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Pian delle Fugazze (VI) – Se questo è un uomo

La denuncia dei consiglieri di Schio: profughi accolti in una colonia a 1.000 metri in modo inumano, senza letti, coperte, vestiti e cibo a sufficienza

Ieri sera siamo andati alla colonia alpina al passo Pian delle Fugazze. Volevamo incontrare i profughi che il nostro comune aveva avuto l’onere di accogliere; per questo abbiamo fissato un appuntamento con un operatore della cooperativa Csfo. Quando siamo arrivati siamo stati accolti con entusiasmo dai ragazzi che stavano fuori dalla struttura e piano piano se ne sono aggiunti altri che scendevano dal piano superiore. Con loro non c’era nessuno, la cooperativa ci aveva dato buca!
Non c’è stata alcuna difficoltà ad entrare in relazione con loro, a parte la lingua: alcuni di loro parlano inglese, altri francese. Si vedeva che avevano bisogno di parlare. Le loro traiettorie esistenziali sono state tragicamente sbilenche: chi fuggendo dal Ghana ha visto il fratello cadere colpito da un colpo di pistola in Libia; chi dalla Nigeria è fuggito dalla furia assassina di Boko Haram; chi è scappato dalle torture in Bangladesh.
A questo punto abbiamo chiesto loro come si trovavano e ci hanno detto subito bene. Poi però hanno cominciato a raccontare la loro situazione, come passano la giornata, come sono organizzati i turni dell’autogestione e ci hanno portato a visitare la struttura. Ciò che abbiamo udito e visto da quel momento ha rappresentato per tutti noi un’esperienza drammaticamente forte, un pugno allo stomaco.
Il modo in cui vengono trattati questi esseri umani, questi nostri fratelli, non rispetta alcuna dignità, è disumano.

Da che cosa iniziare? Dal freddo?

Nella colonia il riscaldamento non funziona, in molte stanze non ci sono nemmeno i termosifoni. Alle 18:30 quando siamo arrivati, era già fresco e di notte, lì che siamo a mille metri, la temperatura scende anche al di sotto dei cinque gradi. Le coperte a loro disposizione non sono sufficienti, molte sono primaverili, altre bucate.
A questi uomini poi hanno dato solo un paio di pantaloni, in alcuni casi corte (!), una t-shirt e una felpa: un solo cambio in un mese e mezzo! Pochi hanno una giacca, uno solo un paio di guanti. La maggior parte calza delle ciabatte, a piedi nudi, pochi hanno scarpe e non sempre integre!

Dall’adeguatezza della struttura e delle dotazioni?

Quando siamo saliti al primo piano lo squallore ti toccava dentro. Le docce hanno lo scarico che non funziona, l’acqua esce e allaga il corridoio e una stanza abitata. Fiumiciattoli che escono dal bagno scorrono dove questi “dannati della terra” sono costretti a dormire.

I letti?
Non ci sono brande per tutti, in tre se ne dividono due e lo sfortunato di turno deve dormire sui paletti di alluminio. Sui pochi letti qualcuno ci dorme in due!
La cucina è completamente fuori norma: c’è un unico fuoco che funziona e la bombola del gas è lì, in mezzo alla stanza.
I ragazzi si fanno da mangiare, hanno a disposizione solo riso o pasta e un sugo di verdure. Mangiano la stessa cosa a mezzogiorno e sera, da più di un mese. C’è una cosa che ci ha indignato furiosamente: la cooperativa ha dato loro un piatto di plastica e posate di plastica, che usano da un mese, sempre le stesse! Non ha pensato di fornirli di bicchieri, così devono bere a canna dal rubinetto.

Il cibo?
Mangiano da settimane la stessa cosa, nello stesso piatto di plastica, con le stesse posate di plastica, senza poter bere da un bicchiere!

Dall’assistenza?
Come è noto al peggio no c’è mai fine: al piano di sopra c’è un ragazzo steso sul letto, ci dicono che è ammalato da cinque giorni e nessuno ha mandato un medico; altri ragazzi lamentano da giorni mal di denti e mal di schiena, ma nessuno si è preoccupato di curarli. Sembra che la cooperativa non abbia dato loro un riferimento per le visite mediche, non abbia previsto una dotazione di farmaci per le situazioni più banali.
Nonostante questo sia per noi un vero e proprio inferno, ciò che questi uomini lamentano di più è l’isolamento. Non ci sono telefoni né possibilità di comunicazione; un ragazzo nigeriano ci ha detto che in un mese e mezzo non è ancora riuscito a contattare la madre per dirle dove si trova, per avvertirla che sta bene. L’isolamento è pesante.

Chiediamo alla cooperativa perché si è creata questa situazione, perché non si sia provveduto a dare adeguata sistemazione ai profughi, garantendo almeno i minimi standard di vita e dignità di coabitazione, a fronte di una convenzione che stabilisce sicuramente le caratteristiche dell’incarico ed il relativo compenso.
Conosciamo realtà, anche locali, che hanno saputo gestire incarichi del genere dando soluzioni adeguate e dignitose, creando anche posti di lavoro!
Chi riceve decine di migliaia di euro al mese deve saper assicurare cibo in quantità e qualità adeguata, medicinali, vestiti, strutture idonee e deve essere in grado di dare la giusta assistenza ai richiedenti asilo. Non abbiamo trovato nemmeno gli standard minimi di igiene! Il prefetto e l’ULSS dovrebbero intervenire.
Vogliamo una rendicontazione delle spese e chiederemo che i soldi, che evidentemente non sono stati spesi, vengano restituiti allo Stato!
Chiediamo al Sindaco e l’assessore al sociale, finora muta ed inesistente, che diano conto di questo fallimento totale nella gestione dell’accoglienza.
Schio è una città solidale, da sempre, non è mai caduta in questo abisso di inciviltà.
Il comune ha destinato i richiedenti asilo in una struttura non adeguata e isolata dal mondo perché, come ha dichiarato il sindaco, ”era meglio non creare attriti”, come se l’uomo nero dovesse essere nascosto per non turbare le nostre coscienze immiserite.

Ospitare a mille metri di altitudine delle persone senza il riscaldamento è crudele!
Destinarle ad un complesso abitativo che non offre nemmeno standard minimi dal punto di vista igienico sanitario è spietato!
Non controllare la gestione di un servizio affidato è altrettanto colpevole.
La città di Schio e la sua storia non meritano questa barbarie.