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No, UE, la Turchia non è sicura per tutti

Emma Sinclair-Webb, OpenDemocracy ottobre 2015

Istanbul – Mentre l’Unione Europea si fa in quattro per convincere la Turchia ad accettare un accordo che impedisca ai rifugiati siriani e non, ai richiedenti asilo e ai migranti di abbandonarne le coste od oltrepassarne i confini occidentali, vale la pena considerare a fondo la posta in gioco.

Al di là di qualsiasi profitto a breve termine questo accordo possa offrire, all’UE e al presidente Recep Tayyip Erdoğan, a farne le spese potrebbero essere proprio l’Unione Europea e gli sforzi compiuti nell’affrontare i problemi a lungo termine dei diritti umani in Turchia, i quali minacciano la stabilità della regione. Il rischio sarebbe quello di intrappolare un numero sempre maggiore di richiedenti asilo in Turchia, la quale manca di un sistema funzionante atto a proteggerli. Inoltre, questo sacrificherebbe gran parte dell’influenza europea rimasta ad Ankara in un periodo in cui, in Turchia, diritti umani e applicazione della legge sono più vicini a toccare il fondo di quanto lo siano mai stati nei 12 anni in cui ho lavorato in questo paese.

Ben lontana dall’essere una nazione sicura per i rifugiati, come peraltro affermato dall’UE, la Turchia sta diventando sempre più rischiosa per il suo stesso popolo – non ultimo perché i suoi leader politici hanno optato per una campagna intimidatoria e repressiva contro oppositori politici e critiche.

Al momento, la Turchia ospita generosamente più di due milioni di rifugiati siriani sotto un sistema di “protezione temporanea”. A molti altri, come iracheni e afgani, non è concesso nemmeno questo status pur provenendo da paesi in situazioni simili.

Un aiuto finanziario da parte dell’UE rappresenterebbe sicuramente un vantaggio per il governo turco nell’affrontare la sua situazione, e senz’altro per garantire un’educazione ai bambini rifugiati che vivono nelle sue città, l’80% dei quali non va a scuola. Ma lusinghe finanziarie a parte, la realtà è che la Turchia, al di là della generosità, non possiede un sistema di asilo funzionante.

Nel firmare la Convenzione ONU sui Rifugiati, la Turchia non si curò di abolire la limitazione geografica del secondo dopoguerra, secondo cui il trattato valeva solo per i rifugiati europei. Di conseguenza, ai migranti che giungono ai confini orientali e meridionali – come siriani, iracheni ed afgani – non è concesso il diritto di asilo né il pieno status di rifugiati. Possono quindi essere smistati in Turchia in attesa di essere mandati in altri stati o, nel caso dei siriani, possono ricevere protezione temporanea sotto forma di concessione politica.

La Turchia, nell’insieme delle sue leggi, non dispone di alcuna misura secondo cui accordare pieni diritti ai rifugiati extraeuropei o assicurarsi che non vengano rispediti in zone per loro a rischio, nonostante il fatto che gli obblighi internazionali relativi ai diritti umani esigano tale protezione da parte del governo di Ankara.

Il nodo fondamentale del piano d’azione dell’UE esige che il governo turco faccia in modo che i richiedenti asilo e i migranti rimangano all’interno dei confini. Ma una semplice occhiata alla cartina geografica basta a dimostrare come la lunghezza e la vicinanza delle coste turche rispetto alle isole greche rendano questo compito assai difficile, se non impossibile, alla Turchia. Chiudere le frontiere orientali e meridionali per impedire alle persone di raggiungere il paese, come menzionato nella bozza del piano d’azione, sarebbe ben più semplice, ma metterebbe a repentaglio molte vite.

Se lo si somma all’inasprimento delle misure sui trafficanti, tenere queste persone in Turchia porterebbe ad un regime drastico fatto di pattugliamenti lungo le coste e custodie cautelari di massa per i gruppi che tentano di partire.

Questa è una prospettiva assai lugubre per chiunque conosca anche poco del passato di abusi da parte delle forze dell’ordine nel paese e dovrebbe destare grandi preoccupazioni riguardo alla Turchia, preoccupazioni che l’UE sceglie opportunamente di tralasciare.

Misure sempre più drastiche

Nel tentativo di rimanere aggrappato al potere dopo le elezioni assai incerte di qualche mese fa, il governo del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, guidato dal presidente Erdoğan, ha dato un tremendo giro di vite ai media durante la corsa alle elezioni generali del 1 novembre, ha fatto ben poco per distanziarsi dai violenti attacchi ai danni del Partito Democratico del Popolo filo-curdo (HDP), del gruppo mediatico Doğan e di uno dei suoi giornalisti di spicco, e si è servito dei tribunali per controllare ed imprigionare i suoi oppositori.

La scorsa estate, il governo ha volontariamente ripreso lo scontro armato contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), abbandonando così un processo di pace che molti in Turchia avevano accolto a braccia aperte dopo decenni di combattimenti e morti. Con lo spostarsi delle ostilità nei centri abitati, il prezzo pagato dai civili è stato altissimo, si parla di centinaia di morti da entrambe le parti in poco meno di tre mesi. Come se non bastasse, l’attentato nel cuore di Ankara, che ha provocato la morte di oltre 100 persone, mostra come la guerra in Siria non sia poi così lontana e il fallimento da parte della Turchia di contrastare la minaccia ISIS.

Trovo sia scandaloso e poco lungimirante che l’UE abbia scelto di ignorare le misure sempre più drastiche applicate in Turchia nel tentativo di raggiungere un accordo per tenere i rifugiati fuori dai confini. Oltre ad aprire negoziazioni che all’effettivo sventolano la liberalizzazione del visto sotto al naso dei cittadini turchi, la Commissione Europea ha proposto una norma attraverso cui designare la Turchia un paese di origine sicuro. Di conseguenza, verrebbe presumibilmente dato per scontato che i cittadini turchi, come i giornalisti e i curdi che fuggono dagli abusi del governo, non verrebbero perseguiti se volessero chiedere asilo nell’Unione Europea. Questo nonostante il 23% di richieste di asilo da parte di turchi approvate in Europa nel 2014, anno in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva anche trovato ben 94 violazioni di tali diritti in Turchia.

Inoltre, la posticipazione della pubblicazione del Resoconto annuale della Commissione Europea sul Progresso del Turchia verso la sua ammissione nell’UE fino a dopo le elezioni presidenziali ci lascia pensare che la stessa UE abbia accettato di andarci leggero sull’abuso dei diritti in Turchia in cambio del suo aiuto nel fermare richiedenti asilo e migranti.

Tenere i rifugiati in un paese che non può certo essere sicuro per loro, e limitare la concessione dell’asilo politico in Europa agli stessi cittadini turchi quando potrebbero averne più bisogno, rischia di concorrere all’aumento dell’instabilità in Turchia. Sarà quindi questo il velenoso contributo dell’Unione Europea al futuro della Turchia?

  1. Emma Sinclair-Webb è ricercatrice senior sulla Turchia per Human Rights Watch