Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
//

Migranti, le parole sono importanti: appunti sul Cara di Mineo

di Alessandro Metz, LegaCoopsociali Friuli Venezia Giulia

La prima volta che sono stato in Sicilia ero insieme all’allora Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Venezia, Beppe Caccia, in rappresentanza di diversi Enti Locali disposti ad accogliere i 37 profughi raccolti in mare dalla nave Cap Anamur: la mattina, durante la riunione in Prefettura, consegnammo le lettere di disponibilità ad accogliere da parte di numerosi Comuni. A domanda precisa il Prefetto rispose che i profughi non erano “né detenuti né trattenuti”. Riuscimmo a entrare in visita al CPT/CIE di Pian del Lago (CL) per incontrarli e decidemmo di non andarcene senza di loro. Dopo più di 12 ore di estenuanti trattative io e Beppe Caccia fummo cacciati, senza grazia, dalla struttura e “espulsi” dall’isola. I profughi rimasero rinchiusi fino alla successiva espulsione, questa senza virgolette, reale e concreta. I profughi comunque non erano “né detenuti né trattenuti”.

In questi giorni sono ritornato in Sicilia e sono entrato al Cara di Mineo (CT) assieme ad altri colleghi del Gruppo nazionale migranti di Legacoopsociali. Il Cara è un Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo.

La parola chiave è Accoglienza

Il primo aspetto che colpisce è la presenza dei militari armati attorno al perimetro recintato con il filo spinato. La presenza delle forze dell’ordine è molto visibile anche all’interno: furgoni, defender e automobili, numerosi così come il personale in divisa. A Mineo trovano “accoglienza” una media di 3.200 richiedenti asilo al mese, con picchi superiori a 4.000. Dovrebbero restare pochi giorni, passano mesi e in alcuni casi anni, in attesa di un’audizione in Commissione che valuti la loro richiesta di protezione internazionale. Il villaggio di Mineo è nato come “casa” per le famiglie americane della base di Sigonella (Ct), quindi come luogo a parte, volutamente distante e altro dalla realtà siciliana e italiana. Del resto i militari delle basi Nato e/o americane non vengono per “integrarsi” o per essere “accolti“, ricreano un pezzo di America in Italia.

Questo posto è stato scelto per fare “accoglienza“. Il cuore del problema, come spesso accade, non è nel lavoro degli operatori, che mantengono quel tasso di umanità necessario a creare relazione, il cuore del problema sta all’origine. L’origine, per quanto mi riguarda, corrisponde alla legge Turco-Napolitano, con l’istituzione dei CPT, di fatto centri di concentramento e espulsione, una galera a parte per chi commette il crimine di non nascere in Italia. Ci sono state evoluzioni, con ulteriori picchi di caduta peggiori come la legge Bossi-Fini e il reato di clandestinità. Non si è mai sviluppata una reale politica dell’accoglienza, come se il tema non dovesse riguardare il nostro Paese, offrendo risposte inadeguate e sempre emergenziali. Il Cara di Mineo è l’emblema di tutto questo. Una città, nei numeri più grande di moltissimi nostri Comuni, in cui costringere ad un “esilio interno” nel limbo indefinito di tempi e risultati, migliaia di persone. Ipocrisia vuole chiamare tutto questo “accoglienza”.

Le parole sono importanti

Accoglienza è quando una comunità accoglie, non quando creiamo un Centro in un quartiere o in un piccolo Comune con il vuoto intorno. Possiamo anche operare al meglio in quel Centro ma non facciamo accoglienza.

Questo dovremmo iniziare a dirlo e a agire di conseguenza. Il danno prodotto da alcune cooperative sociali, Mafia Capitale su tutto, è stato enorme e non abbiamo ancora finito di pagarlo. La credibilità della cooperazione sociale è ai minimi termini e gli attacchi continui che arrivano, anche da soggetti istituzionali, stanno a dimostrare come oggi sia facile scaricare sull’anello debole della catena, la cooperativa sociale che gestisce il servizio, l’assenza e l’inadeguatezza delle politiche sociali.

Tocca a noi riprendere la palla in mano e ridare importanza alle parole. Se parliamo di accoglienza, dobbiamo praticare accoglienza, fare politica, produrre cultura e gestire servizi che coinvolgano le nostre comunità. Dobbiamo promuovere pratiche di accoglienza diffusa, raccogliendo le disponibilità di singoli e famiglie ad accogliere nelle proprie case i richiedenti asilo, supportando questi percorsi con le nostre competenze e esperienze. Dobbiamo spingere più di quanto sia stato fatto per la chiusura dei Cie e dei Cara cambiando completamente verso al modello concentrazionario (dei grandi centri, dei grandi numeri) verso esperienze “sostenibili” dalle comunità che accolgono ma anche e soprattutto nel rispetto di chi viene accolto.

Dobbiamo non solo essere “puliti” e credibili, ma anche non accompagnarci a chi non lo è, altrimenti è difficile dire: “Siamo altro”. Il problema è enorme, ma non eludibile, le migliaia di persone che ogni giorno arrivano ai confini dell’Europa ci impongono di prendere parte e posizione. La cooperazione sociale nasce nei percorsi di deistituzionalizzazione, ha iniziato dando diritti e dignità alle persone che non ne avevano, anche abbattendo muri e togliendo il filo spinato che li cingeva. Oggi dobbiamo ricominciare a farlo, dando valore e concretezza alle parole che usiamo.

Alessandro Metz
Legacoopsociali Friuli Venezia Giulia