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Campagna del pomodoro in Basilicata: aumenta il numero dei contratti ma il 92% dei braccianti ricorre ancora al caporale

Roma, 1 ottobre 2015 – Da luglio a settembre 2015, un team di Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha operato nell’area del Vulture-Alto Bradano, prestando con una clinica mobile prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario a 377 migranti provenienti per la gran parte dall’Africa sub sahariana occidentale, per un totale di 577 visite mediche, tra primi (377), secondi (143), terzi (45) e quarti (12) accessi. Le zone di intervento hanno riguardato numerosi insediamenti informali ubicati nei comuni di Venosa, Palazzo San Gervasio, Montemilone e Lavello.

Il 95% dei lavoratori agricoli stranieri incontrati era regolarmente presente in Italia: il 34% con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, il 28% per lavoro subordinato, il 12% con carta di soggiorno, l’11% per protezione internazionale, il 12% con altre tipologie di permesso di soggiorno. Di questi, l’88%, aveva un contratto di lavoro, un dato in aumento rispetto a quello rilevato da MEDU durante la scorsa stagione e da ricollegare tra l’altro all’aumento dei controlli da parte degli ispettori del lavoro. Nonostante ciò, in base ai dati raccolti, il 92% dei braccianti con regolare contratto continuava a ricorre ad un intermediario per trovare lavoro ed era retribuito a cottimo, in violazione dei contratti provinciali. La quasi totalità di questi, inoltre, non sapeva se avrebbe ricevuto una busta paga né il versamento dei contributi corrispettivi alle ore effettivamente lavorate. L’istituzione delle liste di prenotazione nel 2014 ha rappresentato un’importante iniziativa istituzionale, ma nei fatti insufficiente nel contrastare il pervasivo sistema del caporalato. In assenza di un efficace sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro, di controlli più incisivi e di indici di congruità che permettano la verifica delle giornate di lavoro versate ai braccianti, l’esistenza di regolari contratti e di liste di prenotazione per l’impiego non garantisce l’effettiva tutela dei diritti sul lavoro né dignitose condizioni di vita.

Per quanto riguarda le condizioni alloggiative, nonostante l’apertura a metà agosto di due centri di accoglienza per lavoratori a Palazzo San Gervasio e a Venosa, che hanno ospitato tra agosto e settembre circa 320 persone (dato del 29 settembre), MEDU stima che siano oltre 1000 i lavoratori stranieri che hanno trovato rifugio in case abbandonate, baracche e tende limitrofe alle aree di raccolta, in assenza di acqua, luce e servizi igienici. Tali insediamenti informali hanno conosciuto un’ulteriore espansione rispetto alla stagione precedente, con un inevitabile deterioramento delle condizioni di vita a causa della mancanza di acqua potabile – fino al 2014 garantita dalla Regione nel ghetto di Boreano – e del sovraffollamento delle baracche, spesso costruite con le macerie di alcuni casolari che erano stati abbattuti per disincentivarne l’occupazione.

In base ai dati e alle informazioni riportate, è già possibile trarre alcune conclusioni, rimandando a un rapporto di prossima pubblicazione le analisi più complete. La presenza all’interno dei centri di accoglienza di un presidio stagionale dell’ufficio per l’impiego in grado di gestire nel suo complesso il lavoro dei braccianti, a partire dall’ingaggio per arrivare ai servizi di trasporto, avrebbe facilitato la gestione e la distribuzione della manodopera nel territorio e consentito un maggiore controllo sul numero di giornate realmente effettuate dai lavoratori ospiti della struttura. In tal modo, le misure adottate avrebbero contribuito in modo concreto a garantire migliori condizioni di vita e di lavoro, incentivando lo spostamento dei lavoratori dai ghetti e favorendo il contrasto del caporalato.