La prima volta che sono stato in Sicilia ero insieme all’allora Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Venezia, Beppe Caccia, in rappresentanza di diversi Enti Locali disposti ad accogliere i 37 profughi raccolti in mare dalla nave Cap Anamur: la mattina, durante la riunione in Prefettura, consegnammo le lettere di disponibilità ad accogliere da parte di numerosi Comuni. A domanda precisa il Prefetto rispose che i profughi non erano “né detenuti né trattenuti”. Riuscimmo a entrare in visita al CPT/CIE di Pian del Lago (CL) per incontrarli e decidemmo di non andarcene senza di loro. Dopo più di 12 ore di estenuanti trattative io e Beppe Caccia fummo cacciati, senza grazia, dalla struttura e “espulsi” dall’isola. I profughi rimasero rinchiusi fino alla successiva espulsione, questa senza virgolette, reale e concreta. I profughi comunque non erano “né detenuti né trattenuti”.
In questi giorni sono ritornato in Sicilia e sono entrato al Cara di Mineo (CT) assieme ad altri colleghi del Gruppo nazionale migranti di Legacoopsociali. Il Cara è un Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo.
La parola chiave è Accoglienza
Il primo aspetto che colpisce è la presenza dei militari armati attorno al perimetro recintato con il filo spinato. La presenza delle forze dell’ordine è molto visibile anche all’interno: furgoni, defender e automobili, numerosi così come il personale in divisa. A Mineo trovano “accoglienza” una media di 3.200 richiedenti asilo al mese, con picchi superiori a 4.000. Dovrebbero restare pochi giorni, passano mesi e in alcuni casi anni, in attesa di un’audizione in Commissione che valuti la loro richiesta di protezione internazionale. Il villaggio di Mineo è nato come “casa” per le famiglie americane della base di Sigonella (Ct), quindi come luogo a parte, volutamente distante e altro dalla realtà siciliana e italiana. Del resto i militari delle basi Nato e/o americane non vengono per “integrarsi” o per essere “accolti“, ricreano un pezzo di America in Italia.
Questo posto è stato scelto per fare “accoglienza“. Il cuore del problema, come spesso accade, non è nel lavoro degli operatori, che mantengono quel tasso di umanità necessario a creare relazione, il cuore del problema sta all’origine. L’origine, per quanto mi riguarda, corrisponde alla legge Turco-Napolitano, con l’istituzione dei CPT, di fatto centri di concentramento e espulsione, una galera a parte per chi commette il crimine di non nascere in Italia. Ci sono state evoluzioni, con ulteriori picchi di caduta peggiori come la legge Bossi-Fini e il reato di clandestinità. Non si è mai sviluppata una reale politica dell’accoglienza, come se il tema non dovesse riguardare il nostro Paese, offrendo risposte inadeguate e sempre emergenziali. Il Cara di Mineo è l’emblema di tutto questo. Una città, nei numeri più grande di moltissimi nostri Comuni, in cui costringere ad un “esilio interno” nel limbo indefinito di tempi e risultati, migliaia di persone. Ipocrisia vuole chiamare tutto questo “accoglienza”.
Le parole sono importanti
Accoglienza è quando una comunità accoglie, non quando creiamo un Centro in un quartiere o in un piccolo Comune con il vuoto intorno. Possiamo anche operare al meglio in quel Centro ma non facciamo accoglienza.
Questo dovremmo iniziare a dirlo e a agire di conseguenza. Il danno prodotto da alcune cooperative sociali, Mafia Capitale su tutto, è stato enorme e non abbiamo ancora finito di pagarlo. La credibilità della cooperazione sociale è ai minimi termini e gli attacchi continui che arrivano, anche da soggetti istituzionali, stanno a dimostrare come oggi sia facile scaricare sull’anello debole della catena, la cooperativa sociale che gestisce il servizio, l’assenza e l’inadeguatezza delle politiche sociali.
Tocca a noi riprendere la palla in mano e ridare importanza alle parole. Se parliamo di accoglienza, dobbiamo praticare accoglienza, fare politica, produrre cultura e gestire servizi che coinvolgano le nostre comunità. Dobbiamo promuovere pratiche di accoglienza diffusa, raccogliendo le disponibilità di singoli e famiglie ad accogliere nelle proprie case i richiedenti asilo, supportando questi percorsi con le nostre competenze e esperienze. Dobbiamo spingere più di quanto sia stato fatto per la chiusura dei Cie e dei Cara cambiando completamente verso al modello concentrazionario (dei grandi centri, dei grandi numeri) verso esperienze “sostenibili” dalle comunità che accolgono ma anche e soprattutto nel rispetto di chi viene accolto.
Dobbiamo non solo essere “puliti” e credibili, ma anche non accompagnarci a chi non lo è, altrimenti è difficile dire: “Siamo altro”. Il problema è enorme, ma non eludibile, le migliaia di persone che ogni giorno arrivano ai confini dell’Europa ci impongono di prendere parte e posizione. La cooperazione sociale nasce nei percorsi di deistituzionalizzazione, ha iniziato dando diritti e dignità alle persone che non ne avevano, anche abbattendo muri e togliendo il filo spinato che li cingeva. Oggi dobbiamo ricominciare a farlo, dando valore e concretezza alle parole che usiamo.
Alessandro Metz
Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia