La Germania ha sospeso il regolamento di Dublino per i siriani, e a tutti gli altri che succederà ci chiediamo, che fine faranno le migliaia e migliaia di persone che hanno calpestato questi binari? Ci rendiamo conto che non ricevono nessuna informazione, nessuno gliela da, nemmeno nel campo attrezzato.

Camminiamo per circa 3 kilometri fino ad arrivare al punto in cui le forze di polizia ungheresi, con tantissimi uomini, fanno sostare tutti prima di farli salire a bordo degli autobus che li porterà a Röszke.
La gente è stremata, dal sole, dal caldo, dalla fatica. Non ci sono tende, né acqua, nessun tipo di assistenza, nessuna informazione, nessun presidio medico, non c’è nulla, se non l’attesa.

Salutiamo le persone che abbiamo conosciuto e torniamo indietro.
Lasciamo i binari con in testa quelle due parole che abbiamo ripetuto a loro mentre li percorrevamo.
Good luck, good luck, good luck. Buona fortuna.

Subotica (SRB), 29 agosto 2015

Vedi anche le altre tappe del viaggio:
Ciglana e “the jungles”. Intervista a David Varga, ONG Eastern European Outreach
In transito. Racconto e fotografie dai campi rifugiati a Subotica e a Kanjiža in Serbia /confine con l’Ungheria

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